Al Teatro Verdi di Padova va in scena il 22 ottobre 2023 una Bohème viziata essenzialmente da due problemi di fondo: 1) la scenografia di Fabio Carpene, bella ed efficace, prevede che la stanza dei bohémien sia collocata su un’impalcatura edilizia piuttosto arretrata rispetto al boccascena; questo però sembra causare non poche difficoltà alle voci, che in sala semplicemente non si sentono e che non di rado hanno problemi d’insieme con l’orchestra; per ascoltare decentemente Rodolfo e Mimì infatti occorrerà aspettare il secondo atto. 2) La direzione musicale di Alvise Casellati, che non riesce a coordinare il complesso ensemble né ad arginare il fragore della nutrita orchestra. Ma andiamo con ordine.
Nel primo quadro la vivacità della partitura pucciniana viene resa con una certa efficacia, benché senza particolare brio; come anticipato, però, le voci sono pressoché completamente sovrastate dall’orchestra. Rodolfo – che doveva essere interpretato da Stephen Costello ma è stato sostituito da Davide Tuscano – presenta sin dall’inizio una certa tensione sul registro acuto, dovuta forse anche alle complesse contingenze sceniche. Claudia Pavone (Mimì) entra in scena quasi solfeggiando la sua parte. Non risulta particolarmente a proprio agio, verosimilmente per la distanza con il podio e i problemi acustici che questo deve aver comportato; la sua Mimì appare civettuola e manierata, vocalmente piuttosto spinta: la voce grande, piena e dotata di un ampio vibrato, risulta in quel contesto poco incline a conferire dolcezze e delicatezze a un personaggio sì astuto e volitivo, ma anche tenero e fragile.
Efficace la regia di Bepi Morassi, che rispetta il testo e attualizza l’opera senza stravolgerla. Il secondo quadro inizia con la bella trovata di far entrare le masse corali dai diversi ingressi della platea, per far guadagnare loro solo gradualmente il palcoscenico. I personaggi vengono disposti questa volta di fronte al praticabile in tubi innocenti, al pianterreno del quale è collocato il caffè Momus. Le scene d’insieme risultano di grande efficacia visiva ma musicalmente caotiche: la massa sonora dell’orchestra è colossale e sovrasta cori e solisti, costretti a gridare. Non sono d’aiuto le percussioni disposte nelle barcacce di proscenio, che contribuiscono a saturare la sala. Buona comunque la prova del Coro Lirico Veneto diretto da Giuliano Fracasso, ottima quella del Coro di voci bianche A.Li.Ve diretto da Paolo Facincani: voci chiare, distinte, perfettamente intonate e a tempo, inserite nella vicenda e impeccabili nei loro movimenti scenici. Il secondo atto permette di apprezzare finalmente a pieno la voce di Tuscano, che si conferma molto teso soprattutto sugli acuti, che un paio di volte gli riescono a stento, benché dotato di un timbro chiaro e brillante, forse non lavorato al cesello su Rodolfo, ma ricordiamo che si tratta di una sostituzione dell’ultimo momento.
Sorprendenti invece – e in positivo – i personaggi gregari: William Hernandez (Schaunard) già si era distinto tra i bohémien nel problematico praticabile del primo atto; a terra rivela una voce naturalmente chiara, potente e agile, impreziosita da notevoli doti attoriali. Così anche Jorge Nelson Martínez (Marcello), che interpreta ottimamente, con intenzione e pathos, il difficile duetto con Mimì alla Barriere d’Enfer, ma che un po’ trascina lo stanco duetto con Rodolfo all’inizio del quarto. Alejandro Lopez (Colline) è dotato di una voce cavernosa e solenne, ottima dizione e appare ben calato nel ruolo del filosofo; questi conferisce alla sua vecchia zimarra una grandezza degna di Filippo II e al contempo il disincanto della scalcinata bohème. Riuscitissima la Musetta di Giulia Mazzola, che riesce non solo a fendere la baraonda delle scene d’insieme grazie al diamante della sua voce, ma addirittura a farlo con espressività e ricercatezza.
Casellati sembra fin troppo indaffarato a tenere insieme palco e buca (e barcacce) per occuparsi di dettagli dinamici e agogici, o addirittura interpretativi o poetici: non di rado le cadenze risultano scoordinate e – nei luttuosi accordi del finale, per esempio – affrettate. Le sezioni dell’orchestra sono spesso sbilanciate: ottoni incontenibili (rectius: non contenuti), timpani – per esempio nel terzo atto – tanto fragorosi da risultare del tutto estranei all’insieme, per altro spesso faticoso. Le figurazioni musicali reiterate che costituiscono alcune delle peculiari pennellate nella partitura di Puccini (per raffigurare, per esempio, il gelo e la neve, ma gli esempi si potrebbero contare a decine), dinamicamente piatte, spente. La direzione musicale, in sintesi, fatica a gestire la complessa macchina scenica, vocale e orchestrale, con ricadute esiziali su un cast altrimenti di tutto rispetto.
Teatro Verdi – Stagione lirica 2023
LA BOHÈME
Opera in quattro quadri
Libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica
dal romanzo Scènes de la vie de Bohème di Henry Murger
Musica di Giacomo Puccini
Mimì Claudia Pavone
Rodolfo Davide Tuscano
Musetta Giulia Mazzola
Marcello Jorge Nelson Martínez
Schaunard William Hernandez
Colline Alejandro López
Benoît / Alcindoro Enrico Di Geronimo
Parpignol Bruno Nogara
Sergente dei doganieri Francesco Toso
Un doganiere Stefano Lovato
Un venditore ambulante Roberto Capovilla
Orchestra di Padova e del Veneto
Coro Lirico Veneto
Direttore Alvise Casellati
Maestro del coro Giuliano Fracasso
Coro voci bianche diretto da Paolo Facincani
Regia Bepi Morassi
Scene Fabio Carpene
Padova, 22 ottobre