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Trieste, Teatro Verdi – Turandot

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Si chiude con caloroso successo la stagione lirica e di balletto 2022/23 del Teatro Verdi di Trieste, che ripropone un titolo amatissimo dal pubblico, Turandot di Giacomo Puccini. Almeno sulla carta avrebbe dovuto trattarsi di una ripresa della produzione che aveva inaugurato la stagione 2019/20, affidata alla regia di Davide Garattini Raimondi (allora in collaborazione con Katia Ricciarelli) e Anna Aiello quale assistente alla regia e movimenti scenici. L’elemento di novità dovevano essere i costumi, oggi affidati a Danilo Coppola, allora prevenienti, invece, dal Teatro di Odessa; senonché di quello spettacolo nulla rimane se non la struttura scenica costituita da praticabili mobili, mentre l’idea che sta alla base di questa brillante edizione è completamente nuova: lasciata l’iconografia da fiaba, Garattini Raimondi, coadiuvato dalle scene e dalle luci di Paolo Vitale, immagina un mondo senza tempo, un non luogo che della Cina serba solo un vago ricordo, incastonato nelle decorazioni azzurre su fondo bianco (omaggio all’arte della dinastia Ming) dei costumi essenziali pensati da Danilo Coppola per la “principessa di gelo” e la sua corte. I sudditi, Timur, lo stesso Calaf sono gli oppressi calati nelle tenebre, l’altra metà del mondo. Onestamente, non ritrovo nello spettacolo quel mondo dei lavoratori a cui si fa cenno nelle note di regia, né alla fabbrica come luogo fisico in cui si svolge l’azione; se chiaro è l’omaggio al Kubrick di Arancia meccanica, il merito di questa rilettura è proprio quello di avere lavorato per sottrazione, evidenziando i due opposti, lo Yin e lo Yang, il nero e il bianco, la terra e il cielo; ci fermiamo qui, se facciamo riferimento al Taijitu, invertendosi poi la simbologia legata ai due colori, che vorrebbe il femminile e il gelo rappresentanti dal nero e il maschile e il caldo dal bianco, l’esatto contrario di quello che vediamo sulla scena. Ma poco conta, giacché il messaggio è chiaro nella sua semplicità e lo si coglie in un magnifico colpo di teatro; è l’equilibrio, il punto d’incontro quello che va cercato, e Garattini Raimondi, lo rivela risolvendo, forse inconsapevolmente, il grande problema che si accompagna da sempre a Turandot: l’impossibilità di un finale.

La morte di Puccini – che il caso volle avvenisse conclusa la scena della morte di Liù, con quella lenta, inesorabile marcia funebre che si allontana spegnendosi sulla parola “poesia” – ha lasciato incompleta la partitura e ben noti sono i dubbi che lo stesso autore nutriva sul finale da dare a questa favola, quel significativo accordo di Tristano appuntato sulle carte ritrovate dopo la sua scomparsa, i tentativi di completare la partitura sulle bozze lasciate dal Maestro: Alfano, Toscanini, Janet Maguire, Berio. A Trieste si è optato per una scelta drastica: calare il sipario dove Puccini terminò la composizione, ovvero dove Toscanini depose la bacchetta alla prima esecuzione assoluta. Lo si fece già nell’edizione del 2019, ma oggi per fortuna è scomparsa quella brutta idea di ripetere le parole pronunciate da Toscanini stesso: il cadavere di Liù rimane al centro del palco, con Timur piangente sdraiatogli accanto mentre dagli estremi opposti del proscenio Turandot, dalla cui bianca corazza si staccano uno a uno i pezzi che la irrigidivano, e Calaf camminano l’una verso l’altro, seguiti dal velario che si chiude. Non facciamo in tempo a vedere se si toccheranno, se si abbracceranno o proseguiranno per strade opposte; il mistero del finale rimane, un finale aperto, in attesa di un deus ex machina che non giunge, permane. Quella morte, come tutte le morti significa qualcosa, come tutte le morti è l’instante del perfetto equilibrio, quando per un fugace istante i due grandi opposti si guardano: Mors et Vita. Un cambiamento in atto di cui non è dato sapere di più. Peccato che lo spettacolo, nella sua essenzialità, non sia stato compreso da una parte del pubblico che ha mosso qualche contestazione alla fine. Personalmente l’ho trovato molto raffinato, lineare, poetico, anche nelle numerose citazioni che si scorgevano nelle proiezioni sul fondale, uno spettacolo intelligente capace di coniugare tradizione e modernità, forte di una profonda conoscenza dei meccanismi e della storia dell’arte scenica, in cui i contribuiti dei costumi di Danilo Coppola e dei movimenti scenici di Anna Aiello sono stati fondamentali.

Anche la direzione di Jordi Bernàcer pare procedere per sottrazione: il fraseggio mantiene intatta la cantabilità della melodia pucciniana, ma grande attenzione è data alle armonie e alla strumentazione. Le scelte agogiche sembrano preferire tempi comodi, rigorosi, in cui poco spazio trovano i ritardando eccessivi e languidi: così la scena del primo atto in cui il principe di Persia viene condotto a chiedere la grazia a Turandot è una marcia inesorabile che trova il suo corrispondente in quella della morte di Liù. Nella perfetta scansione ritmica di queste due pagine ritroviamo l’unità formale che sta alla base della partitura. La concertazione è molto attenta agli equilibri fra le sezioni orchestrali e ha il pregio di non coprire mai i cantanti, attingendo a una tavolozza dinamica ricca in grado di ottenere dall’Orchestra del Teatro Verdi piani corposi e fortissimi di grande impatto senza risultare mai roboanti.

Nel cast ritroviamo due dei protagonisti della precedente edizione, a partire dall’ottima Turandot di Kristina Kolar che domina la parte con grande perizia tecnica, sostenendo la temibile e impervia tessitura senza mai accusare segni di stanchezza o cedere a forzature. La sua Principessa è costantemente pervasa nel fraseggio e nella pronuncia delle frasi che rimandano all’ava, dall’orrore di quella morte ma sa immettere nel suo canto il fascino crescente che prova per il principe Ignoto. Una prova matura che il pubblico ha apprezzato, al pari di quella di Amadi Lagha che riprende i panni di Calaf. Rispetto alla precedente edizione il tenore francese appare maturato. Non posso dire di trovare particolarmente fascinoso il timbro della voce, ma la tecnica è solida, i suoni ben proiettati gli permettono acuti squillanti, non forzati; anche il fraseggio e la ricerca dei colori appaiono approfonditi e la recita è tutta in crescendo, sino all’atteso “Nessun dorma” che gli vale applausi calorosi a scena aperta e alla fine dell’opera. Ilona Revolskaya, al suo debutto in Italia, ha una voce esile che sembra effettivamente più idonea al suo repertorio di provenienza, quello belcantista (Cunegonde, Giulietta, Olympia…), ma compensa un volume non corposo con un fraseggio musicale, dei pianissimi di effetto e una interpretazione convincente, soprattutto in “Tanto amore segreto e inconfessato”, risultando le dinamiche di “Tu, che di gel sei cinta”, poco ampie. Una prova, tuttavia, positiva, al pari di quella offerta dal trio Nicolò Ceriani, Saverio Pugliese e Enrico Iviglia, rispettivamente Ping, Pang e Pong ottimamente amalgamati nel dare voce a carattere alle tre maschere. Marco Spotti nel ruolo di Timur e Gianluca Sorrentino di quello dell’imperatore Altoum bene si prestavano, vocalmente, all’età dei loro personaggi, anche se forse Timur risultava un po’ appannato rispetto alla scrittura pucciniana. Bene tutti gli altri componenti, Italo Proferisce nella parte del Mandarino, Federica Guina, Prima ancella, Luisella Capoccia, Seconda Ancella e Massimo Marsi quale Principe di Persia. Fondamentale e ampiamente positiva la prova del Coro del Teatro Verdi, forte di una lunga esperienza, diretto da Paolo Longo ed eccellente quella dei Piccoli Cantori della Città di Trieste diretti da Cristina Semeraro.

Teatro Verdi – Stagione lirica e di balletto 2022/23
TURANDOT
Dramma lirico in tre atti e cinque quadri
Libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni
Musica di Giacomo Puccini

Turandot Kristina Kolar
Calaf Amadi Lagha
Liù Ilona Revolskaya
Timur Marco Spotti
Ping Nicolò Ceriani
Pang Saverio Pugliese
Pong Enrico Iviglia
L’imperatore Altoum Gianluca Sorrentino
Mandarino Italo Proferisce
Prima ancella Federica Guina
Seconda ancella Luisella Capoccia
Il principe di Persia Massimo Marsi

Orchestra, Coro e Tecnici della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste
Direttore Jordi Bernàcer
Maestro del coro Paolo Longo
I Piccoli Cantori della città di Trieste diretti da Cristina Semeraro
Civica Orchestra di fiati “G. Verdi” – Città di Trieste
Regia Davide Garattini Raimondi
Scene e disegno luci Paolo Vitale
Costumi Danilo Coppola
Assistente alla regia e movimenti scenici Anna Aiello

Trieste, 13 maggio 2023

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