Dice il proverbio che non tutte le ciambelle riescono col buco. Ne abbiamo conferma con la produzione di Manon Lescaut in scena alla Wiener Staatsoper per la regia di Robert Carsen, artista al quale il mondo della lirica deve una serie di bellissime realizzazioni. Il primo lavoro pucciniano di autentico successo certamente non è facile da portare in palcoscenico, ma Carsen (la produzione è nata nel 2006) gli toglie tutto il suo fascino romantico, spostando l’azione ai tempi nostri e facendo di Manon una fashion victim. Infatti, il primo atto si svolge in un centro commerciale con Edmondo fotografo (che rimarrà tale anche nel secondo al posto del Maestro di danza e nel terzo al posto del Lampionaio). Geronte è una specie di oligarca seguito dalla sua security con i doverosi occhiali da sole. Il secondo atto mostra Manon in un ambiente spoglio e freddo, dove si deve mettere continuamente in posa per essere filmata. Quando lei e Des Grieux si apprestano a fuggire, dopo che Geronte li ha scoperti, entra un’armata di cameriere che riempie le valigie di vestiti. Al suo ritorno, Geronte infine la violenta. Niente nave per il terzo atto: qui è Geronte che canta le battute del Capitano. E siamo sicuri che le odierne prostitute europee vengono spedite in America? Nel quarto atto siamo di nuovo nel centro commerciale e ci si chiede, costernati, come non sia possibile trovarci un po’ d’acqua. Questa ambientazione ha del ridicolo e rende la vita difficile alla protagonista che, priva di supporto scenico, deve cantare un finale che musicalmente è uno dei più strazianti scritti per le scene liriche.
La vera attrazione delle quattro recite in programma (abbiamo assistito alla seconda) è Anna Netrebko, che convince nella raffigurazione del personaggio sia come ingenua fanciulla, sia come amante del lusso, sia nella sua disperazione finale. La voce mantiene ancora un’ottima stabilità ed è omogenea in tutta l’estensione. Applausi scroscianti non solo per le “Trine morbide”, ma anche per un raffinatissimo “L’ora, o Tirsi”. E nel finale riesce a catturare e commuovere il pubblico, nonostante le difficoltà sceniche a cui abbiamo accennato. Il Des Grieux pucciniano è uno dei ruoli più difficili del repertorio tenorile: chiede una voce da lirico-spinto, ma in alcuni momenti anche un timbro dolce, da lirico, una caratteristica che manca a Yusif Eyvazov. La cosa si estende anche alla sua presenza di uomo maturo, cui difetta la connotazione della giovinezza. Se poi si aggiungono la carenza della recitazione e un canto stentoreo con pochissimi piani (buttate via “A voi belle” e “Donna non vidi mai”), il giudizio non può certo essere positivo. Davide Luciano conferisce all’ingrato e difficile ruolo di Lescaut un insolito peso, dandogli un profilo pregnante sia vocalmente, sia scenicamente. Con una voce da “La cena è pronta” Carlos Osuna è decisamente fuori posto come Edmondo. Evgeny Solodovnikov è un brutale Geronte di Ravoir con una gestione della voce piuttosto discutibile. Neanche il Musico di Juliette Mars, alla testa dei comprimari, lascia un’impressione particolare. Ottimo invece il Coro preparato da Thomas Lang, dove Carsen riesce a creare svariati personaggi facendoli muovere molto bene.
Altro punto dolente la direzione di Jader Bignamini, chiassosa e senza sfumature, mentre questo tipo di regie richiederebbe un direttore d’orchestra in grado di equilibrare musicalmente le manchevolezze visive. Al suo indirizzo pochi applausi dopo l’Intermezzo e alcuni buh alla fine della recita. Ovazioni per Netrebko e molti applausi per Eyvazov e Luciano.
Vienna, 1 novembre 2023