Dopo Pesaro, Rossini sembra aver trovato una seconda casa a Novara. Le iniziative del RossiniLab, che hanno messo in relazione il Teatro Coccia con il Conservatorio Guido Cantelli, hanno già dato frutti significativi con la messa in scena di due farse (La cambiale di matrimonio e L’occasione fa il ladro, in attesa de L’inganno felice già previsto per il prossimo autunno). Intanto al Coccia, che nel 2022 aveva già proposto una riuscita Cenerentola, si ritorna, anche quest’anno, a mettere in cartellone Rossini con un nuovo allestimento de Il barbiere di Siviglia che la Fondazione novarese propone affidandosi a un team davvero vincente.
La regia di Alberto Jona, che si avvale delle bellissime scenografie di Matteo Capobianco, dei costumi fantasiosi e meditati di Silvia Lumes e di alcuni suggestivi giochi d’ombra di Controluce Teatro d’Ombre per i fondali, non lascia spazio ad alcuna riserva, anzi insegna come un certo modo di far teatro di tradizione possa rinascere affacciandosi alla modernità, rimodulandosi su canoni visivi che rispettano la drammaturgia dell’opera senza per questo risultare banalmente scontati. Fin dall’apertura di sipario, questo Barbiere ci proietta in una piazza di Siviglia dove la casa di Don Bartolo è coperta di azulejos, le tipiche piastrelle di ceramica colorate in diversi toni di azzurro che ricoprono le mura esterne di una dimora andalusa; pareti che, nel secondo quadro dell’opera, si aprono a vista su una piattaforma girevole e ne svelano gli interni tappezzati di blu, con quadri e cornici dorate, mobilia accatastata ovunque e chincaglierie di ogni genere, simbolo della personalità compulsiva di un accumulatore seriale quale è visto Don Bartolo, che tiene segregata nella sua casa una Rosina che non vede l’ora di liberarsi dalla pesante oppressione di questa polverosa casa deposito simile a una casa di bambole messa sottosopra dal gioco di una bambina disordinata. L’impianto scenico, davvero bellissimo, collocabile come ambientazione in un tempo sospeso fra la fine del Settecento e l’epoca di Rossini stesso, oltre a segnalarsi per l’ingegnosità con cui è concepito nel felice contrasto fra i colori scuri e caldi delle scene e quelli luminosi e fantasiosamente colorati di costumi che paino riflettere nei tessuti la personalità stessa dei personaggi (ovviamente l’abito di Figaro ha nel tessuto elementi che richiamano la sua professione di barbiere, Don Basilio ha nel mantello la tastiera di un pianoforte e Rosina sembra vestita come una porcellana cinese kitsch uscita dagli arredi della casa che la tiene imprigionata), si accompagna alla freschezza di una regia intelligente, movimentata e dinamica, sempre nel segno del buon gusto, tanto da regalare uno spettacolo che tocca vertici di qualità fra i più alti visti sulle scene novaresi negli ultimi anni. Lo spazio visivo, continuamente cangiante grazie a mimi che muovono torri sceniche delimitanti esterni e poi ruotano svelando angoli nascosti di questa casa super arredata, aiuta a svelare l’equilibrio sottile, anzi – scrive il regista stesso nelle sue note del programma di sala – il “disequilibrio fra realtà e follia” che caratterizza quest’opera, illuminando “le dinamiche emotive dei personaggi” attraverso arredi, luci e colori ora morbidi ora accesi. Ed ecco che durante il concertato conclusivo del primo atto i personaggi, che hanno perso il senso del reale e vengono proiettati dalla musica di Rossini in un meccanicistico gioco surreale, passano dagli interni agli esterni della casa, che gira su se stessa, mentre i soldati disposti a pattuglia ai lati della scena che compongono la “forza” abbandonano i fucili puntati, si spogliano delle divise militari e rimangono in magliette dai colori squillanti a ballare a suon di ritmo indiavolato, quasi fossero drag queen impazzite, come se dinanzi all’irrazionale si perdesse ogni coscienza di genere. Anche il temporale è risolto a regola d’arte, con ombre grigie di grandi gocce d’acqua che creano cerchi a raggiera e, mentre infuria il temporale, liberano come impazziti un cielo di ombrelli volteggianti e note musicali in preda alla furia del vento, a commento visivo di mimi che ondeggiano sulla scena in balia degli elementi che avvolgono la casa di Don Bartolo. Un quadro che evoca sì tanti esempi registici trascorsi, ma ne rinnova le suggestioni con gusto, eleganza e raffinatezza quale sigla distintiva che sempre caratterizza questo riuscito spettacolo.
Anche musicalmente, alla guida dell’Orchestra Filarmonica Italiana, la bacchetta di Christopher Franklin, è luminosa e limpida, lineare e scorrevolissima, sia per i tempi vorticosi che si alternano a rallentanti inaspettati, sia per la tenuta sempre attenta del palcoscenico, dove agisce una compagnia di canto di tutto rispetto.
Emmanuel Franco è un Figaro giustamente demiurgico e pieno di vita, col sorriso stampato in volto, che conquista appena fa il suo ingresso in scena con la sua celebre cavatina; non importa se qualche nota acuta è un po’ spinta e se un lieve vibrato qua è là gli limita la naturale proiezione del suono, rendendolo non completamente libero. Ciò che conta è che il timbro appare brillante, giusto per la parte, e il personaggio c’è tutto nella sua comunicativa espressiva schietta e diretta. Michele Govi, forse il miglior elemento del cast, è un Don Bartolo timbrato, fluido nei sillabati della sua aria e dal fraseggio sempre attento alla parola, fedele alla migliore tradizione buffa, quella priva di inopportune sottolineature caricaturali. Abramo Rosalen è un Don Basilio espressivamente un po’ monocorde ma vocalmente solido. La coppia degli innamorati svela nel tenore cinese Chuan Wang (Il Conte d’Almaviva) una voce di contenuta proiezione sonora ma di bel garbo nel canto fiorito, che domina con sorvegliata cura stilistica. Lo stesso dicasi per il mezzosoprano giapponese Aya Wakizono, cantante ben nota al pubblico del Rossini Opera Festival di Pesaro, che sfoga bene in acuto e sfoggia una coloratura scorrevole e sicura nonostante qualche zona d’ombra nel registro grave. La Berta di Giovanna Donadini si apprezza più per la consumata esperienza scenica che per la resa vocale, mentre Matteo Mollica, come Fiorello e Un ufficiale, è perfetto. Una piccola nota per l’Ambrogio di Edoardo Sgariglia Moresi (allievo attore STM) che, fra uno sbadiglio e l’altro, diventa surreale proiezione atletica del pensiero calunnioso di Don Basilio.
Teatro stracolmo di pubblico e successo finale vivissimo. Questa volta il Teatro Coccia ha colpito davvero nel segno.
Teatro Coccia – Stagione 2023
IL BARBIERE DI SIVIGLIA
Commedia in due atti
Libretto di Cesare Sterbini
Musica di Gioachino Rossini
Conte d’Almaviva Chuan Wang
Don Bartolo Michele Govi
Rosina Aya Wakizono
Figaro Emmanuel Franco
Don Basilio Abramo Rosalen
Berta Giovanna Donadini
Fiorello/Un ufficiale Matteo Mollica
Ambrogio Edoardo Sgariglia Moresi
Orchestra Filarmonica Italiana
Coro As.Li.Co
Direttore Christopher Franklin
Maestro del coro Massimo Fiocchi Malaspina
Regia Alberto Jona
Scene Matteo Capobianco
Costumi Silvia Lumes
Interventi di ombre Controluce Teatro d’Ombre
Luci Ivan Pastrovicchio
Nuova Produzione Fondazione Teatro Coccia di Novara
Novara, 12 maggio 2023