Qualche decennio fa, Franco Fornari, uno dei padri italiani della psicologia del profondo, dedicò la seconda parte di Psicanalisi della musica, lavoro intrigante ma con discutibili velleità musicologiche, a due saggi “operistici”: uno dedicato a Turandot, l’altro a Ernani. Che il capolavoro di Puccini si presti a interpretazioni psicanalitiche non è una novità. Tutt’altro che scontata, invece, la scelta del titolo di Giuseppe Verdi. Fornari premette che Ernani, come bandito, vive tra le montagne in una grotta, e che la grotta rappresenta l’utero materno. Fin qui siamo nell’ovvio, anzi nel banale. Poi si sbizzarrisce. Spiega che Ernani “ha simbolizzato il suo rapporto con Elvira come un rapporto di reinfetazione”, opponendo “situazione intrauterina” al “rapporto sessuale” e via psicanalizzando di questo passo. Va da sé che una simile dissertazione può risultare, a seconda dei punti di vista, interessante, stimolante, oppure forzata, assurda. Qui, tuttavia, non interessa la validità o meno delle teorie di Fornari. L’aspetto che intendo sottolineare è un altro. Il fatto che uno psicanalista abbia trovato in Ernani pane per i suoi denti, o meglio, delle “strutture affettive” da analizzare, smentisce la posizione di chi sostiene che quest’opera sia un drammone di cappa e spada fondato su contrasti netti e caratteri sommari, privo di sfumature introspettive. In realtà, in Ernani non troviamo più il rigido schematismo dei protagonisti di Nabucco e Lombardi. Don Carlo, per esempio, non è uno stereotipo, ma un personaggio complesso: ambizioso, ambiguo, sfuggente. In molti punti, espressività musicale e recitazione drammatica segnano con duttilità l’aderenza ai mutamenti psicologici e alle passioni in gioco.
Premesso questo, una messa in scena di Ernani attenta alla psicologia e a un certo simbolismo può considerarsi pertinente. Andrea Bernard, nel nuovo allestimento firmato per il Teatro La Fenice di Venezia, dove l’opera debuttò nel 1844, cerca di muoversi in questa direzione. Nella sua lettura, il giovane regista non rinuncia alla cornice storica, pur filtrata attraverso un gusto estetico contemporaneo, ma preferisce accantonare la dimensione politica e i possibili risvolti risorgimentali per indagare le relazioni e i conflitti intimi che legano tra di loro i personaggi. In particolare, gli interessano le cause e le spinte inconsce che portano Ernani a essere un proscritto, un uomo irrisolto.
Durante il preludio, dove la musica di Verdi preannuncia lo sviluppo tragico della vicenda, Bernard presenta un video in bianco e nero in cui Ernani bambino subisce il trauma della morte del padre, assistendo alla sua sepoltura, oltre che alla distruzione del suo castello. Il video rimane poi lettera morta e la vicenda si sposta sul palco dove le scene di Alberto Beltrame risultano essenziali, a tratti quasi astratte. Sul fondo della scena, un telo nero sembra quasi evocare la dimensione oscura dell’inconscio da cui emergono brandelli di memoria ritrovata: i frammenti di pareti e architetture bianche che scendono e si alzano nel corso della rappresentazione simboleggiano le rovine del castello distrutto del padre di Ernani. Uno spazio scenico in evoluzione, dunque, che intende assecondare sia il cambiamento psicologico del protagonista, sia il movimento presente della dinamica musicale. I costumi di Elena Beccaro sono giocati sul nero, sui rossi e gli arancioni e ravvivano i quadri visivi alludendo in qualche caso ai moti interiori dei protagonisti. Elvira per esempio è vestita di rosso, simbolo della passione e del sangue: rosso è anche anche il suo abito da sposa.
La dialettica cromatica e l’essenzialità dell’impianto riportano alla memoria l’allestimento di Ernani realizzato una decina d’anni fa da Pier Luigi Pizzi al Filarmonico di Verona, che tuttavia aveva una impostazione talmente statica da sembrare quasi oratoriale. Rispetto ai tableaux vivants e all’immobilismo di Pizzi, Bernard dimostra se non altro di avere qualche idea registica vera, di movimentare qua e là le masse e di riservare una certa cura alla recitazione. Non tutto però funziona, e in certi momenti si ha la sensazione di uno spettacolo irrisolto. L’idea del video iniziale, come dicevo, non viene sviluppata; il saliscendi dei frammenti architettonici bianchi alla lunga risulta un po’ macchinoso, mentre i caratteri dei personaggi, soprattutto Don Carlo, non sono sempre a fuoco. Non funziona inoltre il balletto delle maschere, francamente brutto, per le nozze di Ernani ed Elvira nel quarto atto, mentre più efficaci sono le apparizioni del fantasma del padre, con la sembianze di un angelo guerriero, al quale Ernani si ricongiunge nel momento della morte.
Dal podio, Riccardo Frizza sembra interessato a sottolineare la dimensione frenetica e concitata di un’opera dove le passioni esplodono indomabili. È preciso, fa scorrere l’esecuzione su tempi piuttosto spediti, l’orchestra lo segue bene. Tuttavia, i tentativi di imprimere fuoco e irruenza non sempre vanno a segno perché, a dispetto dei contrasti dinamici e delle sonorità spesso chiassose, la conduzione difetta di vera tensione teatrale. Gli accompagnamenti delle cabalette o dei momenti più concitati mancano di energia e mordente. Nemmeno la corda lirico-patetica vibra a dovere e la ricchezza dell’invenzione melodica del primo Verdi non viene valorizzata. Tutto questo influisce sulla concertazione vocale, che non sembra molto approfondita: stupisce che un donizettiano di comprovata esperienza ed esperto del repertorio belcantistico come Frizza non riesca a ottenere da alcuni interpreti una maggiore attenzione al rispetto delle dinamiche, ai colori e alle sfumature, all’espressione nobile e alla misura stilistica.
L’unico ad avere un’idea precisa delle esigenze del canto verdiano, e quindi in grado di muoversi autonomamente, è il glorioso Michele Pertusi. Con una vocalità ancora salda nell’emissione, delinea un Silva ispirato e analitico nel fraseggio, sempre autorevole e vario nell’accento: un personaggio spietato, dal cipiglio severo e protervo. Nel ruolo del titolo, Piero Pretti si conferma un solido professionista, canta con impegno, correttezza e buon gusto. Ma, al di là del timbro non proprio ammaliante e del peso specifico, personalmente resto dell’idea che la sua vocalità non sia del tutto congeniale al repertorio verdiano. Si nota una certa uniformità di colori e dinamiche, l’espressione drammatica non è mai veramente incisiva e, in termini belcantistici, sul fronte lirico ci si aspetterebbe qualcosa di più.
Ernesto Petti, viceversa, dispone di mezzi vocali ideali per affrontare il canto verdiano e, più in generale, il melodramma romantico: il suo Don Carlo ha volume, un timbro di bel colore, acuti sicuri. A fargli difetto, almeno in questa occasione, sono l’espressione nobile, l’accento aulico e una linea di canto varia e sfumata. Il “Vieni meco, sol di rose”, dove viene richiesta l’emissione a fior di labbro e Verdi in partitura prescrive pp, è cantato mezzoforte, in modo laborioso e senza abbandono. La grande aria del terzo atto, inoltre, vede il baritono a tratti affaticato e forzato nei suoni. Pure Anastasia Bartoli, nella parte di Elvira, mette in luce un materiale pregevole per colore, pienezza dei centri (un po’ meno dei gravi) e facilità nella salita agli acuti. Nel suo caso si vorrebbe più attenzione alla definizione stilistica e al fraseggio drammatico, una maggiore accuratezza nella dizione. Il giovane soprano si disimpegna nelle agilità, ha buone intenzioni, ma si tratta chiaramente di un’interprete ancora in evoluzione e, proprio per questo, dovrà fare molta attenzione alle scelte di repertorio.
Funzionali, nei ruoli minori, i contributi di Rosanna Lo Greco, Giovanna, Cristiano Olivieri, Don Riccardo, e Francesco Milanese, Jago. Il coro preparato da Alfonso Caiani non sempre brilla, ma si impone con autorevolezza nel celebre “Si ridesti il Leon di Castiglia”.
Al termine della recita, successo caloroso per tutti.
Teatro La Fenice – Stagione 2022/23
ERNANI
Dramma lirico in quattro atti
Libretto di Francesco Maria Piave
Musica di Giuseppe Verdi
Ernani Piero Pretti
Don Carlo Ernesto Petti
Don Ruy Gomez de Silva Michele Pertusi
Elvira Anastasia Bartoli
Giovanna Rosanna Lo Greco
Don Riccardo Cristiano Olivieri
Jago Francesco Milanese
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Direttore Riccardo Frizza
Maestro del coro Alfonso Caiani
Regia Andrea Bernard
Scene Alberto Beltrame
Costumi Elena Beccaro
Light designer Marco Alba
Nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice
in coproduzione con Palau de Les Arts Reina Sofia di Valencia
Venezia, 16 marzo 2023