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Napoli, Teatro San Carlo – Anna Bolena

Tinte cupe in scena, in sala un’ombra di mestizia – si direbbe in chiasmo analogico alla Francesco Maria Piave – per l’Anna Bolena di Gaetano Donizetti tornata dopo ventitré anni al Teatro San Carlo di Napoli riuscendosi a salvare tra gli spettacoli cancellati nei giorni di sciopero dei lavoratori, in cerca d’incrementi stipendiali e di migliori garanzie, a seguito della drastica spallata di Governo inferta al regime sancarliano interno.

Vale a dire, nel complesso piuttosto fioca in termini d’atmosfera la luce da première all’esordio del primo tassello della “Trilogia Tudor” (seguiranno, a questo punto solo in teoria date le sorti artistiche sospese del Massimo partenopeo, Maria Stuarda nel 2024 e Roberto Devereux nel 2025) nel nuovo allestimento creato dalla regista olandese Jetske Mijnssen, al suo primo impegno napoletano, in coproduzione e sinergia internazionale con la Dutch National Opera e il Palau de les Arts Reina Sofia di Valencia, al di là degli esiti musicalmente importanti portati a casa e dei caldi applausi tributati al podio come al palcoscenico. Il tutto con dedica alla divina Maria Callas, interprete d’eccellenza di Bolena, a cent’anni dalla nascita.

Lampante intanto, nell’occasione, l’assenza tanto in platea quanto nell’organico prontamente decurtato sul libretto di sala del vertice Stéphane Lissner e, a parte i due cambi rispetto al cast in origine annunciato (Elīna Garanča per Seymour e Xabier Anduaga per Percy), alquanto ma comprensibilmente diversa dal solito ci è parsa la concentrazione delle masse artistiche di Orchestra e Coro della Fondazione, a tratti generiche (nella prima) o stanche (nella seconda) entro una comunque apprezzabile tenuta complessiva ma non sempre a tiro con la visione realmente esemplare per dettaglio metrico-dinamico e stilistico di un direttore donizettiano doc qual è Riccardo Frizza e con la preparazione, sempre precisa e assai curata nella ritmica quanto nei colori, impressa alla compagine di voci dall’ormai uscente maestro José Luis Basso.

Alla salda base dell’intera impalcatura sonora, come prevedibile e come accennato stando anche alla brillante Favorite donizettiana diretta da pari bacchetta a Bergamo lo scorso novembre, tra l’altro fresca premiata dall’Associazione nazionale dei critici musicali con il prestigioso Abbiati, ci sono la disamina sapiente e l’esatto lavoro di restituzione drammaturgico-musicale da parte del direttore Frizza (ricordiamo, neo-vertice sul podio del Donizetti Opera di Bergamo) delle diverse sezioni a pannelli attraverso cui prende forma e sostanza in pentagramma il dramma della Bolena. Dramma non particolarmente facile quanto a inquadratura d’insieme, tecnica belcantistica e intarsio di stili, fatto di storia e in special modo di tensioni sentimentali e psicologiche ben leggibili in partitura più che tra i versi del pur ottimo librettista Felice Romani, traendone lo spunto da fonti varie: il conte Pepoli, il de Chénier nella traduzione del Pindemonte, senz’altro Shakespeare, la cronaca pseudostorica di Paolo Giovio. In tal senso eloquente quanto messo a segno in ordito chiarissimo a ogni andamento e linea da Riccardo Frizza già solo nella Sinfonia evidenziandone in spinta anapestica il profilo pressante del sovrano amatore “dal cor volubile” e uxoricida seriale Enrico VIII, i cromatismi a presagio funesto per le sorti di Percy e della seconda moglie Anna, madre della futura Elisabetta I, l’ambiguo rimorso della dama di corte della regina, nuova “favorita” del re, Giovanna Seymour più, caricandone la velocità, la fittizia allure della corte. E così a seguire, i tempi risultano sempre ben pensati, staccati e lavorati internamente divaricandone il peso e il carattere fra i vari calando, crescendo e rinforzando, fra il gioco di legato e staccato, fra le timbriche delle diverse famiglie di strumenti o spazializzando le dinamiche, vicine e lontane. E ancora, definendo con cura la dolcezza dei cantabili, la vivace pregnanza di cabalette e strette, i peculiari tracciati armonici, gravidi di significati entro lo scarto di tonalità parallele in maggiore e minore. La sua attenzione al canto sia in assolo che in assieme con Coro è poi tale da raggiungere esiti di equilibrio raro fra buca e palcoscenico (spettacolare, in tal senso, il Quintetto), così come i punti di massima tensione che, al pari delle chiuse, risultano potenti perché montati sempre con intelligenza e arte. In particolare colpisce il caleidoscopio stilistico in cui convivono, nel Donizetti a due anni dall’Elisir e a cinque dalla Lucia, ancora qualche vertigine ritmica rossiniana, la purezza di linee del tardo Classicismo mozartiano e gluckiano, il fuoco dell’invenzione già fortemente romantica polarizzata, com’è, intorno ai temi di potere e trono, seduzione e tradimento, solitudine e sopraffazione sui deboli, della follia (magnificamente sugellata in coda dall’irreale cantabile “Al dolce guidami”) e della morte tragica.

Un’analitica lettura sonora che, in pratica, narra tanto e di più rispetto a una versione scenico-registica sostanzialmente semplice e monocorde, a costante fondo cupo e severo (la drammaturgia è di Luc Joosten, le scene sono di Ben Baur, gli abiti di Klaus Bruns, le luci di Cor van den Brink, le coreografie di Lillian Stillwell) che però vanta il merito di un coerente rispetto dell’epoca dei Tudor nei costumi come nei gesti o nelle danze di corte, non privando l’occhio di centrate suggestioni (le grandi porte, il baldacchino nella camera di Anna, il Consiglio imparruccato di spalle, il prigioniero appeso nella scena della prigione) e, sia pur fra qualche bambola di troppo, svelando buona intuizione nel vestire la figlia bambina di Anna già secondo la rigida e bianca icona della futura Elisabetta I. D’altra parte a ricordare l’attualità dell’argomento, senza necessità di trovate astruse, bastano in misura più che sufficiente i versi rinfacciati da Enrico a Bolena nell’apicale Terzetto all’atto secondo “Salirà d’Inghilterra sul trono / altra donna più degna d’affetto”, perfettamente rispondente al meccanismo, a tutt’oggi in uso e abuso, di nuova infatuazione e relativa rimozione/rottamazione dell’amata precedente, con tanto di oltraggio menzognero se non, tragicamente, con la soluzione estrema del femminicidio efferato.

In termini di resa vocale, ricordando che nell’allestimento sancarliano del maggio 2000 con regia di Jonathan Miller e direzione di Evelino Pidò cantarono Dimitra Theodossiou (Bolena), Daniela Barcellona (Seymour), Andrea Papi (Enrico) e Raul Gimenez (Percy), qui nel ruolo risultato in vetta per congenialità e qualità del belcanto si è distinta innanzitutto la Giovanna Seymour del mezzosoprano Annalisa Stroppa, dominatrice assoluta della scena e del carattere come della stessa cifra donizettiana (notevolissima protagonista, d’altronde, della citata Favorite) sul triplice fronte di tecnica, stile e gesto. Pienamente a suo agio nella parte, conferisce luce e sostanza a ogni sua parola, accento e suono, dividendosi lungo l’intera estensione fra impennate drammatiche e abbandoni sensuali, slanci, affondi e colorature, dosaggi di volume ottimamente gestiti in virtù del buon governo dei fiati nel doppio gioco affettivo. Rivelandosi pertanto personaggio d’impatto e intensità rari sia nel duetto con Enrico, primo vero numero di alto e autentico effetto culminato in vero bacio, che nel serrato confronto con la regina Anna all’atto II.
Ancora in prima linea brilla l’Enrico VIII del magnifico basso moscovita Alexander Vinogradov, timbro profondo e portentoso, scenicamente spavaldo e dongiovannesco, così come sottolineato al suo ingresso in scena aggiustandosi il ciuffo per poi subito partire con i debiti giri di corteggiamento intorno alla Seymour. Apice anche per lui nel feroce Terzetto all’atto finale.
Una valutazione a sé merita invece la seconda Anna Bolena (la prima è stata varata all’Opera di Roma nel febbraio 2019) di Maria Agresta, soprano di rara tempra lirica ma di fuoco non esattamente belcantistico. Allora come ora la sua Anna, scritta per la mitica Giuditta Pasta, soffre di evidenti forzature nelle agilità in area sovracuta che finiscono, sistematicamente, per appannarne il volo funambolico a fronte, invece, di una densità di fraseggio, di salde puntature all’acuto e di una bellezza dei filati strabiliante. Ne risulta una Bolena certamente vibrante, drammaticamente ricca di sfaccettature e dai colori preziosi, apprezzabile più che in altro numero nella splendida sua gran scena finale della pazzia. Ossia, laddove l’Agresta tornisce invero fioriture ponderate in tempo più comodo e quindi impeccabili nell’elegiaco Cantabile per poi accendere in fiamma mordente (esatte tutte le minime trillate, di forza e ben a fuoco qui gli acuti) le battute della cabaletta in tempo Moderato (Coppia iniqua) al “suon festivo” delle nuove nozze del re.
Il Riccardo Percy del tenore René Barbera, giunto in sostituzione a pochi giorni dalla prima, sfodera dal canto suo voce chiara e una nobilissima condotta melodica, talvolta spinta in emissioni un po’ troppo aperte ma agilmente articolata nel portamento alternato in legato e staccato, con squilli ben centrati quanto timbrati, giusto escludendo il non perfettamente riuscito re all’acuto in coda alla sortita con catene.
Infine, svolge molto bene il suo compito e con un morbidissimo belcanto il mezzosoprano Caterina Piva nei panni contraltili en travesti del musico disperatamente invaghitosi di Anna, Smeton, bravo l’Hervey di Giorgi Guliashvili mentre inizialmente discontinua ma in crescendo la prova del basso Nicolò Donini per Lord Rochefort. Efficaci e molto “alla Romeo e Giulietta” le danze dei ballerini del Corpo di Ballo della Fondazione.
Al termine tanti gli applausi per tutti gli artisti alla ribalta. [Rating:3.5/5]

Teatro San Carlo – Stagione d’opera e balletto 2022/23
ANNA BOLENA
Tragedia lirica in due atti
Libretto di Felice Romani
Musica di Gaetano Donizetti

Enrico VIII Alexander Vinogradov
Anna Bolena Maria Agresta
Giovanna Seymour Annalisa Stroppa
Lord Rochefort Nicolò Donini
Lord Riccardo Percy René Barbera
Smeton Caterina Piva
Signor Hervey Giorgi Guliashvili

Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo
Direttore Riccardo Frizza
Maestro del coro José Luis Basso
Regia Jetske Mijnssen
Scene Ben Baur
Costumi Klaus Bruns
Luci Cor van den Brink
Coreografia Lillian Stillwell
Drammaturgia Luc Joosten

Allestimento del Teatro San Carlo in coproduzione con
Dutch National Opera e Palau de les Arts Reina Sofia di Valencia
Celebrazioni del Centenario di Maria Callas (1923-2023)
Napoli, 8 giugno 2023