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Trieste, Teatro Verdi – Manon Lescaut

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Annullata la prima, programmata per lo scorso 2 novembre, e rimandata a causa dell’astensione dal lavoro proclamata per il rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro per il personale delle Fondazioni lirico-sinfoniche dalle Segreterie Nazionali di SLC-CGIL, FISTEL-CISL, UILCOM-UIL e FIALS-CISA, ha preso il via la stagione del Teatro Verdi di Trieste, che non poteva che essere nel nome di Giacomo Puccini, in occasione del prossimo Centenario della morte. Dopo 17 anni, ritorna dunque Manon Lescaut, soggetto tratto dal romanzo illuminista di François-Antoine Prévost, già precedentemente musicato da Auber, e, in anni più prossimi al Nostro, da Richard Kleinmichel e Jules Massenet, ma che Puccini sfronda, ritaglia, modifica e ricuce, selezionando quattro momenti di una storia in cui protagonista diventa la passione amorosa che unisce e condanna alla morte nel deserto Manon Lescaut. Quale sia il destino di Des Grieux, non lo sappiamo, ma viene naturale pensare che segua di poco la fine dell’amata: Massenet, a posteriori, nel 1900, tornò sull’argomento con la breve opéra comique Le portait de Manon, dove ritroviamo l’anziano cavaliere ripensare a Manon e ci viene rivelato che il fratello di lei ha avuto una figlia, Aurore.

Lo spettacolo ideato dal regista Guy Montavon, che cura anche le luci, è coprodotto con l’Opéra de Monte-Carlo ed Erfurt Theatre e propone una rilettura della vicenda che in qualche modo (ri)apre il finale dell’opera pucciniana e pare (inconsapevolmente) proiettarlo verso quell’apocrifo sequel massenetinano. Ambientandola ai giorni nostri, Montavon attua un saliente cambiamento riassegnando, nel terzo atto, i ruoli del Sergente degli arcieri e quello del Comandante assimilandoli a quello di Geronte di Ravoir, che diventa, pertanto, il motore primo della vicenda. Il vecchio è, infatti, presentato come un anziano artista circondato da una corte di personaggi grotteschi e adulanti che animano la sua factory, la ricca casa/studio in cui colleziona le sue opere d’arte; fra queste, ça va sans dire, il capolavoro ultimo è Manon, la quale, nella scena della lezione di ballo, posa su un piedistallo e ricoperto il busto di fasce di gesso su cui viene steso il colore, è di fatto riplasmata dalle sue mani. Conseguentemente, l’attenzione della vicenda di sposta dalla passione amorosa su un diverso piano, in cui Des Grieux è colui che ruba e rovina il capolavoro dell’artista e pertanto punito in una sorta di happening – il terzo atto – ennesima creazione di Geronte, che, assunte le vesti del Comandante, lo condanna, con finto atto di magnanimità, ad assistere alla morte dell’amata. L’ultimo atto è difatti ambientato in due stanze attigue: una cupa, buia, sporca e disadorna, in cui Manon è rinchiusa; l’altra, una sala ben arredata del palazzo di Geronte, dove troneggia il ritratto di una donna. I due ambienti sono separati da una parete di vetro oltre il quale si consuma l’agonia della giovane, davanti all’impotente Des Grieux, a cui si apre una via di fuga solo quando l’inevitabile si è compiuto. Lo spettacolo funziona bene, non a caso ha avuto numerosi riconoscimenti internazionali, ma questa esplicita oggettivazione della figura femminile, che pure ha un drammatico corrispettivo nella nostra quotidiana realtà, più che come atto di denuncia, si configura come importante alterazione della lettura pucciniana. Nell’idea dell’Autore i due amanti non sono trattati singolarmente, ma come coppia: per questo è naturale per noi immaginare la morte di Des Grieux nel deserto, accanto alla sua Manon, sorta di novelli Paolo e Francesca, perennemente travolti dalla passione e dannati insieme. Costringerlo a una fuga disperata davanti al cadavere di Manon, lo veste di una patina di viltà alla stregua di Pinkerton che fugge dal “fiorito asil” nel finale di Butterfly. I bei costumi di Hank Irwin Kittel e le scene di Kristopher Kempf sono funzionali alla rilettura e rendono con gusto il mondo fantasioso nella sua eccentrica vacuità di cui si circonda Geronte; solo l’ultimo atto è alquanto greve e risulta eccessiva l’ambientazione claustrofobica che tradisce in parte Puccini e assume toni alla Saw, saga horror diventata un cult.

Dal punto di vista musicale, per certi aspetti, assistiamo a una simile forzatura, voluta o meno non saprei. È vero che Manon Lescaut guarda (anche) a Wagner e, nel panorama italiano di fine Ottocento, è forse l’unica partitura che recepisce compiutamente la funzione del Leitmotiv wagneriano, sia nella sua funzione di elemento strutturale del discorso musicale, sia in quella narrativa/simbolica; ma nell’interpretazione e nella concertazione di Gianna Fratta pare, a mio avviso, che il legame con genio di Lipsia si traduca in un titanismo sonoro che eccede la volontà di Puccini. Se, per quanto concerne l’agogica, Fratta opta per tempi rigorosi, sacrificando talora un fraseggio che vorremmo più elastico, è nelle scelte dinamiche che si ravvisano i problemi maggiori, riducendosi la gamma dei colori nella gamma che va dal mezzo forte al fortissimo con conseguente contrazione dei crescendo e diminuendo. Assecondata da un’orchestra del Teatro Verdi che, peraltro, è in buona forma, con la concertazione mette talora a rischio gli equilibri con il palcoscenico; solo nel quarto atto trova un equilibrio dinamico e un fraseggio che sembrano meglio corrispondere al linguaggio di Puccini.

Il cast vocale offre complessivamente una buona prova. Lana Kos è una Manon convincente, con un bel timbro e buona tecnica; solo gli estremi acuti suonano, talora, forzati, ma ottiene applausi a scena aperta alla fine di “Sola, perduta, abbandonata”, resa con drammatico pathos e senza bisogno di ricorrere a effetti di stampo vecchia scuola verista. Des Grieux è Roberto Aronica, il cui timbro suona, rispetto ad altre prove, appannato e l’emissione incerta quando non si tratti di cantare le arie o i duetti; solo allora pare ritrovare un pieno controllo dello strumento che gli consente di sopperire con la tecnica a un certo affaticamento nel finale del duetto del secondo atto; un po’ impacciato nella recitazione – forse in conseguenza del ruolo a cui è costretto in questa rilettura – si dimostra nei momenti più attesi della partitura professionista preparato e interprete persuasivo nelle pagine più drammatiche come “Pazzo io son” o nel lungo duetto finale. Ottima la prova di Matteo Peirone quale Geronte – Sergente – Comandante: perfettamente calato nella triplice parte, costruisce un personaggio convincente e soggiogante sia per la recitazione che vocalmente. Fernando Cisneros è un Lescaut guascone ma misurato, forte di un bel timbro baritonale e di un’emissione morbida e bene proiettata in maschera; da segnalare, infine, la brava Magdalena Urbanowicz nel ruolo del Musico, l’elegante Edmondo di Paolo Nevi, due giovani voci bene impostate, Nicola Pamio quale Maestro di Ballo e Lampionaio che restituisce dignità alla breve canzone “E Kate rispose al re”, e Giuseppe Esposito nella breve parte dell’Oste. Buona, infine, la prova offerta dal Coro del Teatro Verdi, sacrificato a volte dalla massa sonora che si leva dal golfo mistico.
La recita a cui abbiamo assistito, quella di mercoledì 8 novembre, era la ripresa della serata inaugurale: pubblico non folto, elegante come richiesto a un gala, ma tiepido nell’accoglienza riservata agli interpreti.

Teatro Lirico Giuseppe Verdi – Stagione 2023
MANON LESCAUT
Dramma lirico in quattro atti su libretto di autore anonimo
dal romanzo Histoire du Chevalier Des Grieux et de Manon Lescaut
di François-Antoine Prévost
Musica di Giacomo Puccini

Manon Lescaut Lana Kos
Il Cavaliere Renato des Grieux Roberto Aronica
Lescaut Fernando Cisneros
Geronte di Ravoir/Un sergente degli Arcieri/
Un comandante di Marina Matteo Peirone
Edmondo Paolo Nevi
Un musico Magdalena Urbanowicz
Il lampionaio/Il maestro di ballo Nicola Pamio
L’oste Giuseppe Esposito

Orchestra, Coro e Tecnici della Fondazione
Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste
Direttrice Gianna Fratta
Maestro del coro Paolo Longo
Regia e luci Guy Montavon
Scenografia Hank Irwin Kittel
Costumi Kristopher Kempf

Allestimento in coproduzione con
Opéra de Monte-Carlo ed Erfurt Theatre
Trieste, 8 novembre 2023

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