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Torino, Teatro Regio – Madama Butterfly

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Che abbia fatto tendenza o meno è difficile affermarlo. Ma è certo che l’allestimento di Madama Butterfly di Puccini firmato da Damiano Michieletto fece discutere molto quando apparve tredici anni fa sulle scene del Teatro Regio di Torino, poi ripreso per ben due volte, nel 2012 e 2014. Per la verità, già al suo apparire, questo spettacolo aveva illustri precedenti, a partire dall’altrettanto discussa Butterfly che Ken Russell mise in scena nel 1983 al Festival di Spoleto ricollegandosi al modello del consumismo statunitense ed eliminando ogni traccia di scontato esotismo e color locale. Certo è che lo spettacolo di Michieletto ha un indirizzo ben preciso, che le scene di Paolo Fantin e i costumi di Carla Teti realizzano offrendo al regista ciò che chiede: una metropoli asiatica contemporanea, globalizzata e spersonalizzata, fatta di tabelloni pubblicitari colorati e di gelide insegne al neon, con strade affollate di prostitute e chioschi in cui si arrostisce e frigge cibo a buon mercato. Qui, al centro della scena, c’è la casa-prigione in plexiglass dell’adolescente Cio-Cio-San, innocente giocattolo di piacere, spinta alla prostituzione e venduta dai parenti al miglior offerente. L’opera diviene dunque, per volere della regia, una vicenda di squallido turismo sessuale, calata in una società che trasforma tutto in oggetto di consumo. In questo mondo di piaceri carnali comprati, la protagonista prova a rimanere bambina: una minorenne in jeans e maglietta di Hello Kitty che vive nell’illusione onirica evocata da un’infanzia sperata ma non vissuta, alla quale viene appunto impedito di vivere la propria adolescenza ed è mira del più bieco e squallido sfruttamento. Nessuno ha scampo dinanzi alla violenza morale, prima ancora che fisica, che domina questo mondo; neanche il bimbo di Butterfly, bullizzato da ragazzini che gli stracciano in mille pezzi le barchette di carta con cui gioca in una pozzanghera. E nessun conforto può avere Butterfly, tanto meno quello del denaro che le viene offerto, prima da Pinkerton per mano di Sharpless (“Datele voi…qualche soccorso”) e poi da Kate, come se esso bastasse a lenire le offese ricevute. Per lei non c’è altra soluzione che il suicidio quale fuga da questa consumistica visione della vita. In sintesi, il suo sogno d’amore per Pinkerton, per quanto fragile, non esiste. Fin da subito si capisce che nessuna via di fuga ci sarà per lei. In questo desolante sistema di mercificazione, Pinkerton appare come un laido seduttore e Sharpless stesso un console che osserva infastidito il mondo che lo circonda, forse anche vigliaccamente incerto sulle posizioni da assumere. Michieletto realizza dunque uno spettacolo in linea coll’idea di trasformare Butterfly in una ragazza oggetto di favori erotici, isolata nella sua condizione di adolescente legata ai simboli di un’infanzia (simboleggiata dai peluches accumulati all’interno della casetta) che le è stata negata.
Se questa visione drammaturgica appare talvolta estremizzata in funzione delle scelte registiche, oltre che non priva di evidenti incoerenze, la crudezza realistica dello spettacolo spoglia l’opera da ogni richiamo all’esotismo e pone l’accento sulla “religione” del dio denaro dimenticando come in Madama Butterfly abbia un peso significativo anche lo scontro fra mondi culturali inconciliabili, mentre qui l’Oriente ha ormai perso per strada ogni riferimento al proprio sentire e alle proprie secolari tradizioni; esse non necessariamente devono essere mero color locale, ma dovrebbero comunque assumere un peso determinante nell’equilibrio narrativo qui sbilanciato tutto verso il degrado umano e morale di questa squallida periferia del piacere a pagamento rappresentato dalla metropoli asiatica pacchianamente colorata che appare ai nostri occhi. Tuttavia lo spettacolo vince per la forza di una regia che, ripresa da Elisabetta Acella, continua ad avere appunto una forza teatrale schiacciante per quanto volutamente orientata verso il senso unico, cinico e ossessivo, dello sfruttamento sessuale.
Ed ora si potrebbe discutere per pagine intere se tale idea, per quanto ben congegnata, possa ritenersi pertinente e rispetti la drammaturgia dell’opera in tutto e per tutto. Invero non sempre riesce a farlo, ma certo ne offre una lettura di impatto drammatico assai forte, segnalandosi fra gli spettacoli più riusciti di Michieletto, esponente di spicco della regia d’opera contemporanea, quella che non si pone molti problemi nell’utilizzare i libretti come canovaccio per portare avanti personali interpretazioni più che il reale spirito delle opere messe in scena con il consolidato team di costumista e scenografo che collaborano da sempre col regista veneziano. Nello specifico di Madama Butterfly la matassa narrativa dell’opera si sviluppa nel segno della violenza emotiva più che della commozione, ma con risultati più persuasivi che in altre occasioni. Ecco perché lo spettacolo ancora funziona, anche nel momento straziante del finale, quando il bambino viene portato via con forza dalle braccia della morente Cio-Cio-San, quasi rapito: atto di violenza estrema nei confronti di questa società dove la vita ha trasformato tutto in merce di compra-vendita.

Il cast vocale, come nelle occasioni precedenti, tenta di plasmare le caratteristiche artistiche dei cantanti in funzione del messaggio registico. Matteo Lippi incarna infatti assai bene un Pinkerton visto dallo spettacolo come seduttore senza alcuno scrupolo né ripensamento morale. Per di più possiede una voce bella, all’“italiana”, limpida e di schietto tenore, slanciata in acuto e capace di donare gli accenti giusti prima nel duetto d’amore, dove regala anche bei momenti di canto sfumato, poi in un “Addio, fiorito asil” ricco di straziante commozione, che rivela un momentaneo seppur fugace pentimento, tradotto in una linea di canto controllata ed emotivamente partecipe. Anche Damiano Salerno si cala assai bene in questo contesto registico e dona al suo Sharpless non solo un buon rilievo vocale, ma soprattutto la titubanza un po’ vigliacca e doppiogiochista che rende il personaggio complice di questo universo dove non c’è ombra di moralità e riscatto e dove chi dovrebbe agire con diplomazia, come lui, non ci appare mai realmente compassionevole e premuroso, bensì meschino, o scientemente indifferente.
Ksenia Chubunova, che fa parte degli Artisti del Regio Ensemble, dopo l’exploit offerto nella Sposa dello zar conferma, nei panni di Suzuki, di possedere bel timbro di mezzosoprano e di utilizzare i propri mezzi vocali per donare al personaggio un rilievo espressivo toccante e umano, forse l’unica oasi di amorevolezza in questo mondo senza regole morali. Ottimo anche il Goro di Massimiliano Chiarolla, che lo spettacolo non esita a trasformare in una sorta di cinico e volgare “pappone” da meretrificio, così come tutti i ruoli di contorno, con in evidenza Daniel Giulianini (Lo zio Bonzo) e Michele Patti (Il principe Yamadori).
Veniamo alla protagonista, Barno Ismatullaeva, che si alternerà nelle repliche con Lianna Haroutounian nei panni Cio-Cio-San dopo la rinuncia della prevista Valeria Sepe per un infortunio alle ginocchia. Segnalatasi nel 2017 al prestigioso concorso BBC di Cardiff, il soprano uzbeco è attiva soprattutto nei teatri tedeschi di Amburgo e Hannover, e ha fatto parlare di sé proprio nei panni Butterfly quando l’estate scorsa l’affrontò con successo al Festival di Bregenz nel suggestivo allestimento di Andreas Homoki già disponibile in dvd. Parte in sordina nella prima parte, dove al canto di conversazione manca la freschezza, la sottile e duttile ricerca della parola in funzione espressiva. Ed è così che in alcune frasi del primo atto, quando Butterfly dovrebbe apparire felice e inconsapevole dei motivi della futura tragedia che le toccherà, il canto risulta un po’ pesante, privo delle finezze, fragili e innocenti, richieste nel raccogliere l’emissione con più leggerezza. Quando la lunga attesa e il progressivo disinganno si colora di tragica consapevolezza, ecco che Ismatullaeva acquista in spessore drammatico carico d’intensità sonora, vocale ed insieme espressiva. Le viene incontro uno strumento vocale di bel timbro, sonoro nei centri, ben proiettato e sicuro in acuto. La si ammira non solo in “Un bel dì vedremo” risolto abbastanza bene, ma anche nel duetto con Sharpless e in un intenso “Che tua madre dovrà prenderti in braccio”, poi in un “Tu, tu, piccolo Iddio” attraversato da quella spiccata tragicità densa di sofferente pathos che racchiude la sua prova nell’orbita di una lacerazione interiore più plateale che sottile, capace di sfogare il suono in acuto con solidità di mezzi da vero soprano lirico-spinto senza per questo cedere all’enfasi quando le tensione tocca apici che richiedono pieno controllo dei proprio mezzi. A conti fatti un’ottima protagonista, alla quale però manca ancora un dato di non secondaria importanza per classificarla come Butterfly di riferimento: l’approfondimento espressivo e la capacità di modulare i suoni plasmandoli su un fraseggio più vario ed eloquente. La voce dunque c’è, ma l’interpretazione lascia freddi.

Interlocutoria appare anche la lettura che viene da una bacchetta di indubbio valore quale è quella di Dmitri Jurowski, in questa occasione con qualche isolato squilibrio fra orchestra e palcoscenico, ma soprattutto con tempi dilatati; una concertazione priva di tensione emotiva, oltre che di quel senso di attesa capace di preparare l’esplosione del dramma, che non diviene lacerato bensì compassato e composto. L’Orchestra del Regio suona bene, come sempre, ma il risultato complessivo non convince.
Applausi finali per tutti, anche se, spiace dirlo, alla prima i vuoti in sala erano molti, troppi per un titolo popolare come questo. Il Regio ha appena presentato una stagione ricca di begli appuntamenti, speriamo che le cose cambino e che il pubblico si riabitui ad affollare il teatro.
Per finire un dato di cronaca, invero disdicevole, ci legherà al ricordo di questa serata conclusiva della stagione 2023: le contestazioni che una parte del pubblico ha riservato alla richiesta di un minuto di silenzio che, secondo le direttive nazionali (giunte dal Governo stesso e dal ministero della Cultura), la direzione del Teatro Regio ha chiesto in segno di lutto nazionale per la morte di Silvio Berlusconi; contestazioni accompagnate da commenti irriverenti (come “mafioso”), buu e fischi durante il minuto in cui parte del pubblico non si è neanche alzato, cinico e insensibile, anche dinanzi alla morte. Viviamo davvero brutti tempi, di inciviltà e abbrutimento.

Teatro Regio – Stagione 2023
MADAMA BUTTERFLY
Tragedia giapponese in due atti
Libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa
Musica di Giacomo Puccini

Madama Butterfly Barno Ismatullaeva
Pinkerton Matteo Lippi
Sharpless Damiano Salerno
Suzuki Ksenia Chubunova*
Goro Massimiliano Chiarolla
Il principe Yamadori Michele Patti
Lo zio Bonzo Daniel Giulianini
Il commissario imperiale Rocco Lia*
Kate Pinkerton Irina Bogdanova*
La madre di Cio-Cio-San Daniela Valdenassi
Lo zio Yakusidé Franco Rizzo
L’Ufficiale del Registro Roberto Calamo
La zia Maria de Lourdes Rodrigues Martins
La cugina Eugenia Braynova
Il figlio di Cio-Cio-San Ludovico Dilauro
*Artisti del Regio Ensemble

Orchestra e Coro Teatro Regio Torino
Direttore Dmitri Jurowski
Maestro del coro Andrea Secchi
Regia Damiano Michieletto
Ripresa da Elisabetta Acella
Scene Paolo Fantin
Costumi Carla Teti
Luci Marco Filibeck
Ripresa luci Vladi Spigarolo
Assistente alle scene Piero de Francesco

Allestimento Teatro Regio Torino
Torino, 13 giugno 2023

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