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Napoli, Teatro San Carlo – Recital di Pretty Yende

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Grandi nomi o voci in vetta alle classifiche della lirica internazionale sono senz’altro d’obbligo e quindi ben gradite su ogni palcoscenico d’opera di primo calibro che si rispetti. Ma, in un’epoca avvantaggiata da strumenti progettuali e di ricerca avanzatissimi, oltre che in un contesto culturale che del teatro musicale può ben farne il vessillo identitario e di vanto nel globo intero, magari a partire dal proprio Settecento da troppo tempo assente o da altri titoli in linea con le sue tradizioni successive, risulta assolutamente insufficiente. Tanto più se quelle voci diventano di casa e dunque di routine. Sorprende in tal senso che, per l’atteso e ampiamente festeggiato ritorno degli spettacoli al Teatro San Carlo dopo il primo trimestre del restauro da dieci milioni di euro e relativa chiusura forzata – splendida la tela del Cammarano ancorata al soffitto, intatta come non mai, sfavillante il palco reale e luminosissimo il sottarco scenico al pari dei balconi dei palchi, ma restano scrostature negli interni, un paio di lampadine fulminate e ancora tanto da fare – non si sia pensato di coinvolgere le masse artistiche interne con il proprio direttore musicale. Magari con una proposta forte o, comunque, inedita.

Viceversa è tornata per la quinta volta in quattro anni (due Gala, una Traviata e un recital con pianoforte in ricalco nell’occasione) il soprano sudafricano Pretty Yende, interprete indubbiamente di spicco per la miracolosa e innata facilità con cui sfida le colorature trillando in vertiginose cascate di note le scalette discendenti all’acuto o la disinvoltura con cui governa arpeggi, salti e picchettati di ogni sorta. Pur, come osservato più di una volta nelle precedenti occasioni napoletane, poco curando la bellezza o centratura di tutti i suoni in pentagramma, in attacco innanzitutto, unitamente alla mancata varietà delle sfumature di colore o alla genericità con cui lavora sulla forza delle parole e sulla personalità drammatica del personaggio interpretato anche solo con un cantabile e una cabaletta. Il che dovrebbe interessare ben più della pur prestigiosa sua prossima partecipazione, con gli altri artisti scelti da Buckingham Palace, all’Incoronazione della nuova coppia reale britannica a Londra, in Westminster Abbey.

Premesso ciò, il nuovo recital proposto in data unica per la stagione dei concerti e sempre accanto allo squisito pianista Michele D’Elia sul palcoscenico del Lirico guidato da Sthéphane Lissner, ha visto il rinomato soprano d’agilità tornare a Napoli in minor forma replicando, tra l’altro, un brano e un bis in comune alla scorsa performance tenutasi nel marzo 2022. Stavolta lungo l’intero tracciato antologico partito dal Mozart appena diciassettenne del celebre mottetto sacro Exsultate jubilate K. 165, tenuto a battesimo in quel di Milano (Convento dei Teatini) nel 1773 impiegando la voce del castrato Rauzzini al contempo interprete del suo Lucio Silla in scena al Regio Ducale della stessa città, per poi toccare le corde più moderne del simbolismo “da camera” di Debussy, più un doppio trittico diviso fra Rossini e Donizetti, da salotto e da teatro, la voce della Yende ci è parsa di qualità diversa, opaca e senza particolare mordente nella diversità degli stili come delle forme di volta in volta intonate. Poi, dopo le insistenti richieste di bis di un pubblico sempre assai entusiasta e plaudente là dove ascolta virtuosismi funambolici e sperticati, la grinta e con essa la tempra canora del soprano trova la sua cifra più autentica nei due omaggi fuori programma finalmente concessi dopo un’evidente reticenza collegabile, a nostro avviso, al suo stato effettivamente non del tutto ottimale: la solita cavatina di Rosina (Una voce poco fa) dal Barbiere di Siviglia di Rossini con colorature iper-pirotecniche e, con esiti veramente su misura per l’arguta simpatia della Yende, “I want to be a prima donna”, esilarante parodia metateatrale del primo Novecento tratta dall’operetta comica The Enchantress dell’irlandese Victor Herbert, eseguite con il bel fascio di fiori consegnatole dal coordinatore dell’Area Artistica e Casting Director della Fondazione, Ilias Tzempetonidis che al termine, giusto per conferma di quanto osservato in apertura, le ha strappato la promessa di un suo nuovo ritorno al San Carlo (già il prossimo maggio) accanto al parimenti gradito ma ennesimo ritorno della belcantista Nadine Sierra.

Partiamo quindi dalla coda del recital, ossia da quella Rosina di gran carattere che, seppure già sentita tanto al Gala Mozart e Belcanto del 2020 quanto (con miglior esito) allo scorso recital e in ogni caso relativamente condivisa nelle divagazioni più estreme dello stile, le restituisce finalmente vitalità e vigore, sfoderando in tal caso un uso ben sapiente delle pause e delle sillabe accanto allo sfoggio sempre saldo e sorprendente della coloratura. In via analoga per la pagina di puro spettacolo alla Broadway, originale, virtuosissima e divertentissima.
Viceversa, il suo Mozart non ha luce né leggerezza (qui neanche il bravo pianista in verità l’aiuta) e, più che sacro, vira verso il temperamento di un’aria di sdegno. Il momento migliore è senz’altro l’Alleluja ma, anche qui, non si va oltre il mero esercizio vocale di maniera. Più a suo agio è sul terreno rossiniano, esibendosi con un bel poker di pagine: tre Romanze salottiere (Beltà crudele più Lʼinvito La pastorella delle Alpi dalle Soirées musicales) coronate dalla cavatina di Semiramide “Bel raggio lusinghier”. È innegabile che gli acuti della cantante in volo oltre i pentagrammi del Pesarese si rivelino puntualmente luminosi, rotondi e sfogati con facilità estrema ma è nei centri che purtroppo non sempre convince, così come nel lavoro di scontorno del ruolo teatrale serio. Per quanto inoltre interessante il suo approccio morbido e avvolgente alle cinque chansons di Debussy (Beau soir, Fleur des blés, Clair de lune, Mandoline Apparition), le note magiche e sospese del repertorio moderno francese funzionano ma solo nel dosaggio delle dinamiche a fronte di una mancata ricerca delle necessarie sfumature di sensualità e colore.

Al solito, a mo’ di stacco e intermezzo, il pianista pone in luce anche le sue apprezzabili doti di solista e di fine cesellatore attento a quel particolare linguaggio di collegamento fra partitura drammatica e prestanza pianistica rappresentato dalle parafrasi su temi d’opera, lisztiane in primis. In tal caso, riscuotendo ulteriori consensi al termine di un’intensa ed elegante elaborazione appunto di Franz Liszt sull’”O du mein holder Abendstern” dal Tannhäuser di Wagner.
Il rush finale della serata non può che puntare su Donizetti, anche lui diviso fra le ariette cammeo scelte dalle Nuits d’été à Pausillippe (Il barcaiolo La conocchia) e un ruolo teatrale dando voce e forma nobile ma in scarno scavo alla cavatina “O nube! che lieve… Nella pace del mesto riposo” dalla Maria Stuarda.
Al margine, si citano i due vaporosi abiti (entrambi in rosa, il primo shocking, il secondo di tinta pastello con spalline a farfalla e ampi ricami di fiori) sfoggiati da Pretty Yende e la grave mancanza nel programma di sala, stando alla tipologia del concerto, dei testi ascoltati in recital.

Teatro di San Carlo / Stagione di Concerti 2022/23

Soprano Pretty Yende
Pianoforte Michele D’Elia

Programma
Wolfgang Amadeus Mozart
“Exsultate, jubilate”, mottetto, K. 165

Gioachino Rossini
“Beltà crudele”
Soirées musicales, “Lʼinvito”, “La pastorella delle Alpi”
Semiramide, “Bel raggio lusinghier”

Claude Debussy
“Beau soir”
“Fleur des blés”
“Clair de lune”
“Mandoline”
“Apparition”

Franz Liszt
Parafrasi su “O du mein holder Abendstern”,
dallʼopera Tannhäuser di Richard Wagner, per pianoforte solo, S. 444

Gaetano Donizetti
“Il barcaiolo”
“La conocchia”
Maria Stuarda, “O nube! che lieve… Nella pace del mesto riposo”

Napoli, 6 aprile 2023

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