Lo storico Franco Cardini, in un suo saggio del 2017, lo ha definito “il signore della paura”. Tamerlano, mitico condottiero turco – mongolo vissuto tra il 1336 e il 1405, in un trentennio di campagne militari occupò Persia, Iraq e Anatolia, spingendosi sino all’India, arrestando temporaneamente l’ascesa della potenza ottomana. Tiranno superbo e sanguinario, fu in realtà anche protettore di poeti ed artisti, ma è passato alla storia storia soprattutto per la sua fama di implacabile conquistatore. Parte proprio da qui la lettura del regista Stefano Monti per il capolavoro di Antonio Vivaldi, Il Tamerlano, visto a Piacenza dopo il debutto a Ravenna.
Monti, che firma anche scene e costumi, ripropone in modo invero originale il tema ricorrente del “ba-rock”, declinandolo in chiave dark. Allestimento caratterizzato quindi dal colore nero, con i protagonisti che sembrano rockstar, doppiati dai bravissimi mimi/danzatori di Dacru Dance Company che si muovono come moderne marionette, restituendo nei gesti nervosi i loro sentimenti e le loro passioni. Un grande monolito nero sospeso sul palco, che si piega in varie modalità nel corso dell’opera, costituisce di fatto l’elemento scenico fondamentale, allusione alla meraviglia della macchina barocca. Le luci di Eva Bruno rispondono in modo adeguato a questa concezione registica, così come i contenuti video e 3D a cura di Cristina Ducci, le sculture di Vincenzo Balena, le pitture su tela di Rinaldo Rinaldi e Maria Grazia Cervetti e le illustrazioni di Lamberto Azzariti. Lo spettacolo non si può definire certo “bello”. È anzi cupo, astorico, caratterizzato da una certa ripetitività ma ha pure una sua interna coerenza e non mancano momenti apprezzabili (che sono poi quelli dove i mimi hanno spazio, anche se alla lunga la loro presenza può risultare stucchevole).
Dal punto di vista musicale, Il Tamerlano di Vivaldi è un “pasticcio”, ossia un lavoro che mette insieme arie sue e pagine di altri compositori coevi, come era abitudine all’epoca. Mancando poi cinque arie delle quali si è conservato il testo e non la musica, sono state sostituite con altrettante arie dello stesso Vivaldi, di Johann Adolf Hasse e di Geminiano Giacomelli. Peraltro, sono proprio di quest’ultimo compositore le pagine forse più note, ovvero “Sposa son disprezzata” e “Barbaro traditor”. Nonostante tale eterogeneità, l’impressione generale è di una forte unità musicale e drammaturgica. Merito anche della direzione di Ottavio Dantone, alla guida della “sua” Accademia Bizantina in gran spolvero. Anzitutto, Dantone lavora a fondo sui recitativi, restituiti con intensità e varietà espressiva, con i cantanti impegnati a imprimere alle parole il giusto peso drammatico. C’è poi la sua guida sempre precisa, vibrante, con un passo teatrale spedito che tuttavia non sacrifica un virtuosismo sapido ma mai eccessivo. Il lavoro sulle dinamiche è curatissimo, con numerose sfumature e un fraseggio ovunque ricco di colori, con sonorità sempre morbide e tornite, anche quando la scrittura si fa scattante.
Filippo Mineccia, nel ruolo eponimo, esibisce una voce ampia e rotonda, con una fluidità d’emissione non sempre perfettamente a fuoco e con qualche lieve problema di intonazione nella seconda parte. La voce è comunque bella e le intenzioni sono sempre efficaci. Proprio come accade per Federico Fiorio (Andronico): voce chiara ed estesa, di colore spiccatamente sopranile, vanta una duttilità notevole e una intensa musicalità. Ottima la prestazione di Giuseppina Bridelli quale Idaspe: non solo il timbro ha un pregevole colore, ma la voce risulta sempre sicura nel virtuosismo, nonché ben appoggiata e proiettata. La Irene di Shakèd Bar si fa apprezzare sia nella dolente elegia di “Sposa son disprezzata” che nelle volute di “Qual guerriero in campo armato”. Bruno Taddia è un Bajazet altero e protervo, di incisiva presenza scenica, mentre Delphine Galou (Asteria) fa annunciare una lieve indisposizione a inizio recita e dunque diremo solo della consueta proprietà stilistica che caratterizza le sue esibizioni. Caloroso il successo per tutti, in un teatro quasi esaurito.
Teatro Municipale – Stagione 2022/23
IL TAMERLANO
ovvero la morte di Bajazet [RV703]
Tragedia per musica in tre atti
Libretto di Agostino Piovene
Musica di Antonio Vivaldi
Tamerlano Filippo Mineccia
Bajazet Bruno Taddia
Asteria Delphine Galou
Andronico Federico Fiorio
Irene Shakèd Bar
Idaspe Giuseppina Bridelli
Accademia Bizantina
Direttore al clavicembalo Ottavio Dantone
Regia, scene e costumi Stefano Monti
Luci Eva Bruno
Contenuti video/3D Cristina Ducci
Pittura su tela Rinaldo Rinaldi, Maria Grazia Cervetti
Sculture Vincenzo Balena
Illustrazioni Lamberto Azzariti
Dacru Dance Company
Coreografie Marisa Ragazzo, Omid Ighani
Nuovo allestimento
Coproduzione Teatro Alighieri di Ravenna.
Teatro Municipale di Piacenza, Teatro Valli di Reggio Emilia,
Teatro Comunale Pavarotti-Freni di Modena, Teatro del Giglio di Lucca
Piacenza, 22 gennaio 2023
Foto di copertina: Zani-Casadio