Il Metropolitan di New York riprende con successo la produzione di Der Rosenkavalier (Il cavaliere della rosa) di Richard Strauss con la regia di Robert Carsen. Lo spettacolo, ripreso per l’occasione da Paula Suozzi e nato originariamente come rielaborazione di un precedente allestimento visto a Salisburgo nel 2004, era approdato al MET per la prima volta nel 2017 dopo essere stato rappresentato a Londra a fine 2016. La coproduzione MET/ROH appena citata era stata concepita come veicolo per l’addio di Renée Fleming al ruolo della Marescialla. In questa ripresa abbiamo invece assistito al debutto del soprano norvegese Lise Davidsen, che dopo i successi al MET in Ariadne auf Naxos ed Elektra, si confrontava per la prima volta con il ruolo della principessa di Werdenberg. Ben assortita la compagine di canto che comprendeva due cantanti del cast originario del 2017, ossia Erin Morley come Sophie e l’Ochs di Günther Groissböck. Non ha convinto appieno la direzione musicale di Simone Young, mentre l’allestimento di Carsen alterna momenti molto belli ad altri più discutibili.
Il regista canadese trasferisce l’ambientazione della vicenda dalla Vienna settecentesca di Maria Teresa alla Vienna del 1911, ovvero quella contemporanea a Strauss nell’anno della composizione dell’opera e della sua prima rappresentazione assoluta a Dresda, accolta con trionfale successo di pubblico ma non dal consenso unanime della critica. Quella del libretto è la Vienna pre-illuministica (1740), mentre quella dello spettacolo di Carsen è la Vienna del tramonto dell’impero asburgico che si appresta a essere sconvolta dalla prima guerra mondiale. La trasformazione inconsapevole e inarrestabile di una società sembra essere il fulcro di questo allestimento. Al netto di qualche caduta nel Kitsch, Carsen non delude in quanto a componente estetica, valorizzata dalle scene di Paul Steinberg, dagli elegantissimi costumi di Brigitte Reiffenstuel e dalle luci suggestive che Carsen ha curato insieme a Peter Van Praet. Il primo atto ha una certa grandiosità, anche esagerata se vogliamo, tra tappezzerie rosse, tanto oro, quadri alle pareti e gioco di prospettive quando si aprono le porte della camera da letto della Marescialla. Nel secondo atto il salone del signor Faninal è decorato da affreschi che ricreano scene belliche dell’antica Grecia. Faninal, che nel libretto è un uomo ricco di nobiltà recente, diventa secondo Carsen un mercante arricchitosi con il commercio delle armi in preparazione della guerra che incombe. Vista l’ambientazione scelta del regista, l’intuizione è interessante, anche se l’entrata di due cannoni in scena finisce per rovinare l’atmosfera dell’intero atto. Il regista pasticcia un po’ anche nel terzo atto, dove la messinscena orchestrata ai danni del barone viene ambientata invece che in una locanda in un bordello di una Vienna decadente pre-bellica, tra scene orgiastiche e i quadri del salone che prendono vita come fossero le vetrine di un bar a luci rosse.
Al termine, mentre Octavian e Sophie si scambiano effusioni amorose, la scena si apre lasciando spazio a una fila di soldati pronti a caricare salvo poi inciampare, altro simbolismo usato per ribadire la lettura registica. Il problema di questa produzione, non sono le occasionali cadute di stile (visto che Carsen si sincera sempre che al di là delle scelte operate della regia vi sia sempre una coerenza estetica), quanto piuttosto il fatto che il tema principale della riflessione sul passare del tempo rimanga in qualche modo solo accennato. Uno spettacolo non perfetto per valorizzare il capolavoro di Strauss, quindi, ma comunque non sgradevole e perlomeno esteticamente appagante, il che di questi tempi è già un lusso.
Lise Davidsen era come detto debuttante nel ruolo della Marescialla. Prima di lei nella storia del MET ci sono stati nomi importanti come Lotte Lehmann, Frieda Hempel, Eleanor Steber, Régine Crespin, Elisabeth Schwarzkopf e Renée Fleming. Davidsen ha soli 36 anni e in questo si avvicina più delle altre (storicamente il ruolo della Marescialla è stato affrontato da interpreti mature) al personaggio del libretto per età anagrafica. Nonostante non sia tra le attrici più ferrate, Davidsen coglie la statura del personaggio con la sua eleganza e dignità, con il suo misto di pragmatismo, ironia e malinconia nel rassegnarsi al passare del tempo e nel lasciare spazio all’amore dei giovani Sophie e Octavian. Per una voce importante come la sua questo è un ruolo più introspettivo e fatto di sottigliezze. La cantante è stata abile nel piegare lo strumento a una buona varietà di dinamiche, pianissimi compresi. Solo nel trio finale rilascia finalmente quel suono sontuoso per cui è divenuta famosa e rispetto al quale Sophie e Octavian non possono davvero competere (un migliore bilanciamento tra le tre sarebbe stato auspicabile ma che piacere essere “spettinati” così all’ascolto e che uscita di scena… le mura dell’immenso teatro newyorkese hanno veramente vibrato). Efficace la componente narrativa del monologo anche se la dizione tedesca non è sempre chiarissima. Nel complesso è stata una bella prova e ci sarà poi sicuramente il tempo per rifinire l’interpretazione.
Erin Morley che è una veterana del ruolo di Sophie, avendolo cantato per circa un decennio, brilla per grazia, dolcezza e bellezza perlacea del timbro; è poi abilissima nel fluttuare e filare i suoni in acuto. La sua resa di “Mir ist die Ehre widerfahren” ha creato un effetto di magica sospensione nel pubblico, rendendo più piacevole una permanenza a teatro di quasi cinque ore, intervalli compresi. Samantha Hankey (a sostituzione di Isabel Leonard) è efficace nel ruolo en travesti dell’adolescente Octavian, mentre nelle vesti della cameriera Mariandel (Octavian travestito da donna) l’interpretazione è apparsa ipercaratterizzata, sconfinando nel caricaturale. Vocalmente dà il suo meglio (per colore e proiezione) al centro e si apprezza anche una bella morbidezza.
Günther Groissböck che nella sua interpretazione del 2017 aveva fatto parlare di sé per la resa villana e predatoria del personaggio ha maturato il ruolo in chiave anche troppo comica e grottesca. Ne esce comunque la componente grossolana del personaggio. I gravi si sono indeboliti rispetto al passato e il declamato non sempre sicuro, ma la sua è comunque una prova da artista maturo e una vera maratona visto che Ochs insieme a Octavian sono i due veri personaggi sempre in scena in quest’opera piuttosto lunga. Tra gli altri interpreti abbiamo apprezzato il Faninal di Brian Mulligan, con una vocalità sonora e ben centrata unita a un’ottima chiarezza di dizione. René Barbera nei panni del cantante italiano (una sorta di parodia di Caruso) canta la cavatina “Di rigori armato il seno” con il giusto trasporto lirico anche se vocalmente è apparso un po’ al limite delle sue possibilità sulla tessitura acuta. Funzionali alla buona riuscita dello spettacolo gli interventi di Katherine Goeldner come Annina (efficace nella scena del biglietto con Ochs) e Thomas Ebenstein che interpretava Valzacchi.
Dal podio dirigeva il direttore australiano Simone Young, di ritorno al MET dopo oltre vent’anni. La direzione è stata discontinua per aderenza stilistica (soprattutto l’introduzione al primo atto ha deluso), anche se è migliorata poi nel corso della serata, con una maggiore accuratezza e attenzione al dettaglio. La principale critica che va fatta a Young è quella di aver privato la partitura della sua componente lussureggiante. Anche quell’estatica sospensione nella scena della presentazione della rosa sarebbe potuta essere resa meglio. Abbiamo notato anche qualche sbilanciamento in termini di volume, a discapito dei cantanti dallo strumento più leggero.
Al termine applausi calorosi per tutta la compagine di canto, vera artefice del successo della serata d’apertura. Ovazioni per Lise Davidsen, la cui stella continua a splendere, ma anche per Erin Morley che al MET è di casa. Per la cronaca lo spettacolo era iniziato in ritardo a causa di un’interruzione di corrente e il pubblico è uscito da teatro quasi a mezzanotte, un po’ provato ma comunque soddisfatto.
The Metropolitan Opera – Stagione d’opera 2022/23
DER ROSENKAVALIER (IL CAVALIERE DELLA ROSA)
Commedia musicale in tre atti di Richard Strauss
su libretto di Hugo von Hofmannsthal
Marschallin Lise Davidsen
Sophie Erin Morley
Octavian Samantha Hankey
Baron Ochs Günther Groissböck
Annina Katharine Goeldner
Il cantante italiano René Barbera
Valzacchi Thomas Ebenstein
Faninal Brian Mulligan
Direttore Simone Young
Regia Robert Carsen ripresa da Paula Suozzi
Scene Paul Steinberg
Costumi Brigitte Reiffenstuel
Coreografie Philippe Giraudeau
Luci Robert Carsen e Peter Van Praet
Co-produzione del MET, ROH Covent Garden,
Teatro Colón e Teatro Regio di Torino
New York, 27 Marzo 2023