Nel 1859, un anno dopo il successo riscosso con Orphée aux Enfers, Jacques Offenbach mandò in scena al Théâtre des Bouffes-Parisiens, fondato dallo stesso compositore nel 1855, Un mari à la porte, operetta in un atto che nacque in un contesto sociale parigino, quello del Secondo Impero di Napoleone III, e per uno spazio teatrale che imponeva lavori di lunghezza contenuta, oltre che di argomento leggero e vivace. Tutto questo, anche musicalmente, si ritrova nel disimpegno ammiccante di un’operetta che con la sua elegante musica da ballo, i valzer e le mazurche offre una ventata di buon umore, di divertimento e joie de vivre (specchio del disegno di magnificenza voluto dall’imperatore stesso quale simbolo del suo potere), così come una velata denuncia al perbenismo del tempo. Lo fa con comicità arguta, svelando vizi e debolezze di una società chiusa nel rigore di regole borghesi ma anche pronta a denunciare come esse fossero spesso mira di deroghe e libertà dalle stesse, sulle quali si faceva ironia con quella comicità che era retaggio del teatro francese di Molière e Beaumarchais. Non è un caso che questa operetta porti con sé, oltre ad espedienti musicali in cui si fa la caricatura del genere serio (come il grand-opéra) con tono tragicomico, un richiamo finale diretto alla comédie-ballet George Dantin ou le mari confondu di Molìere e Lully e alla sua specifica vena comica. Dunque una tradizione che affonda le radici nel teatro francese e rivive in un genere musicale che nella Parigi del tempo di Offenbach creava lavori di evasione e divertimento garantito, ma anche, appunto, di velata critica sociale alla realtà circostante.
Ecco perché Anna Maria Bruzzese, regista di questa edizione di Un mari à la porte messa in scena al Piccolo Regio Puccini di Torino parla, nelle interessanti note di regia allo spettacolo da lei firmato con lo splendido supporto dell’impianto scenico di Claudia Boasso e dei ricchi costumi di Laura Viglione, entrambe in stile dell’epoca, di un ambiente che è una sorta di gabbia borghese matrimoniale: un bel boudoir colorato in cui la divertente e anche un po’ assurda vicenda si sviluppa sotto la lente d’ingrandimento della leggerezza e, nell’insieme, ci parla della condizione femminile dell’epoca, quella in cui, ci ricorda la regista, “l’amore coniugale non è ancora un valore fondante dell’unione, ma al massimo qualcosa che nascerà negli anni vivendo insieme e conoscendosi meglio”. Il matrimonio è dunque un passo d’obbligo per ritenersi persone per bene, poi sarà quello che sarà e se l’amore sboccerà tanto meglio…
Questo narra la fragile vicenda stessa dell’opera, in cui una donna appena sposata, Suzanne, si lamenta con l’amica Rosita, di lei più indipendente, di quanto noioso sia il suo consorte, Henri Martel, tanto da volerlo chiudere fuori dalla porta al primo incontro notturno dopo le nozze appena celebrate. Non a caso lo spettacolo mostra Suzanne in abito di nozze bianco denunciando così come il matrimonio fosse un atto socialmente dovuto più che sentito. Ma i veri problemi vengono quando nella stanza dove le due donne dialogano cade da un camino il giovane musicista spiantato e libertino Florestan Ducroquet, in fuga da un marito geloso e ricercato, per i debiti contratti, da un ufficiale giudiziario che poi si rivelerà essere niente meno che il marito di Suzanne. La commedia vedrà poi i tentativi vani di Martel di entrare nella stanza supplicando la moglie di aprirgli e inscenando fuori dalla porta anche un finto suicidio, mentre le signore, asserragliate nel salotto con il terzo incomodo che potrebbe creare uno scandalo, si barcamenano come possono con scuse per non fare entrare Martel finché il povero Florestan riesce a trovare una via di fuga calandosi dalla finestra non prima di aver ottenuto la mano di Rosita, chiesta dopo essersi ricordato che una zia si sarebbe dichiarata disponibile a saldare tutti i suoi debiti qualora il nipote scapestrato si fosse sposato. Ecco quindi che il matrimonio, ancora una volta, si presenta come fuga dai problemi, una sorta di passaporto sociale per la regolarità, divenendo però tomba del vero amore.
L’impianto scenico di questo felice spettacolo, come si diceva, segue fedelmente le indicazioni del racconto e mostra da un lato le finestre e il balcone con vista su Parigi per le rocambolesche e provate via di fuga di Florestan, dall’altro la porta al di là della quale bussa Martel e al fondo del salotto il caminetto e una quadreria; è un interno borghese con divanetti e tappeti davvero ben fatto, studiato fin nei minimi dettagli. Ma la gradevolezza anche un po’ ironica di questo contesto visivo un po’ fané, palese anche nell’utilizzo di luci che diventano ironicamente verdi per simulare la condizione alticcia di personaggi ubriacatisi a suon di bicchierate di assenzio, nulla potrebbe se sulla scena non ci fossero cantanti che si rivelano anche, guidati dalla mano regista fresca e capricciosa di Anna Maria Bruzzese, attori formidabili, quasi tutti appartenenti al Regio Ensemble, tranne il marito messo alla porta.
Dispiace solo che la bella Amélie Hois (Rosita), annunciata indisposta a inizio serata, abbia dovuto scendere a inevitabili compromessi vocali al momento di intonare la Valse tyrolienne, “J’entends ma belle”, essenza della coquetterie francese ironicizzata, la pagina più nota dell’operetta, divenuta nel tempo banco di prova per soprani di coloratura, o della cosiddetta chanteuse à voulades per dirla alla francese, interpretata per la prima volta da Lise Tautin, che faceva furori nell’opéra-bouffe e nel teatro diretto da Offenbach, dove fu prima interprete di molte sue opere. Peccato perché, oltre al fascino della figura e al bell’abito viola che indossa con charme, la sua capacità di tratteggiare la frivola femminilità del personaggio è parsa perfetta se messa in relazione all’altra donna, l’amica Suzanne, che ha trovato nel bel timbro morbido del mezzosoprano Ksenia Chubunova, una caratterizzazione scenica ideale, composta e rassegnata nella sua condizione di donna sposata per forza più che per amore. Anche il tenore Pawel Žak, nei panni di Florestan Ducroquet, ha mostrato al meglio il carattere libero dell’uomo anticonformista, parlando di se stesso nella scena-terzetto con la quale si presenta alle due donne spiegando chi è, da dove viene e perché è capitato lì nella stanza; un venticinquenne che perde tutto al gioco, ama la musica e, dice lui stesso, “per una gamba di dea correrei fino a Pechino”. L’ultimo personaggio, il marito che viene chiuso fuori dalla porta, è Henri Martel; il baritono Matteo Mollica gli dona la giusta configurazione del classico borghese parigino che si sposa per convenienza sociale e poi si svaga fuori dalle mura domestiche facendo perno su ciò che la società permetteva all’uomo. Ecco perché il cipiglio della sua figura barbuta assume nello spettacolo il giusto rilievo rigido e impettito che gli compete. Se c’è un appunto da porre agli interpreti, che tuttavia non va a detrimento del bel risultato d’assieme, è la pronuncia francese, certo perfettibile.
Resta da dire della direzione del giovane ed assai promettente di Riccardo Bisatti, che alla testa dell’Orchestra del Teatro Regio offre alla ritmica spensierata e alla indiavolata scorrevolezza della partitura un tono limpido ma non troppo vaporoso, dando senso croccante alla narrazione di un’operetta che si gode per l’accentuato dinamismo musicale e per la fluidità che quasi non fa cogliere lo stacco fra le parti recitate e quelle musicali, con continuità teatrale incalzante.
L’ora o poco meno di spettacolo fugge in men che non si dica e, alla fine, si applaude una produzione non a caso inserita nel cartellone di quest’anno, dopo un grand-opéra come La Juive, per offrire un altro spaccato della vita musicale teatrale della Francia di metà Ottocento.
Piccolo Regio Puccini – Stagione 2023/24
UN MARI À LA PORTE
(Un marito alla porta)
Operetta in un atto
Libretto di Alfred Delacour e Léon Morand
Musica di Jacques Offenbach
Edizione in lingua originale francese
Orchestrazione a cura di Alessandro Palumbo
Florestan Ducroquet Pawel Žak*
Suzanne Ksenia Chubunova*
Rosita Amélie Hois*
Henri Martel Matteo Mollica
*Artista del Regio Ensemble
Orchestra Teatro Regio Torino
Direttore Riccardo Bisatti
Regia Anna Maria Bruzzese
Scene Claudia Boasso
Costumi Laura Viglione
Luci Andrea Rizzitelli
Direttore dell’allestimento Antonio Stallone
Nuovo allestimento Teatro Regio Torino
Torino, 6 ottobre 2023