Dopo un trimestre all’asciutto di allestimenti scenici e di opere in forma di concerto sarebbe stato il caso e il top poter rientrare per la lirica nella sala parzialmente restaurata del Teatro San Carlo di Napoli con una nuova produzione e con un titolo del repertorio che più ci appartiene, magari in prima moderna o almeno poco presente nelle recenti programmazioni (si pensi a Pacini, Mercadante, a una Fedra di Pizzetti assente dagli anni Sessanta, ma pure a un Giordano, al Mascagni più raro), al di là del pregevolissimo cast di interpreti chiamato nell’occasione a darvi voce e forma.
Va da sé che rivedere il sempre bellissimo e difatti premiato per scene e costumi Wagner della Walküre (Abbiati 2006) tirata fuori dal vecchio guardaroba di casa, concepita e varata nel marzo 2005 nei colti giorni della sovrintendenza Lanza Tomasi affidandone le firme sul fronte visuale al regista Federico Tiezzi, all’artista concettuale Giulio Paolini e alla costumista Giovanna Buzzi, con debita ripresa quattro anni fa, è sempre un magnifico spettacolo che, tra l’altro, resta intatto nel suo speciale impatto contemplativo d’installazione d’arte della nostra contemporaneità.
Nelle circa cinque ore d’impresa (tre atti più doppio intervallo), pur dinanzi a un’azione quasi del tutto assente poiché sospesa entro il segno d’autore fra mito degli dei e dramma degli eroi, si resta incantati davanti a quell’unica, immensa gabbia metallica che, in geometria ternaria, di atto in atto è simbolo di un preciso spazio sul triplice livello figurale (l’imponente velario di pianeti e satelliti) o luministico (a cura di Gianni Pollini), plastico e architettonico. Nel primo ambiente, accanto a una tavola da interno borghese tardo-ottocentesco, la gabbia rappresenta la casa del nemico Hunding di barbara stirpe dei Neidinge e, dal gemello Siegmund, della non subito riconosciuta sorella-sposa Sieglinde, con tanto d’alto ceppo-focolare di frassino dal quale il libero eroe della razza dei Welsunghi estrarrà l’invincibile spada “Nothung”; nel secondo, funge da bacheca per dieci grossi meteoriti sospesi con vario rimando alla rocca delle Valchirie e alle prime pietre dell’olimpica dimora del Walhalla, per la cui costruzione il dio supremo Wotan ebbe in origine a sottrarre al nibelungo Alberich il potente anello contenente l’oro del Reno per pagare i giganti chiamati a dar forma alla titanica reggia. Con implicito, relativo senso di catastrofe. Nel terzo, incornicia a frammento i busti scultorei degli eroi caduti sul campo e nella realtà raccolti cadavere dalle Valchirie che, in metallica armatura, sono ritratte intente a sezionarne i corpi in una sala di anatomia. Sempre la stessa gabbia, infine, è teca-rupe dove riposerà per punizione la disobbediente e ormai non più divina Brünnhilde fin quando un eroe pari a un dio, il nascituro Siegfrid come da tema musicale unito al suo, non riuscirà a spezzare il sortilegio del sonno creato dal padre Wotan, vincendo la schermata rosso incandescente del fuoco nuziale. A memoria, ogni cosa dell’allestimento resta al suo posto e, dunque, immutata secondo quanto visto nel 2005 e, ancora, nel 2019. Tutt’altro, invece, sul fronte della musica.
Sul podio dell’Orchestra della Fondazione e con pari ruolo stabile, dopo la prima, nitida direzione di Jeffrey Tate e la folgorante, successiva rilettura datane da Juraj Valčuha, per il secondo tassello e prima giornata della Tetralogia Der Ring des Nibelungen c’era stavolta il nuovo direttore musicale Dan Ettinger, propenso a restituirne un’ulteriore, diversa narrazione. Molto potente e di bella efficacia in apertura è la sua presa sullo sferzante Preludio all’Atto I (Vorspiel, stürmisch) per un vortice che, al contempo caccia, fuga e innanzitutto tempesta, viene spinto veloce e ben a fondo su violini e viole a corde doppie, tese e ronzanti, tra le folate agli archi gravi, i tuoni ai timpani, i lampi ai fiati. Un affresco rapinoso da cui invece scioglie, per gli atti a seguire, una visione più fluida e di superficie, come in distensione descrittiva più che in tensione drammatica, optando per una cifra non a marchio germanico quanto, piuttosto, per una cura elegante delle sonorità dal profumo vagamente francese, con tratti in tardo Ottocento pompier. In ogni caso, curando a dovere il sostegno alle voci e conferendo smalto ai tanti temi, sublimando le diverse dinamiche relazionali (il triangolo Siegmund-Sieglinde-Hunding, lo scontro psicoanalitico in Wotan con la moglie-coscienza Fricka e con la figlia-volontà Brünnhilde, l’incontro fra quest’ultima e Siegmund punteggiato da spunti quasi mendelssohniani). E, viceversa, poco montando la fin troppo celebre Cavalcata delle Walkirie, di battuta in battuta troppo identica a se stessa. La risposta, dal golfo mistico, è nel complesso apprezzabile e, in particolare, notevole negli archi tutti (splendido il solo di Pierluigi Sanarica al primo violoncello), nei clarinetti, nei corni e nei timpani.
Decisive ai fini degli esiti e del senso stesso della ripresa, a questo punto, le voci. A interpretare Siegmund è stato un attesissimo e realmente magnifico Jonas Kaufmann che dell’Heldentenor sfodera con tecnica salda e omogenea tutto il fascino, le tinte e lo slancio. Ampia è la sua gamma di accenti, pur sempre ben impiantata su un’omogenea e morbida pasta espressiva, forte nella tempra così come intensa è la tenerezza fraterna e d’amante. Il lungo racconto dell’eroe regge e domina così l’intero I atto, conquistando per bellezza gli occhi, l’udito e toccando sin dal principio il cuore. Poderoso è nella sua duplice invocazione al padre Wälse, amabile nel tema della rinuncia all’amore, al fianco e in fuga con Sieglinde, nel drammatico ma coraggioso confronto con la sorellastra Brünnhilde.
Di pari valore e pregnanza si rivela, al suo fianco, la bravissima Sieglinde del soprano di origini lituane Vida Miknevičiūtė, voce spiccatamente straussiana (Chrysothemis ideale) e al suo esordio sancarliano che, nell’occasione, dona al Wagner della Walküre peculiare identità, luce, calore e spessore. Colpiscono in particolare l’autenticità e il volume della sua emissione, ben poggiata sul fiato, proiettata con cura e governata in ogni range con agio e sapienza.
Terzo purosangue in campo è il Wotan del baritono britannico Christopher Maltman che, anche lui per la prima volta sul palco del Lirico napoletano, al ruolo ritagliato per Hoher Baß (basso alto, dunque per basso-baritono) garantisce al contempo solidità drammatica e sfaccettature in virtù del suo non facile Wort-Ton-Sprache, diversamente ma sempre assai umanamente modulando il nodo sinergico di parola e suono al cospetto della figlia e della moglie. Grande forza si riconosce inoltre al suo ampio monologo di autoaccusa e alla soluzione finale con cui da padre deve dire dolcemente e tristemente addio a colei che più ama punendo con la mortalità e il sonno la pur adorata Brünnhilde per aver disubbidito ai suoi ordini.
Per colore ed emissione convince solo parzialmente la Fricka del mezzosoprano armeno Varduhi Abrahamyan, così come la Walkiria dalla statura giunonica ma dal cuore assai morbido di Okka von der Damerau, interprete ben salda nei centri e al grave ma troppo strillata all’acuto tanto da distorcere oltre il selvaggio il suo svettante grido di guerra (Eiaha! Hojotoho!) con cui arriva e si presenta in scena. In compenso, recupera ampiamente nel resto del dramma musicale. Cupo e cavernoso è quindi l’Hunding sonoro e severo del bravo basso John Relyea, assolutamente credibile nel dire come nel fare. Infine, tutte nuove per Napoli le altre barbariche Walkirie, vocalmente sparigliate ma nell’insieme efficaci: Nina-Maria Fischer (Gerhilde), Miriam Clark (Ortlinde), Margerita Gritskova (Waltraute), Marie-Luise Dreßen (Rossweisse), Regine Hangler (Helmwige), Julia Rutigliano (Seigrune), Edna Prochnik (Grimgerde) e Christel Loetzsch (Schwertleite).
Teatro pieno e tanti gli applausi per tutti gli artisti festanti nei saluti finali al proscenio.
Teatro San Carlo – Stagione d’opera e danza 2022/23
DIE WALKÜRE
Dramma musicale in tre atti
Libretto e musica di Richard Wagner
Siegmund Jonas Kaufmann
Hunding John Relyea
Wotan Christopher Maltman
Sieglinde Vida Miknevičiūtė
Brünnhilde Okka von der Damerau
Fricka Varduhi Abrahamyan
Gerhild Nina-Maria Fischer
Helmwige Regine Hangler
Ortlinde Miriam Clark
Waltraute Margerita Gritskova
Rossweisse Marie-Luise Dreßen
Seigrune Julia Rutigliano
Grimgerde Edna Prochnik
Schwertleite Christel Loetzsch
Orchestra del Teatro di San Carlo
Direttore Dan Ettinger
Regia Federico Tiezzi
Scene Giulio Paolini
Costumi Giovanna Buzzi
Aiuto regista Francesco Torrigiani
Luci Gianni Pollini
Assistente ai costumi Maria Antonietta Lucarelli
Produzione del Teatro di San Carlo
Napoli, 16 aprile 2023