Volteggia lentamente, superba da vera diva qual è ma con istinto coreutico sincero, sfilando in lungo e in largo con i suoi due abiti diversi ma parimenti preziosi sullo storico palcoscenico del Teatro San Carlo di Napoli, avanzando con passo certo e un port de bras sinuoso come ad ornare in ulteriore arabesco esotico e drammatico, fra un sorriso vezzoso e un affondo dolente, quel suo canto intenso e struggente radicato nell’idioma e nell’anima della sua terra, la grande Madre Russia, a lei pur ormai amante dell’Europa e residente a Vienna congeniale come non mai. Dunque, in sala, spazio solo alla letteratura e alla musica, al cuore e alla natura, tagliando fuori dal paradiso della sua immensa arte l’odio folle della politica e il sangue di tanta, troppa guerra.
Ascoltare e vedere Anna Netrebko interpretare nel solco del suo Russian Album un intero recital da ben ventidue numeri interamente dedicato al repertorio vocale da camera russo scontornato entro un triangolo assegnato alle romanze del mago dell’orchestrazione Rimskij-Korsakov, del più moderno e americanizzato Rachmaninov o dell’iper romantico Čajkovskij, è un’esperienza a sé, che dice tanto e svela molto di più dell’interprete riconosciuta fra le massime voci dell’attuale lirica mondiale, “Primadonna del secolo Ventunesimo” e, per l’annuale classifica stilata dal Times, persona fra le cento più influenti del globo. Come confermato dal teatro praticamente pieno e dalla standing ovation da oltre dieci minuti al termine di un florilegio in crescendo emotivo, applaudito in ogni dove (finanche con riprovevole incontinenza ben prima delle chiuse) e coronato dall’apice di una Francesca da Rimini (“O, ne riday, moy Paolo”) firmata Rachmaninov realmente da manuale concessa come unico bis nel segno di un amore che supera la violenza di genere e qualunque altro inferno andando a ripagare quel grido di entusiasmo “sei una stella!” arrivato a metà serata nel silenzio da una spettatrice di palco e i finali, interminabili quanto meritati consensi.
Un successo che a onor del vero conta, nell’occasione, anche sul fondamentale pregio di un pianista di bel valore e romanticissimo, dal tocco raffinato quanto particolarmente attento ai nessi di complicità segreta con il canto. È Pavel Nebolsin, figlio d’arte, vincitore del Young Soloists Festival e della Classic Heritage International Competition, in luminosa carriera artistica e, da sei anni, music coach e accompagnatore in tournée della coppia Eyvazov-Netrebko. Insieme dunque, e con la massima intesa, Pavel e la diva Anna intraprendono quel viaggio di emozioni dando di volta in volta forma e suono alle pieghe molteplici di un incontro fra il testo e la musica che germina costantemente dal racconto popolare, dalla fiaba o dalle ballate attraversando i testi poetici e vibranti di Maykov, Puškin, Tolstoj, Kol’kov e molti altri, restituendone tra vigore e rarefazioni la natura degli accenti, le atmosfere, gli abbandoni, il fuoco e i palpiti, le ombre notturne, le malinconiche o dolcemente sognanti screziature emotive. Di qui, rispetto alla forza disinvolta con cui il soprano russo attraversa e scontorna in genere le sue tante eroine teatrali dal Sette al Novecento, c’è qualcosa di diverso, tanta maturità e quasi uno specchio atto a restituire con tecnica pur immutata nel governo omogeneo di un’estensione impressionante con tanto di filati al platino sospesi all’infinito in zona sovracuta, una maggiore ricerca dei suoni naturali, potenti perfino in emissione a bocca chiusa o semichiusa. Un’autenticità di fibra e di espressione, a partire dal peso dato al singolo segno semantico in musica, naturalmente, ma a partire dal verso come d’altra parte in declamazione per un paio di aperture in stile “Scostatevi profani! Melpòmene son io!”.
Ne è una prova già la sola, ampia parentesi dedicata a Rimskij-Korsakov, esponente di punta del Gruppo dei Cinque, con estratti dalle opere 2, 8, 26, 40, 43, 56 completati dall’Inno al sole dall’atto secondo del Gallo d’oro e dalla scena finale dello scioglimento dalla Fanciulla di neve, figura in gran parte richiamata dall’abito perla con ricami a fiori e pietre brillanti più cuffietta a fascia scelto appunto per tale prima parte del recital.
Nella seconda metà, in ampio abito bianco e nero, si divide fra i tratti maggiormente netti del Rachmaninov delle romanze (la n. 5 dall’op. 8, due dall’op. 21 e la n. 10 dall’op. 26) e un Čajkovskij che le sta veramente a pennello nella dinamica mobilissima fatta di salti e contrasti di colore, fra passaggi modulanti e sospensioni interrogative, accelerazioni e impennate in pentagramma nell’arco dei sette brani scelti per la sua antologia in ascolto. Fra i momenti più alti, l’increspata quota drammatica raggiunta nella lirica su versi di Aleksej Apuchtin “Zabyt tak skoro” (Dimenticare così presto) chiusa accasciando testa e braccia sulla coda del pianoforte, la “Serenada” su testo del granduca Konstantin Nikolaevič Romanov il cui andamento staccato in valzer la porta ad accennare una danza di seduzione alla Carmen dopo aver commentato scherzando un piccolo incidente fra il tessuto all’orlo e il suo tacco o ancora, in direzione opposta, la ballata bellissima e piangente op. 47 n. 7 sui versi di Ivan Surikov (“Non ero un filo d’erba nel prato?… Oh, mia disgrazia! / Oh! Infelice destino!) siglata al termine, come a scaricarne la tensione, da un sonoro sospiro.
Delle fragorose ovazioni si è detto e dunque non resta che aspettare il suo prossimo impegno sulle assi del San Carlo, nell’aprile del 2024 per la lirica, con il ruolo eponimo di una fortemente attesa Gioconda di Ponchielli.
Teatro San Carlo – Stagione di Concerti 2022/23
RECITAL DI CANTO
Musiche di Nikolaj Rimskij-Korsakov,
Sergej Rachmaninov, Pëtr Il’ič Čajkovskij
Soprano Anna Netrebko
Pianoforte Pavel Nebolsin
Napoli, 13 ottobre 2023