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Verona, Teatro Filarmonico – Amleto

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Scommessa vinta per la Fondazione Arena, che al Teatro Filarmonico di Verona ha messo in scena la prima esecuzione italiana in tempi moderni di Amleto di Franco Faccio. Opera scapigliata nata dalla collaborazione con un giovane Arrigo Boito, Amleto fu applaudita a Genova nel 1865 e poi fischiata alla Scala nel rifacimento del 1871. Un fiasco, quest’ultimo, che convinse l’autore a ritirare la partitura, a rinunciare alla composizione e a darsi definitivamente alla carriera di direttore d’orchestra: come tale è soprattutto ricordato il veronese Faccio, che tra l’altro fu sul podio per importanti prime verdiane.

Già l’incisione effettuata qualche anno fa al Festival di Bregenz aveva suscitato in chi scrive un certo interesse per il libretto e per la musica. L’ascolto dal vivo conferma le qualità e i limiti di un lavoro molto interessante per la capacità di fotografare un momento preciso della storia della cultura, non solo musicale, italiana. Si tratta infatti della prima importante restituzione teatrale dei proclami e delle teorie della Scapigliatura, che ebbe in Boito e Faccio due illustri esponenti.

Il libretto, anzitutto, è il primo pubblicato da Boito ed è pure ispirato a quello stesso Shakespeare che segnerà poi la sua stretta collaborazione con Verdi. L’intreccio, pur nell’inevitabile sfoltimento dovuto al passaggio dalla prosa al melodramma, si presenta comunque come una meditata ed efficace concentrazione della tragedia originale. Ciò che tuttavia più colpisce è lo smaccato timbro scapigliato dei versi, nel segno di una raffinata riscrittura sovente espressionista, animata da un realismo visionario che non disdegna di scivolare nella trivialità. Le scene – soprattutto per l’orecchio moderno – sono disseminate di autentiche perle, come ad esempio l’espressione “Fatti monachella”, indirizzata più volte dal protagonista a Ofelia, che traduce l’originale “Get thee to a nunnery!”, oppure la celeberrima “To be or not to be” che diventa “Essere o non essere, codesta la tesi ell’è”.

E la musica? L’impressione è che l’esito si possa sintetizzare nel motto “Vorrei ma non oso” (o non posso). La cura nell’orchestrazione e nella scrittura corale, l’innegabile spessore di alcune pagine sinfoniche (in particolare la marcia funebre del quarto atto), la ricerca di un declamato efficace nella sua scolpitura musicale, nonché la patina antica ideata per il vecchio dramma in musica inscenato a corte: ci sembrano queste le qualità originali più evidenti del lavoro di Faccio che, per il resto, “si prese molte meno libertà rispetto alle convenzioni della prassi compositiva degli anni sessanta” (così lo studioso Anselm Gerhard). Con buona pace dei proclami scapigliati. Tanto più che l’influenza di Verdi è palese in diversi momenti, ma senza quella potente efficacia drammatica che ha il modello. Così, Amleto alterna pagine di innegabile pregio e presa teatrale a momenti più convenzionali e statici.

Di certo, è opera molto impegnativa da mettere in scena. Anzitutto per il numero e la qualità degli interpreti che richiede. A Verona, dicevamo, la scommessa è vinta grazie anche alla complessiva resa del cast vocale. Angelo Villari è un protagonista virile e stentoreo, di bella voce ampia e ben proiettata. Apprezzabili, nel tenore siciliano, la cura del fraseggio e lo scavo interpretativo. Qualità che hanno brillato in modo particolare nella prova di Gilda Fiume, Ofelia di trepidante dolcezza. Molto bravi anche Saverio Fiore (incisivo Laerte) e Marta Torbidoni nei panni di una Gertrude dal timbro prezioso, madre di Amleto e sposa del re, un Damiano Salerno di particolare efficacia scenica e vocale. Eccellenti i bassi, tutti dotati di uno strumento sonoro, pur nella diversità del colore: Francesco Leone (Polonio), Alessandro Abis (Orazio), Davide Procaccini (Marcello), Abramo Rosalen (lo spettro). Hanno ben figurato tutti gli altri: Enrico Zara (un araldo), Francesco Pittari (il re di Gonzaga), Marianna Mappa (la regina), Nicolò Rigano (Luciano), Maurizio Pantò (un sacerdote) e Valentino Perera (primo becchino). Il coro, istruito da Roberto Gabbiani, ha offerto una prova di notevole qualità per intonazione e omogeneità dell’impasto.

Dal podio, Giuseppe Grazioli ha saputo trovare una linea convincente nell’approcciare una partitura così singolare nel suo essere una sorta di ibrido tra echi verdiani, finezze francesizzanti e “musica dell’avvenire”: belle le sonorità, piene e vellutate, notevole la ricchezza dinamica, ottime scelte nei tempi e una libertà nel fraseggio orchestrale che ha giovato ai cantanti.

Paolo Valerio sceglie di dare alla regia una impostazione suggestivamente minimalista. “Pochi ed essenziali elementi scenici – scrive nelle note di sala -, per creare uno spazio vuoto, indefinito ed evocativo”. Proprio ciò che accade sul palco, grazie anche alle luci di Claudio Schmid e alle scene e alle proiezioni di Ezio Antonelli, che a inizio e fine di ogni atto ci fanno leggere la partitura autografa di Faccio, ma soprattutto creano una ambientazione che ha sempre un che di fiabesco e incantatorio. Anche quando le scene sono tristi o violente, c’è comunque una sorta di schermo che da un lato denuncia la finzione ma dall’altro di questa finzione sottolinea ancora di più la vicinanza alla verità dell’umano. Molto ben riusciti diversi momenti: praticamente tutti quelli con il coro, la recita degli attori nell’atto secondo (animati come marionette da un Amleto quanto mai determinato a scoprire la verità), il funerale di Ofelia nel quarto atto. I costumi di Silvia Bonetti, coerentemente con la visione registica, inquadrano la vicende in un Novecento segnato da guerre e inquietudini.

Teatro Filarmonico di Verona – Stagione 2023
AMLETO
Tragedia lirica in quattro atti
Libretto di Arrigo Boito, da Shakespeare
Musica di Franco Faccio

Amleto Angelo Villari
Il re Damiano Salerno
Polonio Francesco Leone
Orazio Alessandro Abis
Marcello Davide Procaccini
Laerte Saverio Fiore
Ofelia Gilda Fiume
Gertrude Marta Torbidoni
Lo spettro Abramo Rosalen
Un araldo Enrico Zara
Re di Gonzaga Francesco Pittari
La regina Marianna Mappa
Luciano Nicolò Rigano
Un sacerdote Maurizio Pantò
Primo becchino Valentino Perera

Orchestra, coro e tecnici della Fondazione Arena di Verona
Direttore Giuseppe Grazioli
Maestro del coro Roberto Gabbiani
Regia Paolo Valerio
Scene e projection design Ezio Antonelli
Costumi Silvia Bonetti
Luci Claudio Schmid

Nuovo allestimento della Fondazione Arena di Verona
Prima esecuzione italiana in tempi moderni
Verona, 22 ottobre 2023

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