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Trieste, Teatro Verdi – Macbeth

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Difficile dire se sia stato voluto o determinato da impegni degli artisti, ma il ritorno sulle scene triestine del Macbeth di Giuseppe Verdi il 27 gennaio, Giornata della Memoria, assume un significato quasi simbolico, per la profonda e inquieta riflessione che il dramma, tratto da Shakespeare, fa sul potere perseguito a ogni costo, al prezzo di una totale disumanizzazione di sé e degli oppressi e che si traduce, nella scrittura verdiana, in una maniacale cura di indicazioni dinamiche, prescrizione a sporcare la voce, in un nervosismo pulsante dei ritmi che travalica e rende obsolete le forme chiuse, pure adottate in partitura, sino a piegare la melodia del canto in un declamato che precorre di decenni, specie se si considera l’epoca della prima stesura della partitura, soluzioni che diventeranno comuni a partire dalla seconda metà del XIX secolo. È difficile parlare, in effetti, per i personaggi di Macbeth di “uomini”; essi appaiono come ombre schiacciate e spogliate di ogni umanità, al punto di essere, prima del tempo storico di cui fu testimone, anticipazione di ciò che scrisse Primo Levi in Se questo è un uomo, parlando dei campi di concentramento: “I personaggi di queste pagine non sono uomini. La loro umanità è sepolta, o essi stessi l’hanno sepolta, sotto l’offesa subita o inflitta altrui.” E chi poteva prevedere, del resto, che il secolo che si apriva con la nefasta notizia, secondo il giornalista de La Stampa, della morte del Maestro, il 27 gennaio 1901, avrebbe visto gli oppressi di Macbeth scendere sul piano della Storia “ignobilmente asserviti, (…), senza onore e senza nome, ogni giorno percossi, ogni giorno più abietti, e mai (…) nei nostri occhi una luce di ribellione, o di pace, o di fede”; così ancora Primo Levi, con parole più tragiche ma non dissimili troppo da quelle di Piave “Patria oppressa … ma nessuno audace è tanto che pur doni un vano pianto/ a chi soffre ed a chi muor”.

Questo precipitare dell’Umanità nella negazione di se stessa, di ciò che rende un uomo Uomo (antitesi e incarnazione del menandreo Che cosa meravigliosa l’Uomo, quando veramente sia Uomo), è magnificamente colta nello spettacolo pensato nel 2013 da Henning Brockhaus e oggi riproposto a Trieste. Avvalendosi delle scene essenziali di Josef Svoboda – l’allestimento scenico è curato in questa ripresa da Benito Leonori – Brockhaus trasforma i personaggi in ombre che emergono dai fondali, essi stessi, quasi, evocazioni delle Streghe, protagonisti e vittime di un incubo: non a caso Lady Macbeth si presenta in scena distaccandosi da un gruppo di quelle misteriose donne. I bei costumi di Nanà Cecchi, le luci e le proiezioni (non si cita sul programma il nome dei tecnici) contribuiscono a questa sorta di parentela al male in un mondo dominato dal grigio, dal nero e dal bianco, ove l’unico colore a risaltare, non a caso, è il rosso cupo del sangue, della passione fine a se stessa. Funzionali le coreografie di Valentina Escobar, che popola anche gli spazi aerei di creature magiche, figure incombenti che gli ampi mantelli apparentano ai pipistrelli. Se molte delle soluzioni pensate da Brockhaus sono di grande impatto – come la lettura della lettera a due voci, la scena del banchetto, in generale i movimenti del coro – bellissima nella sua semplicità la prima scena del IV atto, non tutto si traduce in una realizzazione convincente: sembrano così irrisolte la scena dell’assassinio di Banco, per una mancanza di consequenzialità dei tempi scenici, a mio parere, e la scena della morte di Macbeth che, ucciso in scena e non dietro le quinte come prescritto, priva di ragioni, per gli spazi ridotti del palco, la domanda di Malcom “Ove s’è fitto l’usurpator?”, dal momento che la pone proprio accanto al cadavere del re vinto.

Dirige l’Orchestra del Teatro Verdi, che ne asseconda il gesto presentandosi in buona forma al pubblico, il Maestro Fabrizio Maria Carminati, direttore generalmente attento alle esigenze dei cantanti e della partitura, ma che non riesce a imprimere una sua precisa visione all’esecuzione; l’attenzione alle dinamiche di Verdi non si traduce in una variegata e coesa tavolozza di colori e, sebbene l’agogica sia corretta, non ne scaturisce quel fuoco, quel nervosismo, quello scatto che sono elemento precipuo della scrittura del Bussetano. Siamo di fronte a una lettura corretta, di buon livello, in cui conoscenza e tradizione sono evidenti, ma non propriamente coinvolgente; ne sono esempio i concertati e le pagine corali, che si segnalano per l’esecuzione inappuntabile, merito anche dell’apporto del Coro del Teatro Verdi diretto da Paolo Longo, ma non convincono appieno dal punto di vista interpretativo e, in particolare, le frasi di “Patria oppressa” risultano slegate, più una successione di sezioni che il trascorrere senza soluzione di continuità da una frase alla successiva, da un sentimento all’altro.

Lo stesso discorso, con alcuni distinguo, va fatto per il cast qui radunato. Giovanni Meoni è dotato di un bel timbro baritonale, canta con proprietà, ma risulta poco attento al ruolo che la parola scenica ha in Verdi. Il suo Macbeth è un debole a senso unico, l’ombra della voluttà del soglio che anima Lady Macbeth, e non convince per scavo psicologico; nel monologo “Mi si affaccia un pugnal” o nella grande scena seguente, esibisce una buona tecnica e una voce interessante che non sono, tuttavia, sufficienti a rendere la complessità di Macbeth. Scenicamente risulta, inoltre, non sempre disinvolto, mentre, nell’ultimo atto, appare lievemente affaticato, concludendo, tuttavia, positivamente la sua prova. Silvia Dalla Benetta dimostra, al contrario, di avere molto lavorato sul rapporto fra canto e parola, forse anche per una maggiore frequentazione con il ruolo. Voce caratterizzata da un timbro a tratti metallico e malleabile, di buon volume, non forse “la voce” di e per Lady Macbeth, dimostra tuttavia, nell’arco di una recita in crescendo, sicurezza tecnica, così da superare le grandi difficoltà della parte. Di certo, non ha paura di sporcare la voce, di piegarla a dei pianissimi e a dei sussurri appena percettibili, delineando un personaggio credibile, voluttuoso, ossessionato dal potere, da risultare, si direbbe, al di fuori della categoria del “malvagio”, non potendosi neppure evocare per Lady quella del bene, perché espressione di una dimensione aliena a quella umana. Personalmente, ho trovato eccessiva la sua interpretazione della scena del sonnambulismo, seppure l’ironia grottesca infusa al verso “chi poteva in quel vegliardo tanto sangue immaginar” risulti intrigante e non priva di una significativa originalità. Quello che vi manca è la dimensione onirica, come se tutto piegasse più verso una pazzia che, mi permetto di ritenere, non è la tinta voluta da Verdi. Tuttavia, è sicuramente il personaggio più incisivo di questa edizione. Dario Russo a fronte di uno strumento degno di nota, fraseggia in modo a tratti generico così da non riuscire a infondere all’aria di Banco “Come dal ciel precipita” la giusta nobiltà. Antonio Poli convince nella sua prova quale Macduff, offrendo una bella esecuzione di “Ah la paterna mano”: dotato di un bel timbro tenorile, seppure non personalissimo, fraseggia con gusto e trova i giusti accenti per questa celeberrima pagina, dimostrando una buona preparazione tecnica. Gianluca Sorrentino che nei panni di Malcolm, affianca Macduff nella stretta del finale della prima scena del IV atto è funzionale, ma la voce appare affaticata. Positive anche le prove di tutti gli altri interpreti a partire dall’ottima Cinzia Chiarini (Dama di Lady Macbeth), Francesco Musinu (Medico), Damiano Locatelli (Domestico/Apparizione), Giuliano Pelizon (Sicario/Apparizione), Francesco Paccorini (Araldo), sino alle giovanissime Maria Vittoria Capaldo (Apparizione) e Isabella Bisacchi (Apparizione), leve del Coro I Piccoli Cantori della Città di Trieste diretto con la consueta dedizione dal Maestro Cristina Semeraro che ha contribuito al successo della rappresentazione.

Teatro Lirico Giuseppe Verdi – Stagione 2022/23
MACBETH
Melodramma in quattro parti
L
ibretto di Francesco Maria Piave
Musica di Giuseppe Verdi

Macbeth Giovanni Meoni
Lady Macbeth Silvia Dalla Benetta
Macduff Antonio Poli
Banco Dario Russo
Dama di Lady Macbeth Cinzia Chiarini
Malcolm Gianluca Sorrentino
Medico Francesco Musinu
Domestico di Macbeth/Apparizione Damiano Locatelli
Sicario/Apparizione Giuliano Pelizon
Araldo Francesco Paccorini
Apparizioni Isabella Bisacchi, Maria Vittoria Capaldo

Orchestra, Coro e Tecnici della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste
Direttore Fabrizio Maria Carminati
Maestro del coro Paolo Longo
Coro I Piccoli Cantori della Città di Trieste diretti da Cristina Semeraro
Regia Henning Brockhaus
Scene Josef Svoboda
Ricostruzione dell’allestimento scenico Benito Leonori
Costumi Nanà Cecchi
Coreografie Valentina Escobar

Allestimento in coproduzione tra Fondazione Spontini di Jesi
e Fondazione Teatro Lirio Giuseppe Verdi di Trieste
Trieste, 27 gennaio 2023

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