È nato nel 2012, alla Komische Oper di Berlino, l’ormai storico allestimento del Flauto magico (Die Zauberflöte) di Mozart che Barrie Kosky e Suzanne Andrade idearono registicamente con un linguaggio talmente originale e nuovo da rendere questo spettacolo famosissimo e di successo, ripreso in diversi teatri d’Europa e del resto del mondo. Dopo l’Opera di Roma, che l’ospitò nel 2018, ecco che oggi approda al Teatro Regio di Torino e si ammira ancora per la freschezza dell’inventiva visiva e, soprattutto, per l’ingegnosità di una realizzazione tecnica di formidabile perfezione.
L’idea di Barrie Kosky (a Torino lo spettacolo viene ripreso da Tobias Ribitzki) ci consegna, con il duo del gruppo artistico «1927» (che riunisce Paul Barritt, a cui si devono le animazioni, da lui stesso ideate in collaborazione con Suzanne Andrade) e le scene e i costumi di Esther Bialas, uno spettacolo che sembra uscito da un libro di fiabe animato, come se un pop-up prendesse vita divenendo ora cartone animato, ora film muto degli anni Venti. Perché è proprio al cinema di quegli anni che questa innovativa messa in scena si ispira per condire la fiaba iniziatica di Schikaneder della giusta fantasia, ma anche del surrealismo che caratterizza immagini che scorrono a flusso continuo, combinando spettacolo dal vivo e animazione come se tutto uscisse da un universo onirico la cui estetica si rifà a fotogrammi cinematografici in bianco e nero. Anche i dialoghi parlati, elementi fondanti del Singspiel, vengono sacrificati e condensati in didascalie da film muto, mentre in sottofondo si ascoltano musiche di Fantasie per pianoforte di Mozart.
Il linguaggio che ne deriva è certo stimolante, codificato secondo regole che ne fanno un misto di cartoon e cinema che ha sfaccettature visive pop in cui non è difficile cogliere, per alcuni personaggi, citazioni a Buster Keaton (Papageno), Nosferatu (Monostatos) e Louise Brooks (Pamina). Questa grammatica d’immagini così elaborata – seppur ammirata, come detto, per l’ingegnosità della realizzazione – ingessa la drammaturgia dell’opera, la trasforma, da fiaba iniziatica carica di simboli esoterici e massonici, nella tridimensionalità onirica del raggiungimento della felicità alla quale ciascun personaggio anela senza concedere nulla alla improvvisazione, in un ingranaggio visivo tecnicamente perfetto, ma freddo. In tutto l’apparato visivo che commenta tale progressione, ben si coglie come Pamina e Tamino affrontino con saggezza e perseveranza il loro percorso di approdo idealizzante alla felicità attraverso le prove del fuoco e dell’acqua, ben chiare visivamente nello spettacolo, così come Papageno aneli a una felicità più semplice, unendosi a quella Papagena che gli darà tanti eredi all’interno del loro nido domestico: una casetta circondata da fiorellini che rappresentano lo sbocciare del loro amore con la giusta fragranza un po’ naïve qui ben riflessa. Anche per il mondo dell’oscurità, quello della Regina della Notte, lo spettacolo regala la suggestiva visione di una regina simile a un gigantesco ragno scheletrico dalle lunghe zampe, che tesse la tela del male.
I personaggi restano però fermi, quasi immobili, o per meglio dire vivono d’azione solo quando sono le immagini che li attorniano a dar loro respiro animato; in quel momento diventano pupazzi d’un gioco d’animazione talmente ricco di forme e immagini da apparire alla lunga stordente e stucchevole. Ed ecco, nelle proiezioni che scorrono dinanzi ai nostri occhi, cieli stellati, un ascensore che scende nelle profondità dell’inferno, meccanismi orologeschi o surreali, farfalle colorate, elefanti che volano, simpatiche scimmiette dalla coda arricciata munite di forcone, scie di note provocate dal suono del flauto, come quelle che ammansiscono le belve o spengono il fuoco dell’orrendo mostro stilizzato che sputa fiamme, tentando di carbonizzare Tamino e Pamina durante la loro prova del fuoco, ma è fermato nei suoi intenti omicidi da un genietto svolazzante, o ancora diventano note, durante la prova dell’acqua, sciogliendo le catene che li tengono legati in abissi marini attraversati da meduse.
Tutte cose rese possibili da un linguaggio teatrale esteticamente accattivante, innovativo e macchinoso; quindi una vera sfida, invero vinta, a favore della mescolanza dei generi, fra magia, surrealismo, fantasia e vecchia cinematografia, senza che però l’anima dei personaggi possa realmente vivere se non per effetto del ricorso a un freddo tecnicismo narrativo, chiaro sì nell’esposizione figurativa del percorso drammaturgico dell’opera, ma raggelante.
Anche la direzione di Sesto Quatrini lascia interdetti. Certo si è dinanzi a un direttore che sa come tenere in pugno l’orchestra (quella del Regio, così come il coro, istruito da Andrea Secchi, sono per altro una garanzia di qualità) per ottenere ciò che intende. Quindi tempi veloci e ricami orchestrali sottili e zampillanti, a partire dall’ouverture. Ed è come se la sua concertazione calzasse come un guanto sulle trame visive ed estetiche dello spettacolo. Viene però a mancare, nella sua direzione, l’abbandono nei momenti più lirici, come l’aria di Pamina, più ricercato che autenticamente sentito, o la solennità esoterica delle pagine che inondano di luce calda il mondo dei sacerdoti. Una lettura tuttavia non scontata, perché attraversata da una ricchezza d’intenti che il tempo e la maturazione gli permetterà di rendere ancor più definita.
La compagnia di canto si è comportata nell’insieme bene. Il Tamino di Joel Prieto ha stile ed eleganza, anche se la voce, non tanto nell’aria del ritratto, ma soprattutto nei momenti in cui si richiede maggiore ampiezza e incisività drammatica, mostra un’emissione talvolta sfuocata. Anche la Pamina di Gabriela Legun, promossa alla recita della quale riferiamo nel primo cast per l’indisposizione della prevista Ekaterina Bakonova, canta bene ma le manca lo struggente lirismo in grado di dare luce languida ed eterea alla sua splendida aria del secondo atto. Ad Alessio Arduini non si può vocalmente rimproverare nulla se non che è un Papageno poco simpatico, forse non per colpa sua, ma per responsabilità di uno spettacolo che lo limita molto nel trasmettere la fragranza un po’ selvaggia e istintiva che caratterizza il personaggio stesso, rendendolo limitatamente comunicativo. Il basso In-Sung Sim si disimpegna con onore, anche se non possiede il registro grave ampio, sonoro e solenne richiesto da Sarastro. Su tutti svetta la Regina della Notte di Serena Sáenz, che davvero non fallisce un colpo nelle sue arie, sfoderando un registro acuto luminoso, svettante e con quel giusto retrogusto asprigno che nelle modanature espressive dona al personaggio l’involo incisivo che contribuisce a caratterizzare il risvolto drammatico del personaggio al di là della richiesta giustezza delle note iperacute picchettate.
Ben assortito il restante cast, con la fresca Papagena soubrettistica di Amélie Hois e il Monostatos sottilmente morboso di Thomas Cilluffo, cantanti che fanno parte degli “Artisti del Regio Ensemble”, così come lo sono anche Rocco Lia (Secondo armigero) e Ksenia Chubunova (Seconda dama), mentre Lucrezia Drei e Margherita Sala sono rispettivamente la Prima dama e la Terza dama. Ottimo il trio di fanciulli, le tre voci bianche di Viola Contartese, Alice Gossa, e Isabel Marta Sodano, mentre Enzo Peroni chiude il cerchio del cast vestendo i panni del Primo armigero.
Teatro stracolmo e applausi finali festosissimi. Non si può che gioirne in tempi in cui il Regio sta recuperando a piccoli passi meriti artistici e consensi di pubblico, in occasione, per di più, del cinquantesimo anniversario della fondazione del nuovo teatro di Carlo Mollino, per il quale verrà presto presentato un programma di manifestazioni predisposte a celebrarlo.
Teatro Regio – Stagione 2023
IL FLAUTO MAGICO (DIE ZAUBERFLÖTE)
Singspiel in due atti
Libretto di Emanuel Schikaneder
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Pamina Gabriela Legun
Tamino Joel Prieto
Papageno Alessio Arduini
Regina della Notte Serena Sáenz
Sarastro In-Sung Sim
Una vecchia (Papagena) Amélie Hois*
Prima dama Lucrezia Drei
Seconda dama Ksenia Chubunova*
Terza dama Margherita Sala
Monostatos Thomas Cilluffo*
Primo fanciullo Viola Contartese
Secondo fanciullo Alice Gossa
Terzo fanciullo Isabel Marta Sodano
Primo armigero Enzo Peroni
Secondo armigero Rocco Lia*
*Artisti del Regio Ensemble
Orchestra e Coro Teatro Regio Torino
Direttore Sesto Quatrini
Maestro del coro Andrea Secchi
Regia Suzanne Andrade e Barrie Kosky
Ripresa da Tobias Ribitzki
Animazioni Paul Barritt
Ideazione «1927» (Suzanne Andrade e Paul Barritt)
e Barrie Kosky
Scene e costumi Esther Bialas
Direttore dell’allestimento Antonio Stallone
Allestimento Komische Oper Berlin
Torino, 31 marzo 2023