Ed il Rof fa 39. Con la messa in scena di Eduardo e Cristina, il Rossini Opera Festival completa il ciclo delle opere del grande compositore pesarese. Il lavoro, andato in scena con successo nel gennaio 1819 al veneziano Teatro San Benedetto, ebbe numerose repliche sino a fine anni Trenta dell’Ottocento, per poi cadere nell’oblio. Come noto, Eduardo e Cristina è un “centone”, ossia riutilizza pagine di altre opere già composte: pratica, quest’ultima, molto diffusa tra Sette e Ottocento, e adottata con una certa disinvoltura dallo stesso Rossini, al punto da pesare sul giudizio storico e critico espresso sul compositore. Il quale – va pure detto – era perfettamente consapevole della “discutibilità” di tale pratica (lo confessò in occasione della pubblicazione della sua opera omnia, quando il clima culturale era mutato e l’autoimprestito, di fatto, sparito). La cosa tuttavia stupefacente è che, a dispetto del pregiudizio, questa opera (e anche le altre del pesarese forgiate con lo stesso metodo) funziona perfettamente. Chi conosce a menadito le opere di Rossini, identifica facilmente la provenienza dei brani che, come le tessere di un mosaico, la compongono. Ma questo non inficia la perfetta coerenza dell’insieme e la tenuta complessiva di un lavoro di notevolissima qualità artistica. Per dovere di cronaca, annotiamo anche le opere di provenienza delle pagine che costituiscono Eduardo e Cristina: Adelaide di Borgogna, Ermione, Mosè in Egitto; vi sono inoltre brani di Stefano Pavesi (che nel 1810 mise in musica il libretto poi riutilizzato da Rossini), nonché piccole parti la cui autografia rossiniana è dubbia (così come i recitativi secchi, attribuiti a un copista). Rossini non si limitò a “spostare” la sua musica, ma la sottopose a una revisione che la rese aderente alla nuova destinazione. Di tutto questo, scrivono con perizia e puntualità Andrea Malnati e Alice Tavilla, gli studiosi che hanno curato per il Rof la prima edizione critica (Eduardo e Cristina è stata ripresa due sole volte in tempi moderni, al festival Rossini in Wildbad, nel 1997 e nel 2017, ma in assenza di una edizione critica).
L’esecuzione pesarese è di ottimo livello, sia dal punto di vista musicale che scenico. Ritroviamo qui, a firmare regia, scene, costumi, luci e coreografia, quello stesso Stefano Poda che tanto ha fatto discutere con la sua Aida areniana. Per certi aspetti, siamo di fronte a spettacoli simili, giocati sulla potente forza evocativa della dimensione rituale. Un rito che a Pesaro si connota tuttavia per un carattere tribale che si esplica nella fisicità ora greve, ora vigorosamente atletica, di un gruppo di eccellenti performer che, di fatto, sono il perno della rappresentazione. Protagonisti e coro interagiscono con loro e ne vengono talvolta fagocitati. Sta a loro dettare il ritmo dello spettacolo, che viene a configurarsi come una performance di arte contemporanea, ove contenitore e contenuto interagiscono al fine di creare, per chi vi assiste, un’esperienza emotivamente coinvolgente e intellettualmente stimolante. Chiaro che una simile scelta è in un certo qual modo facilitata della dimensione astratta dell’estetica musicale rossiniana e, paradossalmente, dalla originaria debolezza dell’impianto drammaturgico di questo lavoro (ma Dio solo sa quanti sono i capolavori musicali teatralmente inconsistenti…).
La scena è una sorta di enorme gabbia metallica- illuminata da luci fredde – ai cui lati si scorgono, come nelle celle di un obitorio, le sagome bianche replicate più volte di capolavori della storia dell’arte (il celebre nudo di Rodin ma anche la Dafne di Bernini); nel secondo atto, i performer muovono cubi che contengono parti di una grande scultura che viene composta nel finale, celebrando così l’unione ritrovata tra gli sposi protagonisti. Anche se poi il regista spiazza il pubblico proprio sulle ultime note (ma non diremo come, lasciando a chi guarda la sorpresa).
Alla guida dell’ottima Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, Jader Bignamini coglie la giusta misura per restituire il respiro apollineo della musica di Rossini, ma anche la sua incandescente temperatura romantica. Da una parte si apprezza così la chiarezza del disegno orchestrale, il nitore delle voci strumentali, dall’altra la capacità di conferire alla narrazione un incedere teatrale grazie alla ricchezza dei colori e al rilievo dato alle dinamiche. Sensibile, poi, l’accompagnamento delle voci. Che sono tutte all’altezza del gravoso compito. A cominciare da Enea Scala, che torna a Pesaro dopo il successo dell’Otello dello scorso anno. Anche in questo caso, la parte di Carlo è impervia (la sua gran scena non è altro che quella di Ermione qui trasportata), ma il tenore siciliano esce vincitore dall’agonico confronto con una scrittura che lo obbliga a muoversi tra note gravi di consistenza quasi baritonale e acuti squillanti. Il colore è bello, omogeneo lungo tutto il registro, e l’interprete attento ed efficace. Lo stesso dicasi per Anastasia Bartoli (Cristina), la cui magnetica presenza scenica si unisce a una voce di indiscutibile bellezza timbrica, peraltro di notevole volume e ben proiettata. Qualcuno obietterà che non si tratta di una cantante rossiniana, ma il soprano viene a capo con onore dei momenti virtuosistici, conferendo un pregevole respiro a quelli lirici e lavorando molto sulla recitazione. Fine rossiniana è invece Daniela Barcellona, che tratteggia con la consueta eleganza e precisione stilistica il ritratto di un Eduardo tanto fiero quanto amoroso e sdegnato. Grigory Shkarupa (Giacomo) ha voce ampia e di bel colore scuro, mentre il giovane Matteo Roma (Atlei) si fa notare per la incisiva esecuzione della difficile sua aria (firmata da Pavesi). Perfettibile la prova del coro del Teatro Ventidio Basso, istruito da Giovanni Farina.
Rossini Opera Festival
EDUARDO E CRISTINA
Dramma per musica in due atti di T.S.B.
Musica di Gioachino Rossini
Edizione critica della Fondazione Rossini,
in collaborazione con Casa Ricordi,
a cura di Andrea Malnati e Alice Tavilla
Carlo Enea Scala
Cristina Anastasia Bartoli
Eduardo Daniela Barcellona
Giacomo Grigory Shkarupa
Atlei Matteo Roma
Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai
Direttore Jader Bignamini
Coro del Teatro Ventidio Basso
Maestro del Coro Giovanni Farina
Regia, Scene, Costumi, Luci e Coreografie Stefano Poda
Regista collaboratore Paolo Giani
Pesaro, Vitrifrigo Arena, 8 agosto 2023