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Parigi, Opéra Bastille – Nixon in China (con Renée Fleming e Thomas Hampson)

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Era indiscutibilmente uno degli appuntamenti più attesi della stagione. O forse, proprio il più atteso. Perché il titolo, anche se certo comincia a circolare, non è di routine. E poi perché riuniva in un colpo solo tre artisti dai nomi roboanti: Gustavo Dudamel, Thomas Hampson e Renée Fleming. Per queste e per altre ragioni, gli occhi erano tutti puntati su Nixon in China in scena all’Opéra national de Paris, nello spazio di Bastille, fino al prossimo 16 aprile. Va detto subito, si è trattato effettivamente di una produzione di eccellente livello, una di quelle all’altezza della tradizione del primo teatro operistico francese di cui ha saputo sfruttare tutto il potenziale, anche tecnico. Gli applausi lo confermano: il pubblico esce entusiasta.

La regista Valentina Carrasco sa abilmente servirsi dei mezzi di questa sala sterminata. Divide, per lo più, il palcoscenico in due piani sovrapposti: in uno dei due, si svolge un’azione parallela a quella del libretto. Lo spettatore assiste ai due livelli che si completano e si intrecciano. Vediamo un violinista essere prima arrestato e poi torturato. Capiremo alla fine che si tratta di un professore del conservatorio di Shangai che Isaac Stern incontrò nel 1979 girando il documentario From Mao to Mozart: Isaac Stern in China di cui vedremo alcuni estratti durante l’opera. C’è, infatti, anche un video in questa produzione e la scelta non ha nulla di gratuito.
Da un viaggio all’altro, quello di Nixon e della delegazione americana in Cina risale a qualche anno prima, il 1972. John Adams e la librettista Alice Goodman ne fanno un soggetto per un’opera, che dopo due anni di scrittura, è rappresentata per la prima volta a Houston nel 1987. Peter Sellars ne firmò la prima regia da cui la Carrasco ha scelto di sganciarsi. Lei ha puntato sull’ironia. Quella ad esempio potenziata dalle mimiche di Kathleen Kim nei panni della moglie di Mao. E soprattutto, la regista italo-argentina esalta il gioco del ping-pong: basandosi anche in questo caso su una vicenda vera (la gara tra atleti cinesi e americani), fa di questo sport un elemento scenico quasi onnipresente. Dal risultato plastico, indiscutibilmente molto efficace.

Il direttore Gustavo Dudamel assicura una lettura impeccabile che però non riesce a far dimenticare quella di Alexander Briger allo Châtelet nel 2012. Quest’ultimo offrì una direzione più coinvolgente, sensuale, quasi ipnotica. Invece, dalla fossa con Dudamel, molte pagine fuoriescono del tutto piatte e incolori.

Il cast è di prestigio, come si diceva. Renée Fleming (Pat Nixon) è assolutamente ineccepibile. La first lady è perfettamente credibile e la sua voce, ancora tanto elegante quanto accurata, scolpisce musicalmente il personaggio. L’altra eroina femminile non è invece allo steso livello: Kathleen Kim è un’attrice geniale, ma come cantante le fa difetto il volume. E così il celebre I am the wife of Mao Tsetung cade nel vuoto, quasi ignorato, mentre dovrebbe essere uno dei momenti di rilievo dello spettacolo. Thomas Hampson, nei panni dell’eroe eponimo, vive di rendita: il senso musicale innato, l’esperienza, l’autorevolezza guadagnata sul campo lo salvano, ma della voce di un tempo non resta più molto. Bravo il tenore americano John Matthew Myers (Mao) dal timbro cristallino. Pure del tutto convincente il basso Joshua Bloom, nei panni di Kissinger, all’epoca semplice consigliere di Nixon: una voce profonda, quasi cavernosa, conferisce al personaggio un potere occulto, insospettato a prima vista. Ma sicuramente la rivelazione della serata resta il baritono Xiaomeng Zhang (Zhou Enlai), formato al conservatorio di Shangai: una prestanza vocale incredibile per un cantante che faceva il suo debutto a Parigi, un controllo tecnico inossidabile, una rotondità timbrica che ammalia vanno citati tra le sue principali qualità.
E facendo un bel po’ di rumore, Nixon in China entra alla fine nel repertorio dell’Opéra national de Parisi.

Parigi, 4 aprile 2023

Photo copertina: Elisa Haberer

 

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