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Torino, Teatro Regio – Aida

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A poco più di un anno dall’esecuzione di Aida in forma di concerto all’Auditorium “G. Agnelli” del Lingotto, l’opera di Verdi torna oggi sulle scene torinesi e questa volta al Teatro Regio. La si ripropone nell’allestimento che inaugurò due stagioni, quelle del 2005-2006 e del 2015-2016, affidato al regista cinematografico William Friedkin, Premio Oscar per la pellicola Il braccio violento della legge e conosciuto a più per il film L’esorcista.

Lo spettacolo viene rimontato con cura da Riccardo Fracchia, mentre scene e costumi di Carlo Diappi si muovono nel segno della tradizione, ricostruendo con fedeltà un Egitto archeologico color sabbia e grigio pietra, fatto di imponenti colonne, colossali statue egizie per il tempio di Vulcano (davvero suggestive, tanto che il pubblico applaude ad apertura di sipario) e fondali con altorilievi e bassorilievi a geroglifici riprodotti con intenti filologici che mirano a dare l’immagine di un antico Egitto monumentale ma mai oleografico, né tanto meno cedendo al rischio del kitsch. Le luci di Andrea Anfossi contribuiscono assai bene a illuminare le scene notturne, come quelle turchine che riflettono i “cupi vortici” del Nilo, ma soprattutto danno un rilievo caldo al quadro del trionfo, dove il bianco degli abiti dei sacerdoti, il grigio della pietra e l’oro delle decorazioni regali accompagnano una marcia trionfale sobria, con guerrieri che portano stendardi trionfali, seguita da danze molto eleganti, assai ben coreografate da Anna Maria Bruzzese. Eppure il quadro del trionfo appare un po’ spento e non riserva altre sorprese, se non le rapide e fugaci apparizioni di due imbarcazioni, con le sagome animate zoomorfe che vennero realizzare per questo allestimento da Michael Curry (noto per aver offerto la sua collaborazione al Cirque du Soleil e all’acclamato musical The Lion King a Broadway), che attraversano orizzontalmente il palcoscenico poco prima che faccia il suo ingresso Radamès, diretto all’altare dove sono assisi il Re e Amneris per consegnare loro la spada delle vittoria sugli Etiopi invasori; e lo fa entrando in scena in maniera sobria: solo, sicuro dell’impresa eroica compiuta. Allo spettacolo, per quanto figurativamente apprezzabile, viene però a mancare un disegno registico pensato sui personaggi. Riprenderlo non è stato tuttavia un passo falso, anzi saggio in tempi in cui allestimenti nuovi avrebbero inciso sulle casse appena risanate di un teatro che, dopo la pandemia e il commissariamento, sta tentando di risalire con impegno e a passi cauti la china, per ritornare al livello dei vecchi tempi.

Conferma di questo si ha dalle sempre eccellenti masse artistiche, che assicurano il rendimento solido di sempre, perché l’Orchestra e il Coro del Regio, quest’ultimo istruito da Andrea Secchi, sono una garanzia di qualità, nonostante la bacchetta di Michele Gamba, direttore emergente e di indubbio talento, mostri in questa occasione di approdare a una concertazione dagli esiti interlocutori. Le scene di massa sono un po’ lente e sonnolente, ma anche i momenti lirici e intimi, quelli che in fondo costituiscono la cifra più autentica di questa partitura, non possiedono quella varietà di tinte e colori richiesti, soprattutto nel notturno del Nilo che apre il terzo atto, nei profumi esotici del successivo duetto fra Aida e Radamès e nelle tinte sfumate e trasparenti necessarie al duetto che conclude l’opera. Anche i quadri dove la temperatura drammatica si fa più accesa, come il duetto fra le due rivali, quello fra padre e figlia o la grande scena del giudizio, restano un laboratorio di buone intenzioni destinato a non approdare a una visione interpretativa organica e teatralmente ben individuabile.

Il cast vocale, per di più decimato alla prima da diverse defezioni, lascia l’amaro in bocca. Angela Meade, che avrebbe dovuto essere Aida nel primo cast, si è data malata e ha abbandonato il campo mettendo il Regio nella condizione di affidare la prima a Erika Grimaldi, già prevista per alcune repliche. Anche Stefano La Colla, colto da improvvisa indisposizione, ha ceduto il passo a Gaston Rivero nei panni Radamès.
Il soprano astigiano ha bella presenza scenica, canta assai bene e con gusto. Ovviamente, come prevedibile a chi conosce già la sua voce, si predispone da subito a offrire una visione della parte commisurata ai propri mezzi, quindi lirica. Ma il suo lirismo, per quanto frutto di un impasto luminoso, manca, da un lato, di morbida brunitura timbrica, dall’altro non regala autentico incanto al canto sfumato per mancanza di abbandono e reale patetismo, tanto che anche il do acuto dei “Cieli azzurri”, seppure sicuro, è eseguito senza il pianissimo richiesto. Al suo attivo c’è l’indubbia tenuta complessiva, mostrata nell’arco di tutta l’opera, a favore di una prova, nonostante le osservazioni espresse, convincente e corretta.
Il Radamès di Gaston Rivero, anche lui già previsto in locandina per alcune delle nove repliche previste, sembra ricordarsi solo in un punto di saper ammorbidire e rendere rotondi i suoni, quando azzarda a sfumare volenterosamente il si bemolle di “Celeste Aida”, riuscendoci neanche così male. Per il resto canta l’intera opera, compreso l’atto del Nilo, con una voce tutta di fibra, per di più afflitta da un timbro sugheroso e spesso rigido.
Silvia Beltrami sembra inizialmente adeguarsi anche lei all’idea di presentare un’Amneris di personalità interpretativa un po’ spenta e con una voce di spessore piuttosto contenuto nei gravi. Eppure la sua prova è in netto crescendo e, giunta alla scena del giudizio, riesce a sfoderare la grinta risparmiata negli atti precedenti con un controllo vocale di tutto rispetto, lanciandosi sicura nell’invettiva ai sacerdoti e dimostrando di calibrare saggiamente le forze dinanzi a una vocalità che domina, se non con la cavata dell’autentica verdiana, con pieno controllo dei propri mezzi, dando prova di intelligenza e musicalità che le derivano dalla sua estrazione belcantistica.
Il baritono armeno Gevorg Hakobyan (Amonasro) ha mezzi vocali interessanti ma l’emissione, lo stile e la cura del fraseggio non sono certo dei più ortodossi. Evgeny Stavinsky, Ramfis, per quanto possieda bella timbratura di basso, ha momenti in cui la voce si opacizza. Marko Mimica è, invece, addirittura un lusso nei panni del Re. Completano il cast Thomas Cilluffo (Un messaggero) e Irina Bogdanova (Una sacerdotessa), cantanti che fanno parte degli Artisti del Regio Ensemble.
Successo finale sincero per un’Aida di convenzionale routine. Sala piena ma non stracolma, nonostante le tante iniziative che il teatro sta portando avanti per attirare il pubblico giovanile in sala, offrendo agli under 30 l’ingresso al costo di 10 euro e, più ancora, affiancando alla Anteprima Giovani iniziative meritevoli, per far dialogare il linguaggio del melodramma con quello del rock e del pop. Solo il tempo dirà se, tutto questo, servirà o meno.

Teatro Regio – Stagione 2023
AIDA
Opera in quattro atti
Libretto di Antonio Ghislanzoni
Musica di Giuseppe Verdi

Aida Erika Grimaldi
Amneris Silvia Beltrami
Radamès Gaston Rivero
Amonasro Gevorg Hakobyan
Ramfis Evgeny Stavinsky
Il Re Marko Mimica
Un messaggero Thomas Cilluffo
Una sacerdotessa Irina Bogdanova

Orchestra e Coro Teatro Regio Torino
Direttore Michele Gamba
Maestro del coro Andrea Secchi

Regia William Friedkin
Ripresa da Riccardo Fracchia
Scene e costumi Carlo Diappi
Coreografia Anna Maria Bruzzese
Luci Andrea Anfossi
Sagome animate Michael Curry
Direttore dell’allestimento Antonio Stallone

Allestimento del Teatro Regio di Torino
Torino, 25 febbraio 2023

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