Der fliegende Holländer (L’Olandese volante) è una composizione che, per definizione stessa dell’autore, apre le porte al romanticismo sia sul fronte tematico, sia sul fronte drammatico e, naturalmente, su quello musicale. Libretto e partitura infatti esprimono in maniera completa, anche se ancora perfettibile, l’ideale romantico tedesco, assai distante dallo storicismo e, ancor di più, dall’elemento divistico della scrittura italiana. L’ispirazione prende avvio dal racconto di un capitano di vascello, vittima della sua stessa brama di denaro, che, sfidando Dio e la natura, viene maledetto e destinato a vagare per i mari alla ricerca della redenzione. La vicenda, riportata in numerosi romanzi e racconti editi fra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento, sia in ambito inglese che tedesco, arriva a Richard Wagner da un racconto di Heinriche Heine, sebbene persino Poe ne citi la leggenda nella Storia di Arthur Gordon Pym, mentre uno dei primi riferimenti è del 1795 nel Voyage to Botany Bay di George Barrington: segni questi di un’ampia fama e di un interesse diffuso.
La scelta, tuttavia, ha il sapore di una definizione di campo e, già, di quella ricerca e di quel sistema di riferimenti mitologici che andranno perfezionandosi sempre più fino alla composizione della Tetralogia. Alcuni topoi sono in comune con l’operismo italiano, tanto che lo stesso donizettiano “pallor funesto, orrendo” di pochi anni precedente lo ritroviamo anche qui, ma come elemento di interesse, di fascino verso l’uomo del ritratto, una sorta di rovesciamento di equilibri. Anche l’elemento del sacrificio è da annoverare, così come quello dell’amore che ha origini sconosciute, ma che opera nel presente come una forza misteriosa. Tuttavia Wagner riesce a trasportare su un piano più alto questi stessi elementi dando loro una radice più credibile e innestando un vero e proprio sistema mitico di rimandi e ritorni. Così anche la brama che ha condannato l’Olandese alla dannazione è la stessa che spinge Daland a cedere sua figlia in cambio delle ricchezze, mentre l’attesa di un amore antico e universale spinge Senta a rifiutare quello, più “quotidiano”, offertole da Erik. La contrapposizione fra due mondi differenti poi, come anticipa anche il coro femminile, giustifica, in qualche modo, la distanza fra Senta e il giovane cacciatore, ma supporta invece l’immediata comprensione di anime con il misterioso straniero. La presenza del mare, poi, non è solo un puro dato naturalistico, uno sfondo suggestivo, ma è innestato nella vicenda e trasformato in suono, melodia, timbro che sfuma e amplifica i moti dell’animo dei protagonisti. Allo stesso modo il criterio compositivo, che non rinuncia completamente ai pezzi chiusi, inizia però ad ampliarsi, a dare spazio ai Leitmotive, ad allungare l’orizzonte strumentale oltre il semplice sostegno vocale. Le suggestioni naturali si fanno suono: i corni, gli ottavini ostinatamente violenti che riproducono i suoni della tempesta, i violini che disegnano le arcate delle onde. L’orchestra è protagonista esattamente come gli interpreti, anche se non ha ancora quel posto di centralità che assumerà in seguito.
La stagione dell’Accademia di Santa Cecilia seguita a confermare non solo il livello culturale delle sue scelte programmatiche, eseguendo il titolo wagneriano per la prima volta, ma anche l’accurata selezione di un cast ottimale e, infine, l’altissima qualità di un’orchestra e di un coro che possono annoverarsi fra i migliori al mondo.
Matti Salminen, che incarna un Daland scenicamente credibilissimo, possiede ancora una voce potente, profonda e nello stesso tempo duttile, soprattutto nei passi in cui il canto si fa brillante, quasi comico. Considerando l’età anagrafica e la lunga carriera artistica, Salminen è ancor più una presenza di grande classe.
Ottima la prova di Iain Paterson che canta con sicurezza e spavalderia, anche se in qualche passo più acuto la voce non appare propriamente a fuoco, tuttavia la maestosità della linea e l’interpretazione più che matura ne fanno un Olandese di estremo pregio. La qualità dell’interprete si palesa soprattutto nel duetto con Senta e nella scena finale dove la partecipazione emotiva raggiunge la sua punta massima. Il ruolo dell’amante deluso, invece, è interpretato da Robert Dean Smith, la cui organizzazione vocale risente forse di un repertorio impegnativo, tuttavia in questa occasione sembra privo della freschezza di timbro che ci si aspetterebbe per la parte. Qualche passo del duetto con Senta, inoltre, sembra affrontato con difficoltà sul piano vocale, con acuti un po’ sforzati e meno a fuoco del resto della gamma.
Eccellente invece la prova di Tuomas Katajala nei panni del timoniere: accurato nella dizione, ottimo in tutti i registri e particolarmente in quello acuto, efficace nell’interpretazione grazie a una voce dal timbro chiaro, ma dalla consistenza pastosa.
Su tutti troneggia Amber Wagner, la cui Senta è in pieno equilibrio di forze fra tutti i ruoli maschili che la circondano, finendo per essere il centro focale di interesse di tutti loro non solo in termini drammatici, ma persino vocali: in lei, infatti, si sommano le caratteristiche migliori di tutti gli altri. Possiede una voce ampia e robusta che piega ai passaggi più delicati come l’attacco malinconico della Ballata, ma che sfoggia in tutto il suo splendore argenteo nel duetto con l’Olandese. Fonde la forza d’animo dell’eroina romantica in una scansione vocale chiara, schietta, senza inutili sotterfugi tecnici, in cui la salita all’acuto così come la discesa nel grave sono momenti diversi di un unico universo musicale, senza soluzione di continuità.
Accanto a lei Tiziana Pizzi, Mary, fa il suo meglio con un timbro rotondo e una sincera interpretazione.
L’orchestra, inoltre, riesce a “cantare” con la stessa intensità degli interpreti: basti l’esempio dei timpani che trasferiscono in musica i battiti del cuore di Senta alla vista dell’Olandese. Fin dall’inizio la direzione perfettamente controllata di Mikko Franck trasfonde su tutti la certezza di una visione globale estremamente equilibrata, di una compenetrazione fra elementi diversi, stabilizzati dal loro stesso fluire, esattamente come le onde di quel mare su cui la vicenda ha inizio e in cui va a concludersi con un’apoteosi di redenzione.
In questa visione il coro sa esprimere il meglio di sé in termini di timbri, colori, dinamiche e interpretazione. Soprattutto la sezione maschile che, chiamata al duplice impegno dei marinai norvegesi e olandesi, risponde con uno stupefacente trasformismo sonoro.
Accademia Nazionale di Santa Cecilia – Stagione 2017/18
DER FLIEGENDE HOLLÄNDER
Opera in tre atti in forma di concerto
Libretto e musica di Richard Wagner
L’Olandese Iain Paterson
Daland, marinaio norvegese Matti Salminen
Senta, figlia di Daland Amber Wagner
Erik, un cacciatore Robert Dean Smith
Marinaio di Daland Tuomas Katajala
Mary, nutrice di Senta Tiziana Pizzi
Orchestra e Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Direttore Mikko Franck
Roma, Auditorium Parco della Musica, 30 marzo 2018