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Roma, La Nuvola – Adam’s Passion

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Ancestrale e come in sospensione nella genesi dal buio alla luce per aprirsi agli azzurri sfumati oltre il sogno, laddove nel rito di un canone antico e insieme ipermoderno quanto a sintesi polisemica, vanno a saldarsi la percezione e l’inconscio, il tempo e l’eterno, archetipi e simboli. Con passo lentissimo, piccole scosse gestuali, a immagine ferma. Così come il suono e la parola intonata o cantillata acquistano forza di epopea mistica grazie alle pause, allo scarto in tensione fra i cupi affondi al grave e i lancinanti armonici all’acuto, alla sospesa dilatazione nel metro. Il tutto a legare le radici di una colpa primigenia e, fra giudizio e pentimento, le quattro stazioni di una nuova, surreale Passione che pesa come un macigno sulla testa di noi tutti, sui destini dell’uomo in cammino e in equilibrio fra le ere, fra le tre diverse sue età.

È quanto creato entro i meccanismi multisensoriali di vista, udito, memoria e re-azione, dunque ben oltre i canali scenico-drammaturgici di tradizione, dalla limpida formula di teatro interiore e immersivo dell’Adam’s Passion, sorta d’installazione d’arte vivente nata nel 2015 in endiadi titanica e per il fortuito incontro in Vaticano del compositore estone Arvo Pärt con il regista americano Robert Wilson, con varo il 12 maggio di quello stesso anno in una fabbrica di sottomarini dismessa dell’Estonia, il Noblessner Foundry di Tallinn, nel 2018 portata alla Konzerthaus di Berlino e ora, per la prima volta e in esclusiva nazionale, proposta con pieno successo in Italia in sole due date, al Roma Convention Center La Nuvola dell’architetto Fuksas grazie alla coproduzione fra l’Opera di Roma ed EUR S.p.A.
A ospitare il singolarissimo evento radicato nella totalizzante unione delle arti temporali e spaziali mutuata contaminando il modello della Grecia classica, il Gesamtkunstwerk wagneriano, il monodramma schönberghiano e il teatro postmoderno, non è stato lo spettacolare spazio dell’auditorium. Bensì, con buona ragione per la disposizione degli organici, la sala nera (purtroppo priva d’inclinazione e dunque a visione non ottimale) al piano terreno del Centro Congressi d’avanguardia per racchiudere, probabilmente su un’idea in asse con la ritualità wagneriana, gli ipnotici novanta minuti del cammino di Adamo, con Orchestra e Coro della Fondazione capitolina più le cinque voci soliste dell’Estonian Philharmonic Chamber Choir alle spalle. Un Adamo che, nel solco dei Morality Plays, è semplicemente denominato “Man” e che, nell’occasione, prende corpo nell’interpretazione del bravissimo artista del movimento Michalis Theophanous, scolpito nella sua statuaria nudità e solitudine dall’esatto dosaggio luministico attraverso un impalpabile percorso in bilico fra colpa e passione partito dal buio e dal remoto di una scena via via animata dalle tinte del blu, da nubi di fumo, e da luci fondenti. Per poi arrivare fra il pubblico sulla lunga pedana-passerella protesa fino alla fila dieci delle sedie pieghevoli, cogliendo in metafora il frutto poggiandosi sul capo un dritto ramo di melo che, al contempo, ha il senso di una corona di spine. Dinnanzi a lui, frontalmente o intorno, fanno la loro sortita i diversi personaggi nel corso dell’astratta Passione creata d’intesa da Pärt e Wilson intorno alla vita di Adamo, fra la cacciata dall’Eden e le future visioni del male generate dal suo peccato e caduta, fino alla supplica per il perdono di Dio.

Capelli ingessati e potente tensione gestuale fra volto, braccia, polsi e mani, in una sorta di rapporto a specchio c’è quindi l’immensa danzatrice e coreografa americana Lucinda Childs al suo debutto per l’Opera di Roma. Anche lei genericamente indicata come Woman, ma in lunga tunica aderente, va ad assommare in sé la doppia valenza di biblica prima donna e di figura tragica greca, alta, ferma e nobile, pari ad Alcesti o, ancor meglio, a una Giocasta. E ancora, in posizione apicale fra gli artisti in palcoscenico, merita un plauso speciale il dodicenne Ernesto Ruggiero della Scuola di Danza dell’Opera di Roma diretta, al pari del Corpo di Ballo, da Eleonora Abbagnato. In calzoncini corti e bretelle anni Cinquanta, concentratissimo, il piccolo grande performer compie lo stesso cammino di Adamo portando in equilibrio sulla testa, quasi in un passaggio generazionale di consegne, non il ramo di melo ma uno di quei mattoni bianchi con cui prova a costruire una casa che è al momento gioco e futura idea di famiglia.
Hanno completato il gruppo degli artisti: Endro Roosimäe (Heavy Man) ed Erki Laur (Another Heavy Man) assai abili nel roteare quasi all’infinito nei loro abiti gonfiabili stile omino Michelin, Tatjana Kosmõnina (A Woman), Triin Marts (Another Woman) mentre, in passaggio alla Hitchcock in silhouette e a emblema della terza età, il compositore e direttore della stessa produzione Madis Kolk dava forma al Tall Man. A corona, gli altri giovanissimi interpreti Virginia Torta (Girl), Oliver Reimann (Another Boy), Julia Balzaretti (Another Girl), Nicolò Troiano (Tall Boy).

Intorno, pochi ma chiari simboli stilizzati: il perimetro di una piccola casa sospesa poi realizzata in scena, una scala in bilico, i mitra in cartone bianco tenuti dai bambini, i rami di melo sollevati dalla folla (Coro degli alberi MP3 dance project diretto da Michele Pogliani) in aggancio alla domenica delle palme e, soprattutto, l’albero a chioma secca in giù, simbolo cosmologico e arcaico del principio universale, dopo neanche un mese dalla prima assoluta dell’Adam’s Passion spuntato a Parigi in un’altra prima mondiale, Y Olé!, lo spettacolo di danza meticcia e contemporanea a firma del coreografo francese Josè Montalvo.

Di analogo peso drammaturgico nell’ottica totalizzante e non esenti da marchi spiccatamente wilsoniani riconoscibili ad esempio nell’Orfeo monteverdiano per la Scala dell’anno 2011, il linguaggio delle luci ideato dal regista nato a Waco nel Texas e mirabilmente curato dal light designer A. J. Weissbard, i costumi dai vari luoghi del tempo di Carlos Soto e gli effetti garantiti da Tilman Hecker (co-regista), Serge von Arx (co-scenografo), Konrad Kuhn (drammaturgia), Carmen Kotkas e Helga Aliis Saarlen con Manuela Halling (trucco e parrucco).

In dimensione paritetica ma di primaria importanza per una tale forma d’arte al platino si è naturalmente rivelata la costruzione musicale quadripartita del compositore classe ’35 Arvo Pärt, diretta nell’occasione (così come al varo in Estonia) da uno specialista della sua produzione, Tõnu Kaljuste, articolandosi come segue fra pagine preesistenti e un brano inedito composto per la Passione: la Sequentia per orchestra d’archi e percussioni, creata appositamente fra il 2014 e il 2015 con dedica a Robert Wilson; l’Adam’s Lament (2009) per coro misto e orchestra d’archi su testo russo dell’asceta San Silvano del Monte Athos con dedica al discepolo divulgatore l’Archimandrita Sofronio; Tabula rasa (1977) per due violini, orchestra d’archi e pianoforte preparato in omaggio ai poi celeberrimi interpreti Klas, Kremer e Grindenko; il Miserere (1989-1992) per soli, coro misto ensemble e organo, dedicato a Paul Hillier e all’Hilliard Ensemble, in stile tintinnabuli sul doppio testo che significativamente giustappone il Salmo 50 e i versetti della più celebre Sequenza sul giorno del Giudizio rimasta in vigore all’interno di ogni Requiem, il Dies Irae, fino alla terzina del Rex tremendae.
A fronte dell’altissimo impegno dei professori dell’Orchestra e degli artisti del Coro dell’Opera di Roma, questi ultimi preparati dal maestro Ciro Visco lavorando sull’esatta tornitura timbrica e sulla fondamentale scansione ritmica dei peculiari pentagrammi di Arvo Pärt, va riconosciuto l’ampio merito di tutti i musicisti in campo. In particolare si lodano i violini solisti Vincenzo Bolognese e Francesco Malatesta per Tabula rasa, un doppio Concerto in due tempi (Ludus e Silentium) fitto di asperità in termini di tenuta a fil di lama per suono e intonazione, incastri ritmici e intervallari, armonici adamantini e per un’intensità tematica a ricaduta riconoscibile in uno dei brani cult di John Williams. E, non da ultimo, per quell’originale stile tintinnabuli da qui a seguire tra le cifre distintive del compositore, costruito sull’arpeggio della triade di tonica per la prima voce e a cui risponde in moto diatonico graduale la seconda.
In pari misura si apprezzano, negli altri tasselli musicali, il suono messo a segno dagli archi, i rilievi a pasta acida dei legni alla Prokof’ev, l’essenza minimalista e il peso fondamentale riconosciuto alle pause, i poderosi grappoli di suoni al pianoforte preparato e, nei brani con coro, la potenza dei modi gregoriani di rinvio al miliare Aleksander Nevskij, il vibrante puntato trocaico sulle singole parole del Dies Irae, la doppia funzione (narrante e in monologo dolente) rispettivamente assegnata alla formazione mista e alle sole voci maschili nel bellissimo Lamento di Adamo.
Bravi, inoltre, tutti e cinque i solisti dell’Estonian Philharmonic Chamber Choir: il soprano dai sovracuti lucenti Yena Choi, il contralto dal timbro morbido Marianne Pärna e gli ottimi Raul Mikson (tenore), Rainer Vilu (baritono), Henry Tiisma (basso).
Lunghi gli applausi al termine per tutti gli artisti al proscenio e tanti gli entusiasmi per il grande Bob Wilson.

Teatro dell’Opera di Roma – Stagione 2022/23
ADAM’S PASSION
Musica Arvo Pärt
Regia, scene e luci Robert Wilson
Direttore musicale e direttore d’Orchestra Tönu Kaljuste
Maestro del coro Ciro Visco
Disegno luci A. J. Weissbard
Co-regista Tilman Hecker
Co-scenografo Serge von Arx
Costumi Carlos Soto
Drammaturgia Konrad Kuhn
Make up Carmen Kotkas e Helga Aliis Saarlen
con Manuela Halligan

Woman Lucinda Childs
Man Michalis Theophanous
Heavy Man Endro Roosimäe
Another Heavy Man Erki Laur
A Woman Tatjana Kosmönina
Another Woman Triin Marts
Boy Ernesto Ruggiero
Girl Virginia Torta
Another Boy Oliver Reimann
Another Girl Julia Balzaretti
Tall Man Madis Kolk
Tall Boy Nicolò Troiano
Solisti dell’Estonian Philharmonic Chamber Choir
Coro degli alberi MP3 dance project
diretto da Michele Pogliani
Violini solisti dell’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma:
Vincenzo Bolognese
Francesco Malatesta

Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
con la partecipazione della Scuola di Danza
del Teatro dell’Opera di Roma diretta da Eleonora Abbagnato
In coproduzione con EUR S.p.A.
Produzione Originale di Eesti Kontsert /
Estonia e Change Performing Art

Prima rappresentazione italiana
Roma, Centro Congressi La Nuvola, 1 aprile 2023

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