Non di solo Verdi vive la culturalmente vivacissima Parma. È la chitarra in questo momento a farla da padrona, dalla Casa della musica all’auditorium del Conservatorio e in tanti altri luoghi disseminati in città. Dal 25 al 28 maggio, va in scena la XXIII edizione del Paganini Guitar Festival, quest’anno dedicato ai colori spagnoli (Alma Latina). Il programma è densissimo: un convegno consacrato alla didattica chitarristica, un concorso, due mostre (una di liuteria storica e l’altra moderna), eventi e ricorrenze (ovviamente, non poteva mancare il “Paganini day”, il venerdì 27 maggio, in occasione dei 183 anni della morte). E tanti concerti, on e off. Il festival negli anni è cresciuto, imponendosi come un evento internazionale di riferimento. L’impressione se ne poteva avere chiaramente al concerto d’inaugurazione. Che – caso unico – sfoggiava nello spazio della stessa sera una serie di astri. Sul palco sono saliti – oltre all’orchestra I musici di Parma e a Stephen Goss, compositore gallese “in residence” – tre solisti di grido: Lorenzo Micheli, Anabel Montesinos e Thibaut Garcia. Un cocktail inebriante, particolarmente apprezzato dal pubblico di una serata “tutto esaurito”.
Si comincia con l’ouverture del Barbiere di Siviglia. Un ammiccamento al factotum Figaro che suona pure la chitarra tanto in Beaumarchais quanto in Rossini? Comunque sia, il tono è subito dato: sotto la direzione di Giampaolo Bandini, che è pure il direttore artistico del festival, I musici di Parma sono una compagine di tutto rispetto, tecnicamente ineccepibile, che riunisce ottimi solisti, particolarmente affiatati. Poi si passa alla romanza della Grande sonata MS 3 di Paganini, trascritta per sola orchestra da Goss su specifica richiesta del festival. Un bell’esempio di orchestrazione con un uso sapiente della strumentazione d’epoca.
Dopo questo inizio tutto orchestrale, la chitarra fa il suo ingresso. Lorenzo Micheli offre al pubblico un’esecuzione raffinatissima del non famosissimo Concerto p. 99 di Mario Castelnuovo-Tedesco. Alla fine, sarà il secondo movimento lento a imporsi come la parte migliore: Micheli sfodera un cantabile ammaliante. Nella seconda parte del concerto, è l’immancabile Joaquin Rodrigo a imporsi. Spetta a Anabel Montesinos la Fantasia para un Gentilhombre che l’autore dedicò al mitico Andrés Segovia. Vi si ritrovano temi e procedure che vengono dalla musica antica. La Montesinos è a suo agio tanto nelle (numerose) pagine virtuosistiche quanto in quelle più espressive. Questa ricca tavolozza di colori permette anche all’orchestra di brillare: bravissima la tromba.
Alla fine, spunta la star delle star: Thibaut Garcia. Sin dalle prime note, appare subito chiaro che il successo planetario del giovane chitarrista francese non è un effetto delle campagne di comunicazione. Garcia è un prodigio, dalle qualità che straripano. Con la sua posizione della mano inconfondibile “alla Segovia” (polso e palmo quasi verticali), Garcia esibisce una naturalezza invidiabile: con lui tutto sembra facile, dai toni quasi da conversazione evanescente tra amici. I rudi movimenti rapidi sgorgano sotto le sue dita senza comunicare alcuna impressione di difficoltà. E il popolarissimo secondo movimento gli permette di ostentare la sua sicura musicalità che poi confermerà il bis, una pagina lenta di Marin Marais.
Purtroppo, anche i concerti più belli hanno le loro stecche. Quella di questi Ecos de España, che sono risuonati nel bellissimo Auditorium del Carmine, è stato il ricorso ad una amplificazione molto invadente: una certa misura avrebbe alla fine valorizzato gli artisti.
Un’esplosione di applausi, in ogni caso, ha salutato, a ragione, una serata che di banale non aveva nulla.