Il viaggio a Reims di Gioachino Rossini compie 39 anni dalla sua riscoperta. E mentre già fervono i preparativi per i festeggiamenti che, l’anno prossimo, segneranno il quarantennale della più importante riscoperta rossiniana del Novecento, il Rossini Opera Festival prosegue nelle intenzioni – originariamente di Alberto Zedda – di affiancare alla rassegna ufficiale un ‘Festival Giovane’, che porti alla ribalta gli allievi dell’Accademia Rossiniana che, ogni anno, costituisce un importante vivaio di giovani leve del belcanto. È con immutata gioia che ci si ritrova ogni anno ad assistere a una produzione rimasta praticamente immutata sin dal debutto, avvenuto nell’ormai lontano 2001, per almeno un paio di ragioni. La prima è che lo spettacolo di Emilio Sagi e Pepa Ojanguren segue le vicende – ma in questo caso sarebbe meglio dire le vicissitudini – del Festival, scandendone le tappe: allestito per la prima volta al Palafestival – Adriatic Arena, dove è stato rappresentato per il primo quinquennio, lo spettacolo è stato poi sempre ripreso al Teatro Rossini, fino al 2019 e poi nuovamente dal 2021, mentre nel 2020 è stato ospitato en plein air a Piazza del Popolo a causa dell’emergenza pandemica. Quest’anno, attesa la temporanea inagibilità del Rossini, è stato presentato nella cornice non certo ottimale del Teatro Sperimentale: non tanto per ragioni estetiche, quanto perché ha costretto l’orchestra a prender posto sul palcoscenico, dietro la striscia di proscenio riservata all’azione, mentre il continuo trovava posto all’altezza della platea. È una produzione che scandisce i luoghi del Festival, e che è comunque piacevole rivedere, anche in condizioni non proprio ottimali. Pochi i ritocchi (il più spiritoso è forse la manicure di Madama Cortese) di una messinscena, quest’anno ripresa da Matteo Anselmi, che conferma intatte vitalità, freschezza, inventiva.
Ma una seconda considerazione merita forse attenzione e riguarda la frequenza dell’Accademia. Mentre nel corso dei primi anni, infatti, era destinata a debuttanti, l’edizione odierna si fregiava della partecipazione di artisti già in carriera, che probabilmente seguono i corsi per aggiungere un ulteriore tassello al curriculum, ma che naturalmente danno prova di una padronanza della scena già saldamente conquistata. E tutto questo a voler tacere dell’ormai annoso problema del Conte di Libenskof, la cui vocalità è talmente impervia da richiedere il ritorno di un ex allievo, Pietro Adaíni, che infatti il Festival «ringrazia per la disponibilità». Bisogna riconoscere che, in fin dei conti, non tutti i mali vengono per nuocere: nel caso del tenore siciliano, per esempio, questo gli consente di siglare una delle prove più convincenti degli ultimi anni. Esibisce infatti un’invidiabile sicurezza, una morbidezza di emissione (bellissimo l’attacco di «Non pavento alcun periglio…») e una cura delle mezzevoci che coniuga con l’insolenza di un registro sovracuto svettante nelle rapinose strette del Sestetto come del Duetto.
Sono almeno tre le preziose conferme. Si ritaglia un buon quarto d’ora di celebrità Vittoriana De Amicis, salutata da vibranti applausi al termine della grande Aria della Contessa di Folleville: in cui non sai se rimanere ammaliato dagli esilaranti capricci del personaggio o, più semplicemente, dalla scioltezza di una coloratura scorrevole ed elegantissima, esaltata da accattivanti variazioni di bravura, flautate messe di voce, picchiettati sgranati con la mitragliatrice. Un ritratto calamitante, tutto da gustare e applaudire. Ma non minor riscontri registra la Corinna di Martina Russomanno: l’affondo di «Arpa gentil» ne mette a profitto l’intensità del lirismo immacolato e il legato perlaceo, valorizzati da un timbro seducente. Restituisce in pieno il carattere onirico, subitamente inebriante della sua inattesa apparizione, mentre poi tratteggia il personaggio con ammirevole originalità: la figura volitiva e slanciata le permette di partecipare con arguzia e umorismo alle schermaglie amorose con i suoi pretendenti, che inchioda con i suoi sovracuti e i brillanti trilli. Merita un plauso anche Paolo Nevi, che abilmente si disimpegna nel tratteggiare il «vivace ardor» del Cavalier Belfiore: è spiritoso e aitante, sfrontato e galante, con il suo ciuffo ribelle conquista la bella Corinna con invidiabile dominio della scrittura rossiniana.
Due sono invece le felicissime soprese da registrare. La prima riguarda la temperamentosa Melibea di Saori Sugiyama, sicuramente una tra le migliori degli ultimi anni: la pastosità del timbro, il gusto e la classe di un fraseggio sapidamente elaborato, il controllo dello strumento e la fluidità delle fioriture ne fanno un’interprete accattivante e pienamente convincente. Ottiene grandi applausi anche l’ironico, inattaccabile don Profondo di Giuseppe Toia, ancora una volta nella tradizione che fu di Ruggero Raimondi, replicata con vivacità contagiosa ed entusiasmo nei sillabati.
Ma si è trattato comunque di un’annata di pregio. Meritano una menzione particolare la gradevole Madama Cortese di Maria Rita Combattelli, adeguatamente combattiva nella scena d’Introduzione, come la pimpante Maddalena di Seray Pinar; sul fronte maschile sono pure perfettamente in parte il brioso Trombonok di Andrés Cascante e l’ottimo Prudenzio di Omar Cepparolli, mentre Giacomo Nanni deve ancora maturare l’impegnativo ruolo di Lord Sidney. Contribuiscono al successo dello spettacolo Miyoung Lee (Modestina), Sabrina Gárdez (Delia), Valerio Morelli (Antonio), Luigi Morassi (Gelsomino e Zefirino) e Michele Galbiati (Don Luigino), come il piccolo Guido Della Chiara, chiamato a suggellare l’opera nei panni di re Carlo X.
A tenere saldamente le redini è la giovanissima ma solida bacchetta di Andrea Foti: nonostante le difficoltà legate al controllo di uno spettacolo che andava in scena alle sue spalle, assicura un affidabile raccordo con la Filarmonica Gioachino Rossini, duttile nell’assecondare le intenzioni del direttore e nel seguire i cantanti. Tempi stringati ed efficaci, varietà e giusta inventiva nelle riprese garantiscono l’interesse di una lettura che salvaguarda la tenuta d’insieme e rende sempre accattivante il racconto musicale. E regala un sorriso, sempre il più bel dono di Rossini ai suoi ascoltatori.
Teatro Sperimentale – Rossini Opera Festival – XLIV edizione
IL VIAGGIO A REIMS
Dramma giocoso in un atto di Luigi Balocchi
Musica di Gioachino Rossini
Edizione critica della Fondazione Rossini,
in collaborazione con Casa Ricordi,
a cura di Janet Johnson
Corinna Martina Russomanno
Marchesa Melibea Saori Sugiyama
Contessa di Folleville Vittoriana De Amicis
Madama Cortese Maria Rita Combattelli
Cavalier Belfiore Paolo Nevi
Conte di Libenskof Pietro Adaíni
Lord Sidney Giacomo Nanni
Don Profondo Giuseppe Toia
Barone di Trombonok Andrés Cascante
Don Alvaro Matteo Mancini
Don Prudenzio Omar Cepparolli
Don Luigino Michele Galbiati
Delia Sabrina Gárdez
Maddalena Seray Pinar
Modestina Miyoung Lee
Zefirino – Gelsomino Luigi Morassi
Antonio Valerio Morelli
Carlo X Guido Della Chiara
Filarmonica Gioachino Rossini
Direttore Andrea Foti
Elementi scenici e regia Emilio Sagi
ripresa da Matteo Anselmi
Costumi Pepa Ojanguren
Luci Fabio Rossi
Maestro al fortepiano Rubén Sánchez-Vieco
Pesaro, 18 agosto 2023