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Madrid, Teatro Real – Il turco in Italia (con Oropesa, Esposito, Kiria, Rocha)

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Non so se tutti gli elogi iperbolici che Stendhal riserva a Il turco in Italia nella sua Vita di Rossini (capitolo X) oggi reggano o meno (forse sì), ma almeno uno è indiscutibile: “Soltanto Rossini al mondo poteva comporre questa musica, che dipinge la galanteria agonizzante mentre si tramuta in amore”. Parole sante, fino alla virgola almeno, malgrado la fredda accoglienza che il pubblico scaligero riservò alla prima assoluta del 1814 con motivazioni deliranti, come il fatto che l’opera fosse un autoplagio dell’Italiana in Algeri dell’anno precedente: vero è che, tranne il titolo che in qualche modo li accomuna, non si possono trovare due lavori comici del Pesarese più dissimili. Certo l’opera non sarà perfetta perché, come al solito, Rossini lavorò in fretta e si servì anche dell’aiuto di collaboratori per certe parti (alcuni recitativi, l’aria “di sorbetto” di Albazar e un finale che successivamente scriverà di suo pugno) e presenta un atto secondo più debole del primo (tra l’altro, ci doveva essere un’aria per il Poeta mai scritta, o ritrovata). Tuttavia, la raffinatezza della scrittura, e anche del libretto di Romani, che rielabora uno anteriore di Caterino Mazzolà musicato già due volte, oggi è riconosciuta, così come il carattere quasi sperimentale di questo “autore in cerca dei suoi personaggi” (per parafrasare il titolo di Pirandello con cui si è soliti compararla) che poi fanno quel che vogliono e non quanto “devono”.

Ha fatto bene pertanto il Teatro Real a dare al pubblico madrileno l’opportunità di ascoltare per la prima volta un’opera che certo non è una rarità, ma che ancora non ha raggiunto lo status di altri titoli di Rossini, comici o seri che siano. Un nuovo allestimento era quindi doveroso e questo, che verrà presentato anche a Lione e Tokyo, probabilmente avrà lunga vita perché si avvale di una azzeccatissima regia di Laurent Pelly (lo spettacolo è visibile su Arte.TV a questo link). Il regista, che firma anche i costumi, molto spiritosi, lo ha realizzato sempre con la “sua” scenografa Chantal Thomas, che gli ha fornito un palcoscenico formato quasi interamente da copertine di riviste di fotoromanzi degli anni Settanta dello scorso secolo, ma con testi presi dal libretto o comunque a questo riferibili. Quando arriva la nave di Selim, fatta da una serie di volumi disposti uno sull’altro, e si ferma proprio davanti alla finestra dell’annoiata Fiorilla, si capisce che siamo di fronte all’evasione dalla realtà quotidiana di una giovane irrequieta, un po’ pazza, molto “moderna” e decisa, ma che poi alla fine si dimostra debole e bisognosa d’affetto, un po’ come tutti noi. Si sa che i personaggi di queste “commedie” sono piuttosto dei tipi, ma Pelly ha l’abilità di dar loro un tocco umano consentendo agli artisti una certa libertà, che i più intraprendenti colgono non solo per mettersi in luce – giustamente – ma anche per rendere più completo lo spettacolo.

E così Lisette Oropesa, che a me sembrava finora dare il meglio nel repertorio francese, si dimostra un’attrice formidabile, oltre a cantare in modo impeccabile sotto il profilo tecnico e stilistico. Il soprano ha tutte la carte in regola per vincere le difficoltà enormi della sua parte: e non parlo solo dell’aria di sortita o del rondò finale, ma anche del primo duetto con Geronio. Applauditissima, meritatamente. Alex Esposito è uno specialista del Rossini comico e serio, ma in più è un attore nato, e il suo Selim è brillante, divertente, confuso e confusionario. La tessitura è ideale, e quindi ha modo di valorizzare i pregi della sua vocalità in zona grave e acuta, ma anche la padronanza delle agilità e il controllo del legato. Peccato che non abbia un assolo (visto che la sua breve cavatina di presentazione – una pura delizia – diventa subito un duetto con Fiorilla). Il grande duetto con Geronio è un altro dei momenti forti della serata.
Geronio, appunto. Credo che sarebbe più indicato un basso buffo per la parte, ma si vede che oggi non va più di moda e così qui abbiamo un baritono. Nonostante ciò, Misha Kiria fa del personaggio un capolavoro: un omone buono, semplice, sopraffatto dalle circostanze ma sostanzialmente una brava persona. E canta benissimo. Anche lui molto acclamato.
Si sa, un tenore ci dev’essere, anche se si tratta del ruolo meno interessante. Don Narciso, l’amante ufficiale della bella Fiorilla che vede il suo trono in pericolo con l’arrivo di Selim, è nelle mani – e corde vocali – di Edgardo Rocha. Un bravo cantante, molto divertito e divertente, con un timbro non speciale (ma si sa che in Rossini questo importa meno), capace di cantare bene le sue arie e di interpretarle con molta partecipazione. Poi c’è il Poeta, importantissimo come già detto. Florian Sempey è di solito un ottimo baritono, ma qui non sembra troppo a suo agio. Il registro acuto è sempre solido ma centro e gravi suonano poco timbrati. L’interprete, poi, fin dal primo momento, imprime troppa enfasi a ogni sillaba e a ogni gesto, e così molte volte è inutilmente sopra le righe. Quanto a Zaida, canta parecchio pur non avendo nemmeno lei un’aria, ma non direi che si tratti di una comprimaria. Paola Gardina l’ha interpretata bene, con eleganza (forse troppa) e una voce di mezzosoprano piuttosto leggera. Il povero Albazar, infine, privo della sua aria, è Pablo García-López, molto simpatico e ben integrato nella compagnia, ma andrebbe ascoltato in una prova più impegnativa per valutarne le capacità vocali.
Il coro del Teatro, istruito come al solito dal bravissimo Andrés Máspero (credo sia questa la sua ultima stagione), canta e si muove molto bene.

L’orchestra suona benissimo e Giacomo Sagripanti riscuote un successone di pubblico. Personalmente la avevo apprezzato molto nel Rossini serio a Pesaro, nel Werther alla Bastille di Parigi, mentre non mi sbilancerei molto sulla sua Tosca a Barcellona, visto il livello dello spettacolo in cui si trovava coinvolto. Qui però (stava anche al fortepiano per accompagnare i recitativi), senza nulla togliere alla sua capacità di coordinare palcoscenico e buca e di accompagnare bene i cantanti, ho trovato la sua direzione alquanto piatta fin dalla sinfonia e con una tendenza al forte: che ci vuole, ma non sempre e non più di tanto. Magari il fatto che la buca sia stata rialzata – qui come nella Manon del Liceu – può aver influito, ma tant’è.
Teatro plaudente e affollato, anche se non tutto esaurito.

Madrid, 4 giugno 2023

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