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Napoli, Teatro San Carlo – Requiem di Mozart (versione scenica di Romeo Castellucci)

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Sembrerebbe un ossimoro, eppure è possibile uccidere un Requiem. Persino quello sublime, per antonomasia, scritto e lasciato incompiuto nei giorni della sua morte dall’ultimo Mozart. In che modo? Spacchettandolo, innestandovi a mo’ di tropi fra le sezioni e fra le miliari terzine della sequenza del Dies irae inserti sacri estranei, per quanto dello stesso compositore, o antichi canti liturgici anonimi. In più, registicamente e coreograficamente, rigirandolo fra tinte ora macabre, ora vivaci o irriverenti, nell’ostinata ricerca di un’attualità di codici (uno scontato quanto didascalico e pure incompleto “Atlante delle grandi estinzioni”, passate e future, in veloce elenco proiettato sul muro di fondo) e di una totalità dell’arte (testo, musica, danza, pittura grafica a spruzzo) finalizzati a gettare davanti agli occhi degli spettatori una sorta di ironica sagra prossima al nonsense che vuole essere, al contempo, scienza filosofica infusa, festa popolare e dissolvenza inesorabile. Un fading-out della vita, che riguarda noi tutti, le nostre conoscenze e coscienze.

È quanto accade con il Requiem di Wolfgang Amadeus Mozart proposto in prima nazionale e per quattro sere al Teatro San Carlo di Napoli nell’assai originale spettacolo creato per regia, scene, costumi e luci da Romeo Castellucci, nome italiano di punta del teatro contemporaneo internazionale per la prima volta ospite al Lirico partenopeo, agganciando in eminente collaborazione il Festival International dʼArt Lyrique dʼAix-en-Provence, La Monnaie/De Munt, l’Adelaide Festival, il Theater Basel, il Wiener Festwochen e il Palau des Arts Reina Sofia di Valencia.
In campo, fra podio e voci, il top per il genere sacro del Settecento, in gran quota inedito per Napoli: in prima linea, infatti, c’è il direttore – adorabile – Raphaël Pichon, alla testa del suo limpido e splendido Coro dell’Ensemble Pygmalion (impressionante ascoltare al San Carlo una tale perfezione corale di voci) accanto a un poker di super solisti giocato chiamando in buca il giovane soprano Giulia Semenzato, dagli interventi esatti e lucenti, il sempre meraviglioso mezzosoprano Sara Mingardo, il notevolissimo tenore Julian Prégardien, pur con qualche stimbratura d’inizio, il potente basso Nahuel Di Pierro, cui si è aggiunta la talentuosa voce bianca dell’adolescente César Badault, solista del Münchner Knabenchor. Il tutto completato da una sollecita Orchestra della Fondazione e dal relativo Balletto diretto da Clotilde Vayer nelle coreografie di Evelin Facchini.

Nelle premesse, dunque, operazione vincente e a suo modo geniale. Ma, negli esiti, circa novanta minuti di una rilettura definibile come un “Requiem del Requiem”, finito in cortocircuito fra i suoi stessi linguaggi. In apertura, nel mezzo del palcoscenico, si vede una donna qualsiasi, in una sera qualunque, con sigla del telegiornale in tv, in un quotidiano coricarsi nel proprio letto che diventa, però, l’ultimo suo fine giornata. È il lungo e triste termine della sua stessa esistenza. A cornice, nell’eccessiva penombra e sul velo delicato di un canto gregoriano (Christus factus est) intonato dall’Ensemble, c’è un’umanità che le si affastella intorno, ai lati con strani e oscuri velami. Una folla nella quale, come a ritroso, tornerà a vivere nelle forme di un’adolescente macchiata o consacrata con viscidi colori, appesa al muro, coperta di piume e quant’altro. All’opposto, in chiusura dell’intero spettacolo e dopo il piano inclinato che lascia scivolare una grossa quanto sgradevole quantità di fango, tre donne e una bambina lasciano al centro della scena e per lunghi minuti un neonato vero e piangente, visibilmente in preda alla disperazione (roba da Telefono Azzurro), a simboleggiare evidentemente la rinascita della vita.
Al centro, una serie di scene danzanti in successione e a pannello secondo un patchwork musicale così articolato: canto gregoriano iniziale, la Meistermusik K. 477b sulle Lamentazioni di Geremia più il Miserere K. 90 di Mozart, quindi un primo pezzo di Requiem, con l’Introito e il Kyrie. Si stacca con il mottetto parimenti mozartiano Ne pulvis et cinis K. Anh. 122 per poi attaccare i primi tre numeri della Sequenza dei morti (Dies irae, Tuba mirum, Rex tremendae maiestatis). Si prosegue saltando a un Solfeggio mozartiano, poi si riprende la Sequenza con altri tre numeri (Recordare, Confutatis maledictis e il toccante Lacrimosa) più un frammento dell’Amen, per procedere con il primo numero dell’Offertorio (Domine Jesu Christe) sempre del Requiem. Quindi, si vira un attimo su un altro suo mottetto (Quis te comprehendat) per tornare al secondo numero dell’Offertorio (Hostias), seguito dal Sanctus e dal Benedictus. In chiusa, quattro Mozart e un gregoriano anonimo con l’Inno O Gottes Lamm, l’Agnus dei dal Requiem più Communio, ancora il Miserere k. 90 e l’antifona In paradisium.

Un mosaico complesso che tuttavia, pur nella scelta di tempi alquanto camminati (a tratti, per lo stacco eccessivamente veloce, il direttore ha creato non poche difficoltà al suo eroico coro nell’Osanna in excelsis), ha sempre trovato nella raffinata conduzione musicale di Raphaël Pichon bellezza di suono e nitore di stile, levigato equilibrio fra le distinte parti, rigore contrappuntistico ed efficacia ritmico-dinamica. In sintesi, un taglio vitale e quasi di gioco per un Requiem in cui la vita e le danze, stando alla visione datane da Castellucci, proseguono oltre il muro della morte, come altro e diverso volto di una festa.

E a proposito di danze, si coglie ovunque nel disegno coreografico di Evelin Facchini il marchio di un folclore di carattere (tarantella compresa), tra balli popolari o quadriglie di corte, reinventato in chiave moderna e ironica, organizzandosi in scatti simmetrici, in linee spezzate o in velocità un po’ random in acido contrasto con le note serissime e dolenti del sacro. Forse con l’obiettivo di risultati pseudo-Kylian ma che, dall’arguzia perfetta e affilata dell’immenso coreografo boemo, è apparso obiettivo lontano anni luce.
Al folklore o a immagini di rito, con un abbandono finale degli abiti ispirato alla cacciata dall’Eden, hanno ricondotto le scene sempre più o meno simboliche, con costumi adatti ad attraversare i generi, il tempo e la geografia.
Quanto all’Atlante in proiezione, si assiste a una lunga (e alla fine stucchevole assai) sfilza di cose perdute: animali estinti (uomo di Neanderthal e di Altamura compresi), poi piante, laghi, templi, palazzi e monumenti. E ancora: città (da Troia a Paestum), teatri, musei, dipinti, lingue e religioni (manca clamorosamente la musica), fino a tirare in ballo in un’attualità ruffiana lo spettatore che ha dinanzi, elencando cose che grazie a Dio sono ancora in piedi, come il Vesuvio, Piazza del Plebiscito, il Museo Archeologico, il Teatro San Carlo di Napoli. E verrebbe, qui, da aggiungere anche il povero Requiem. Infine, nell’onnivoro imbuto del marcescibile e dell’ineluttabile fragilità del creato, finiscono concetti astratti come l’amicizia, i pensieri, il tempo, l’essere, la morte, noi stessi. E, nello strappo dei parati di carta della scena, imbrattati e macchiati, si scorge al termine la data in calendario del 16 maggio 2023. Poi il via a un nuovo ciclo con il canto della voce bianca e il neonato di pochi mesi prestato alla scena.
Divise le reazioni del pubblico: c’è chi ha abbandonato prima del tempo la sala, chi al termine ha emesso un roboante dissenso, chi ha lungamente osannato e applaudito uno spettacolo in cui ha visto il segno dell’opera d’arte. E chi, guadagnando in fretta l’uscita, ha espresso sonore parole di liberazione e sollievo per l’imminente cambio di gestione imposto a colpo dal Governo.

Teatro San Carlo – Stagione d’opera e danza 2022/23
REQUIEM
Musiche di Wolfgang Amadeus Mozart e di compositori anonimi

Regia, scene, costumi e luci Romeo Castellucci
Associate Director and Costume Designer Silvia Costa
Dramaturg Piersandra di Matteo
Coreografia Evelin Facchini
Collaboratore luci Marco Giusti

Soprano Giulia Semenzato
Mezzosoprano Sara Mingardo
Tenore Julian Prégardien
Basso Nahuel Di Pierro
Voce bianca César Badault

Direttore Raphaël Pichon
Direttore del Balletto Clotilde Vayer
Ensemble Pygmalion
Orchestra e Balletto del Teatro di San Carlo

Produzione del Festival International d’Art Lyrique d’Aix-en-Provence
in coproduzione con La Monnaie / De Munt, Adelaide Festival,
Theater Basel, Wiener Festwochen,
Palau de las Arts Reina Sofia di Valencia e Teatro di San Carlo
Napoli, 16 maggio 2023

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