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Roma, Teatro dell’Opera – I tre controtenori

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Appaga l’alma e vince il core l’applauditissima girandola barocca di fuochi e peripezie canore (più un paio di salti in avanti che arrivano a toccare Gluck e Rossini) con cui il Teatro dell’Opera di Roma sceglie di chiudere, con coraggio illuminato, il cartellone di concerti in aggancio parallelo e con quattro protagonisti in comune al Giulio Cesare in Egitto posto a sigla della stagione lirica. E lo fa rilanciando in più attuale parafrasi contraltile, declinata al maschile, il fin qui insuperato ma ormai vetusto slogan da tre stelle a tre tenori.

Sul podio di un organico che affianca e ben amalgama specialisti al continuo (Ignazio Maria Schifani al clavicembalo, Francesco Tomasi e Michele Carreca alle tiorbe) e l’Orchestra della Fondazione lirica capitolina che, guidata dal violino di spalla Alberto Martini, ancora una volta conferma qualità e duttilità non comuni, c’è Rinaldo Alessandrini, per il repertorio in ascolto e non solo una garanzia assoluta. Gli stacchi metrico-ritmici sono infatti sempre esatti e pregnanti, il lavoro sui chiaroscuri dinamici si radica con grande attenzione sui significati e significanti del testo, il rispetto per le voci è totale entro il non facile gioco di equilibri fra suoni e accenti, respiri, ritardi, cadenze e sospensioni sulle improvvisazioni realmente acrobatiche.

A sfilare sul palco, in un passaggio di testimone che è spettacolo già di per sé nella diversità in alternanza, abbinamento o in superba terna finale entro il caleidoscopio di frecce tecniche e stilistiche acuminatissime, sono “I tre controtenori” (questo il titolo del capitolo concertistico) fra i quattro sfoderati al Giulio Cesare. Ossia, tre vere e fra loro diversissime superstar di quel che fu la grande era dei castrati in vetta nei cast dei drammi eroici compresi fra il Seicento e quel 1824 in cui l’evirato Giovanni Battista Velluti cantò nel Crociato in Egitto di Meyerbeer, lasciando poi il primato delle voci d’angelo alle sole schiere sacre pontificie fra le cappelle Sistina, Giulia e di San Giovanni in Laterano, fino ai primi del secolo Ventesimo. Vale a dire: il supereroe del genere Raffaele Pe, (Lodi, 1985), timbro chiaro e tecnica iperbolica, strabiliante nel gusto delle variazioni e nell’invenzione estemporanea, fenomenale in zona acuta e sovracuta; la star del Barocco e fino al Gluck della riforma o al Rossini serio Carlo Vistoli (Lugo, 1987), voce levigata e d’ambra, ideale nel range medio-grave e in ogni caso salda negli slanci virtuosistici fra gli estremi dell’intera estensione; Aryeh Nussbaum Cohen (Brooklyn, 1995), il più giovane e il più vicino alle sonorità di un castrato naturale, straordinariamente intenso, perfetto per le preghiere e i lamenti, per le arie di sentimento più liriche e drammatiche quanto a volume, peso timbrico e nobiltà del legato più un affondo espressivo che sa bene come toccare il cuore.  Rispettivamente, nel recente Giulio Cesare, hanno brillato nel ruolo del titolo, nel re Tolomeo e in Sesto Pompeo.

Dopo il serrato Concerto vivaldiano (RV 115) d’apertura, è a Carlo Vistoli che tocca l’esordio con l’aria con da capo in soluzione pentapartita “Nel profondo cieco mondo” intonata alla scena quinta dell’atto I dal protagonista dell’Orlando furioso (1727) di Antonio Vivaldi, in procinto di recarsi dalla maga Alcina. In campo, stando alle risorse del contralto e prima interprete Lucia Lancetti all’epoca virtuosa della principessa Violante di Toscana, ci sono scale, ribattuti, salti impressionanti (su tutti la brusca ottava discendente sulla parola mondo, rilanciata in trillo all’acuto) e, naturalmente, l’estro delle colorature che Vistoli, nella sfida impervia fra le zone interne al suo registro, appoggia con notevole autenticità di timbro.
A lui toccheranno ancora il Porpora di “Tu spietato non farai” (Ifigenia in Aulide, nell’edizione critica di Giovanni Andrea Sechi) scritta per il ruolo di Agamennone assegnato al Senesino alla scena quarta dell’atto II. Aria difficile e virtuosissima, fitta di contrasti, di estremi dinamici e intervallari che un Vistoli in gran forma (vertiginoso il suo da capo) cavalca realmente a meraviglia.
Al top, il Gioachino Rossini dal Tancredi con relativa aria cult da contralto en travesti “Di tanti palpiti”.

Annunciato dallo squillare delle ottime trombe è entrato quindi in seconda posizione Raffaele Pe, con l’aria militare dal Rinaldo di Händel (1711) “Or la tromba” scritta per il ruolo eponimo e interpretata alla prima rappresentazione al Queen’s Theatre di Londra dal leggendario contralto (inizialmente soprano) castrato Nicolò Grimaldi detto il Nicolino (III.9). Uno slancio di guerriero e amante a cui Pe tiene perfettamente testa dando forma luminosissima a fioriture infinite e a brillanti trillature in gara imitativa con le trombe concertanti, uscendone così in trionfo già alla prima prova. Di lì a seguire da lui si ascolta la densa e riccamente ornata cantabilità a firma di Riccardo Broschi, “maestro di cappella napolitano” e fratello della voce d’angelo più celebre, con l’aria di Dario “Ombra fedele anch’io” dall’Idaspe (1730) cantata appunto da Carlo Broschi in arte il Farinello (come da libretto) o Farinelli. In grande volo il suo Händel dell’aria per soprano castrato “Con l’ali di costanza” per il ruolo eponimo (I.8) nell’Ariodante (1734).

Il terzo ma più ampio focus è sul giovane americano Aryeh Nussbaum Cohen che, in prima battuta, s’inquadra con un numero bellissimo e complesso, articolato in recitativo accompagnato e arioso. La scelta è sull’Händel dell’aria “Stille amare” dal Tolomeo, re d’Egitto (1728) su libretto dello stesso Haym del Giulio Cesare e ruolo parimenti affidato al mitico castrato Senesino. La dolente drammaticità della scena e il lamento del protagonista del titolo in Larghetto, introdotto dai brividi fra mordenti e trilli ai violini primi, toccano uno dei punti più alti della serata, grazie ad accenti morbidi ma vigorosi e a un canto delicato e al contempo potente, sciolto con fiati lunghissimi e smorzature impalpabili. Sincero, toccante, magnifico. In apertura della seconda parte della serata ritorna su Händel e sul Senesino con l’aria di Bertarido “Vivi, tiranno” (III.8) dalla Rodelinda del 1725 per conquistare tutti, infine, con la forza degli accenti e la dolcezza del suo cantabile al Gluck dell’aria-rondò celeberrima “Che farò senza Euridice” cantata, pur in tempi di riforma (1762), dall’Orfeo del contralto castrato Gaetano Guadagni.

Magnifici poi gli assieme che, a geometria variabile, hanno esaltato in amalgama la salda coesione quanto la diversità di tinta sul velluto di voce degli interpreti di volta in volta in abbinamento. Nella formazione a due, Vistoli e Pe hanno dato vita ed emozione (splendida la sezione B) al duetto di Leonardo Vinci “Tu vuoi, ch’io viva o cara” dall’Artaserse (1730) scritto per l’Arbace del contraltista Giovanni Carestini detto il Cusanino accanto all’amata Mandane (sorella di Artaserse) del soprano evirato Giacinto Fontana detto Farfallino (III.7); Cohen e Pe al festoso Antonio Vivaldi (In braccio de’ contenti, revisione Sechi) dalla Cantata a due voci e basso continuo La Gloria e Imeneo; quindi, in unione serrata e ideale, Vistoli e Cohen all’Händel del duetto tra Floridante (ancora una volta il contralto Senesino) ed Elmira (il contralto Anastasia Robinson) “Ah mia cara, se tu resti” dall’atto I (scena ottava) del Floridante, opera seria datata 1721.
D’obbligo il finale a tre nel segno di un contrappunto mirabile di equilibri e colori con l’assieme dal finale all’atto I dal dramma per musica a tema pastorale La fida ninfa (1732) di Vivaldi (S’egli è ver che la sua rota) intonato da Narete, Licori ed Elpina.
Infine a tre voci procedono inevitabilmente, fra entusiasmi e applausi da festa rock, i graditissimi omaggi fuori programma: il trionfante terzetto posto in chiusura della Serenata La Senna festeggiante di Vivaldi e l’Ode encomiastica reale Sound the Trumpet di Henry Purcell.

Teatro dell’Opera di Roma – Stagione 2022/23
I TRE CONTROTENORI

Controtenori Aryeh Nussbaum Cohen
Raffaele Pe
Carlo Vistoli

Direttore Rinaldo Alessandrini
Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma

Programma:

Antonio Vivaldi Concerto ripieno per archi in do maggiore RV
Antonio Vivaldi “Nel profondo cieco mondo” (Orlando furioso RV 728)
Georg Friedrich Händel “Or la tromba” (Rinaldo HWV 7)
Leonardo Vinci “Tu vuoi ch’io viva” (Artaserse)
Georg Friedrich Händel “Stille amare” (Tolomeo, re d’Egitto)
Nicola Porpora “Tu spietato non farai” (Ifigenia in Aulide)
Riccardo Broschi “Ombra fedele anch’io” (Idaspe)
Antonio Vivaldi “In braccio de’ contenti” (La Gloria e Imeneo RV 687)
Georg Friedrich Händel “Vivi, tiranno” (Rodelinda HWV 19)
Georg Friedrich Händel “Con l’ali di costanza” (Ariodante HWV 33)
Georg Friedrich Händel “Ah mia cara, se tu resti” (Floridante HWV 14)
Christoph Willibald Gluck “Che farò senza Euridice” (Orfeo ed Euridice)
Gioachino Rossini “Di tanti palpiti” (Tancredi)
Antonio Vivaldi “S’egli è ver che la sua rota” (La fida ninfa RV 714)

Roma, 20 ottobre 2023

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