Il Teatro Regio apre la stagione 2023 con Il barbiere di Siviglia di Rossini, titolo che in questi ultimi anni non è certo mancato all’appello dalle scene torinesi. Riproporlo aveva senso se – come è avvenuto in questo caso – lo spettacolo e la parte musicale avessero proposto idee nuove e stimolanti. Al di là dei risultati, questo spettacolo ha funzionato sotto diversi aspetti, a partire dall’allestimento, nato per l’Opéra National du Rhin (Strasburgo) e in coproduzione con l’Opéra de Rouen Normandie, curato per regia, scene e costumi da Pierre-Emmanuel Rousseau. Il regista francese pensa a instaurare un parallelismo con la commedia di Beaumarchais, andando alle radici sovversive di personaggi che il libretto di Sterbini stempera, ma che qui vengono recuperate come simbolo di una società che comincia a disgregarsi e a mostrare quelle diseguaglianze sociali che la regia tenta di recuperare dando un risalto nuovo ai personaggi, comici sì ma con una punta acre e cinicamente pungente.
Questo lavoro appare evidente soprattutto quando plasmato sulla personalità di Figaro, il motore della vicenda e il demiurgo di tutta l’azione, che diventa un uomo autenticamente sganciato da ogni convenzione sociale, senza legami e, per questo, libero di presentarsi – così lo definisce il regista – come “un eccellente imbroglione, e un piccolo delinquente, girovago irrequieto”. Quando entra in scena e intona la sua celebre cavatina, indossa una canottiera, è a piedi nudi e ha capelli lungi raccolti dietro il capo. Si porta appresso una bisaccia con gli strumenti del mestiere, ma appare come un barbiere “randagio” che dopo aver dato sfoggio di muscoli e tatuaggi indossa una casacca che sembra essere riflesso del suo eterno deambulare d’esperienze raccolte nei pezzi di stoffa colorata che la compongono. Lui è l’emblema di quell’indole ribelle e anticonvenzionale che in qualche modo si ritrova anche nella spiccata personalità che s’intende dare a una Rosina più astuta e volitiva del solito. Anche Don Basilio, in veste francescana, sembra una sorta di Rasputin dall’aspetto poco rassicurante. Ovviamente il regista porta a compimento la sua originale idea di spettacolo grazie alle fisicità perfette che gli vengono offerte dal cast, ma anche dal modo con cui la realizza scenicamente, non rinunciando alla tradizione ma presentando una Siviglia che sembra uscire da un quadro di Goya. La scena è unica per esterni e interni, formata da un ambiente chiuso su tre lati, con un soffitto aperto da un ovale (utile nella scena finale per far calare il cesto di un pallone aerostatico che porta via i due innamorati) e tre pareti con le sezioni basse ricoperte di piastrelle azzurre e quelle superiori in tinteggiatura rosso pompeiano. Sul lato sinistro c’è il balcone di Rosina, su quello del fondo si vedono due finestre, poi utili per dar senso al temporale – quando le persiane sbattono sotto la furia del vento – o per il gioco della scala portata via dal balcone, e una nicchia nella quale è posizionata la stessa Madonna goyesca che ad apertura del primo atto sfila in processione assieme a monaci incappucciati. C’è anche una piccola piscina colma d’acqua, al cui bordo Rosina intona la sua cavatina e all’interno della quale lei stessa e Figaro mettono i piedi in acqua durante il loro duetto. Pochi gli elementi scenici, anche se c’è tutto ciò che occorre per inserire questo spettacolo nell’orbita di un figurativismo di sapore andaluso. I costumi sono accuratissimi, soprattutto quelli di Rosina, e l’immagine generale è quella che il regista stesso definisce come un Goya che ha messo le dita nella presa della corrente e ha sprigionato una serie d’immagini a centrifuga visiva ininterrotta, in bilico fra tradizione, fantasia di tinte e colori, ricercatezza di luci, eleganza e modernità.
Complice la bravura scenica degli interpreti, nulla è affidato al caso e il moto perpetuo di questo spettacolo dinamico e curatissimo sul piano della regia, nonché sostanzialmente tradizionale nel figurativismo scenico, si sposa alla perfezione con quella che è la visione musicale donata dal maestro Diego Fasolis, del quale al Regio si ricordano le felici prove offerte con la direzione di Così fan tutte di Mozart e della rara Agnese di Paër. Dall’alto della sua esperienza nella pratica esecutiva del repertorio barocco, eseguito con il suo complesso (quello con strumenti storicamente informati de I Barocchisti), ma anche con orchestre con strumenti moderni, l’affermato direttore svizzero tenta di essere il più fedele possibile, da buon filologo, a ciò che è scritto in partitura. Presta attenzione alle molte “appoggiature” presenti e, invece di soffermarsi sul legato e sulla leggerezza vaporosa, insegue un’idea ponderata del suono improntato sulla croccante ritmicità che allarga la misura dei tempi ma innerva il discorso musicale di mille attenzioni ai particolari timbrici e all’interazione che gli strumenti stessi dell’orchestra attuano con il fortepiano (mirabilmente suonato da Carlo Caputo). Nasce una concertazione di impronta matematicamente geometrica, regolata da una sincronia adamantina nel rapporto fra golfo mistico e palcoscenico, talvolta addirittura fredda e squadrata, ma altamente teatrale, dove l’incisività del suono un po’ inaridito ma vivido e luminoso mette in gioco equilibri e dinamiche ricercatissime e, per questo, per nulla scontate.
Il cast è a corrente alternata. Appena entra in scena per la celebre cavatina, il Figaro di John Chest, baritono americano di prestigiosa carriera internazionale, sembra ideale per la parte. La regia, come detto, ne mette in risalto l’avvenenza e la fisicità atletica, in linea con la visione “scapigliata” con la quale il personaggio viene inteso. La voce stessa svetta in acuto con aperture sonore quasi tenorili. Tuttavia tende a eccedere e qua e là, almeno alla prima, incorre in qualche sporadico incidente di percorso sporcando alcune estreme note acute. Tuttavia non si può negare che nella sua prova le luci prevalgono sulle ombre.
Anche Antonino Siragusa, chiamato all’ultimo nei panni del Conte d’Almaviva a sostituire il previsto Santiago Ballerini, non si mostra in forma ottimale, ma salva la recita. Alla voce, per quanto sempre ben proiettata e sonora, viene a mancare la consueta flessibilità, anche nel canto di grazia, così come il registro acuto evidenzia segni di stanchezza che lo inducono a scendere a qualche compromesso (già nella cavatina d’ingresso e poi nelle due puntature “del vulcano della tua mente”) e a rinunciare saggiamente all’esecuzione del rondò del secondo atto. Una serata no, che non compromette tuttavia né la professionalità, né tanto meno l’evidente esperienza consolidata in tanti anni di frequentazione del repertorio rossiniano.
Leonardo Galeazzi è un Don Bartolo di personalità scenica un po’ stinta e dalla voce forse troppo chiara anche se sufficientemente fluida nel canto sillabico, mentre Guido Loconsolo, che prova a scurire l’emissione e a tratti la infagotta, non sembra il basso ideale per la parte di Don Basilio, anche sul piano di una certa monocromia espressiva.
Svetta di luce propria la Rosina del mezzosoprano Josè Maria Lo Monaco. Non solo sfoggia un centro di bel colore, morbido, malioso, ben tornito e un sicuro sfogo in acuto, ma soprattutto canta con stile sopraffino e fraseggia a regola d’arte, sempre nel segno di un impeccabile stile espressivo, ben avvezzo al repertorio belcantistico. La sua cavatina, oltre a essere il vertice vocale esecutivo dell’intera serata, anche per la fluidità e l’ottimo dominio del canto vocalizzato, mette in mostra la figura fascinosissima, valorizzata nel corso dello spettacolo da abiti che ne evidenziano la bellezza (gambe e scollatura da indossatrice) e insieme l’eleganza del porgere scenico oltre che vocale, in un mix di scaltra finezza, vivacità e determinazione indirizzate a vincere quella che per Rosina – giovane bella e piena di vita – è la sfida dell’amore pronto a spalancarle le porte verso la libertà, affrancandola dalla “prigionia” di chi la tiene chiusa in una casa guidata da vecchi senza che per questo lei si dia mai per vinta rinunciando alla sua personalità dominante, ma comunque sempre femminilmente aggraziata.
Completano il cast la valida Berta di Irina Bogdanova e il Fiorello di Rocco Lia.
Un bell’inizio di stagione, accolto con festosi applausi finali.
Intanto, merita ricordarlo, è iniziata, con questo primo titolo della stagione, l’iniziata l’Anteprima Giovani riservata agli under 30. I ragazzi, prima di assistere allo spettacolo, hanno potuto accedere al foyer del teatro per condividere un aperitivo e poi per assistere al breve spettacolo Regio Opera Pop, un podcast di successo pensato da Casa Fools, compagnia teatrale torinese che ha inventato Opera Pop soprattutto per chi non conosce l’opera lirica, e che con uno stile informale e appassionante aiuta il grande pubblico a scoprire questo genere musicale raccontando dettagli sulla trama, sull’autore e su ciò che accade in scena. Al termine dell’opera, poi, è iniziato Contrasti, il progetto realizzato dal Teatro Regio e The Goodness Factory in collaborazione con OFF TOPIC, che prevede cinque happening musicali, uno per ogni Anteprima Giovani, mettendo in relazione generi musicali diversi. Lo fa coinvolgendo protagonisti della scena musicale torinese che si parlano e si intrecciano per superare ogni “contrasto” generazionale e artistico. In questa occasione ospiti speciali sono stati i componenti del gruppo musicale Eugenio in Via di Gioia. Il Regio riparte dunque alla grande e lo fa pensando da subito alle nuove generazioni e a quello che, si spera, sarà il pubblico del domani.
Teatro Regio – Stagione 2023
IL BARBIERE DI SIVIGLIA
Melodramma buffo in due atti
Libretto di Cesare Sterbini dalla commedia
La Précaution inutile, ou Le Barbier de Séville
di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais
Musica di Gioachino Rossini
Il Conte d’Almaviva Antonino Siragusa
Don Bartolo Leonardo Galeazzi
Rosina Josè Maria Lo Monaco
Figaro John Chest
Don Basilio Guido Loconsolo
Fiorello Rocco Lia
Berta Irina Bogdanova
Orchestra e Coro Teatro Regio Torino
Direttore Diego Fasolis
Maestro del coro Andrea Secchi
Maestro al fortepiano Carlo Caputo
Regia Pierre-Emmanuel Rousseau
Luci Gilles Gentner
Assistente alla regia Jean-François Martin
Direttore dell’allestimento Antonio Stallone
Allestimento Opéra National du Rhin (Strasburgo)
in coproduzione con Opéra de Rouen Normandie
Torino, 24 gennaio 2023