In una lettera indirizzata a Tullio Serafin, che diresse la prima esecuzione della sua Ecuba a Roma nel 1941, Gian Francesco Malipiero insiste perché la scenografia dell’opera sia affidata a Giorgio de Chirico. Una richiesta che la dice lunga sulla consapevolezza stilistica del compositore veneziano, del quale il Festival Vicenza in lirica ha rimesso in scena quel lavoro con vivo successo, nella impareggiabile cornice palladiana del Teatro Olimpico.
Serafin, dal canto suo, risponde che la questione dello scenografo è molto delicata e “che non si può risolvere per iscritto”. Alla fine, lo scenografo sarà Felice Casorati, che appresta magnifici bozzetti per scene e costumi. Tuttavia, il nome di de Chirico crediamo sia fondamentale per cogliere lo spirito più autentico di un’opera ingiustamente trascurata (dopo la prima romana, si conta una sola ripresa, anch’essa in forma di concerto, una ventina di anni fa). Un po’ come accade nei dipinti del grande artista ferrarese, nella musica di Malipiero si respira un afflato metafisico, una straniante contemplazione del passato che si fa inquietante racconto del presente.
Quella di Ecuba costituisce una tappa significativa nel percorso di un compositore colto e sensibile alle avanguardie, capace tuttavia di una propria originale identità nel frastagliato panorama novecentesco. Tanto più che Ecuba va in scena dopo la delusione per la Favola del figlio cambiato, il testo di Luigi Pirandello con sue musiche, che provocò reazioni stizzite da parte di Mussolini e, in Germania, di Hitler in persona. La distanza assicurata da una vicenda mitica come quella della regina di Troia non solo pone al riparo da facili fraintendimenti ma risulta funzionale alla poetica di un compositore che, come del resto gli altri membri della cosiddetta “Generazione degli Ottanta”, ambiva a riconnettersi alla tradizione strumentale italiana, in particolare al periodo rinascimentale e barocco, ma in chiave modernista. Malipiero condivise poi con gli altri musicisti della sua generazione un rapporto complesso con il genere operistico. Rispetto alla tradizione del melodramma italiano, il maestro veneziano persegue un bilanciamento per cui la parte strumentale ha molta più importanza e densità, nel segno di un linguaggio incredibilmente raffinato e a tratti ardito, soprattutto dal punto di vista armonico. Il risultato è un lavoro lontano anni luce dalle coeve esperienze veriste e più debitore dell’estetica francese (Debussy, Satie, con Wagner sullo sfondo); un lavoro di monolitica, concentrata severità espressiva, con il canto che non si libra mai sul denso tessuto orchestrale, ma piuttosto ne asseconda la trama sciogliendosi in un recitativo cangiante come lo sono le emozioni e le passioni che lo animano. È davvero forte la tentazione di accostare quest’opera a un fregio greco che narra un mito: un racconto filtrato tuttavia dalla sensibilità neoclassica, quindi privo di colori e consegnato alla sola politezza del candore marmoreo, solcato dalle luci e dalle ombre che il riverbero del sole può in esso incidere.
Malipiero, che è anche autore del libretto ispirato alla tragedia di Euripide, sintetizza in modo complessivamente efficace le drammatiche vicende, ponendo al centro della narrazione la protagonista. Che a Vicenza ha trovato pregevolissima restituzione nel canto misurato e preciso di Yuliya Pogrebnyak, peraltro dotata di bella presenza scenica e di una voce luminosa da lirico pieno. Sia lei che tutti gli altri interpreti si sono fatti carico di una giusta attenzione alla parola: la dolente Polissena di Laura Polverelli, dal sensuale timbro ambrato, l’Ulisse elegante e fiero di Paolo Leonardi, il Taltibio di Patrizio La Placa, morbido nel canto; scuro e altero era invece quello dell’Agamennone di Michele Soldo, molto bravo così come la servente della squisita Graziella De Battista; Bruno Taddia, chiamato all’ultimo a sostituire un indisposto Alberto Matromarino, ha offerto un ulteriore saggio di intelligenza interpretativa e solidissima professionalità. Tanto da meritarsi – insieme alla protagonista – l’applauso più caloroso del folto pubblico.
Ottima la realizzazione musicale, affidata alla bacchetta sicura e incisiva di Marco Angius, che, alla guida dell’Orchestra di Padova e del Veneto, ha conferito alla narrazione una elegante tornitura classica. Ben calibrati gli impasti timbrici e le accensioni dinamiche, soprattutto nelle pagine che vedevano coinvolti gli ottoni, così come puntuale è sempre stata l’attenzione al canto. Di livello anche la prestazione del coro femminile Iris Ensemble, istruito da Marina Malavasi, i cui aulici interventi hanno chiuso i tre atti conferendo un singolarissimo equilibrio all’insieme.
XI Festival “Vicenza in lirica”
ECUBA
Tragedia in tre atti da Euripide
Musica e testi di Gian Francesco Malipiero
Ecuba Yuliya Pogrebnyak
Polissena Laura Polverelli
Una servente Graziella De Battista
Ulisse Paolo Leonardi
Taltibio Patrizio La Placa
Agamennone Michele Soldo
Polimestore Bruno Taddia
Orchestra di Padova e del Veneto
Maestro direttore e concertatore Marco Angius
Coro Iris Ensemble
Maestro del coro Marina Malavasi
Esecuzione in forma di concerto
Vicenza, Teatro Olimpico, 11 giugno 2023