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Napoli, Teatro Politeama – Rigoletto (con Tézier, Sierra, Pati)

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Un cast di stelle di prima grandezza e ad altissima concentrazione interpretativa, notevoli talenti fra i giovani comprimari maschili, Coro di tenori e bassi più Orchestra in buona forma e una direzione musicale attenta a scolpire con efficacia drammatica tempi, tinte, respiri e dinamiche nel tripudio dei tanti applausi a scena aperta e di ben due bis concessi fra i più accesi entusiasmi in corso d’opera. Peccato solo che il folgorante Rigoletto di Giuseppe Verdi, proposto dal Teatro San Carlo di Napoli come secondo titolo verdiano di fila in locandina lirica inaugurata al Massimo lo scorso novembre con il Don Carlo, sia stato bruciato in stagione optando per la semplice forma di concerto e finendo, come se non bastasse a causa della prima tranche dei nuovi lavori di restauro, nell’esilio forzato al Politeama, sala francamente triste (pavimenti malmessi, bagni con serrature rotte) e poco idonea a contenere tanta arte e beltà di canto.

Detto ciò, alla luce di quanto ascoltato dalle voci e visto nella comunque dettagliata gestualità sia corporea che espressiva di volti e sguardi, non c’è che da lodare dalla prima all’ultima nota l’intero spettacolo. Doveroso in termini di perfezione, oltre che per la centralità del ruolo, è partire dal Rigoletto del baritono francese Ludovic Tézier, a oggi interprete in vetta mondiale fra i nomi della sua tessitura e, sempre per il San Carlo, di recente applaudito per il suo marchese di Posa nel titolo d’apertura. Entrando alla scena terza dopo il minuetto e il perigordino in irriverente scherno del tradito “Signor di Ceprano”, subito lascia intendere quel che sarà il suo dominio assoluto del campo scontornando per il buffone difforme un taglio canoro dal dettaglio studiato e imperioso, sgrassato dagli eccessi di convenzione quanto radicato e pesato sul nesso esatto di parola e musica di volta in volta in pentagramma, conferendo plasticità teatralissima a incisi, frasi, pause e alle sue speciali chiuse, tenute con fiati strabilianti come all’infinito. Ne risulta un Rigoletto solido, potente e al contempo variegato fra gli accenti delle parti in recitativo, vibrante nel monologo interiore (“Pari siamo! … io la lingua, egli ha il pugnale”) in cui si riconosce non dissimile dallo spregevole sicario borgognone Sparafucile, nelle sortite a denti stretti, di padronanza tecnica e intensità drammatica impressionanti tanto nella violenza dell’invettiva (da manuale il suo “Cortigiani vil razza dannata”, bissato a furor di popolo dalla sezione in re bemolle) quanto negli accorati e morbosi accenti (i duetti al primo, al secondo atto e nel finale ultimo) al cospetto della figlia.

Parimenti osannata per un canto che con sorprendente naturalezza tiene realmente testa a ogni tipo di prodezza è la bellissima Gilda del soprano Nadine Sierra, al proscenio in abito verde brillante con spacco, gambe e tacchi vertiginosi, alla Belén. In verità, il suo timbro morbido e pastoso poco si addice al colore acuminato e adamantino con cui andrebbero staccate e risolte le note di coloratura argentina durante il suo ingenuo innamoramento adolescenziale per il misterioso Gualtier Maldè, evocato nell’aria d’agilità “Caro nome” restituita, infatti, liricizzandone la scrittura ma non con minor bravura. Diciamo che la Sierra crea una sua propria Gilda, priva di una vera evoluzione psicologica e dunque canora nell’arco dei tre atti ma, comunque e innegabilmente, magnifica a ogni sua nota. E ciò per le sfumature di colore e la tenerezza dei filati, per la centratura esatta e la lunga tenuta di tutti gli acuti in unione alla sostanza conferita al sia pur minimo dettaglio sonoro, salendo e scendendo con disinvoltura estrema lungo l’intera sua estensione, tanto nell’aria quanto in tutti gli strepitosi pezzi d’assieme. A conferma, l’apice toccato in cadenza nella cabaletta al fianco del Duca di Mantova (Addio…speranza ed anima) e nel duetto accanto al padre “Tutte le feste al tempio”, secondo bis della serata replicato con perfezione intatta.

Tornato dopo l’Edgardo della Lucia donizettiana ascoltata al San Carlo esattamente un anno fa e sempre accanto a Nadine Sierra, il tenore polinesiano Pene Pati conferma quanto a suo tempo notato, sebbene sotto ruolo dalla morale più nobile, anche per il tracotante personaggio del Duca di Mantova. Mentre si fa infatti sempre più concreta e riconoscibile in lui la somiglianza sorprendente con la vocalità di Pavarotti non solo per la singolarità del colore ma per gli accenti con cui articola parole e interi archi fraseologici (trattenendo, stringendo, poggiando, espandendo), resta qualche problema nell’emissione delle mezzevoci e, in generale, delle dinamiche in piano o pianissimo. In pratica, quando il suo suono smorza perde sostanza e appoggio sul fiato risultando inevitabilmente stimbrato e sfibrato. Ed è un peccato, perché Pati ha volume da vendere, ottimo stile e una cifra timbrica di pregio raro. La sua ballata (“Questa o quella per me pari sono”) ha rimbalzi e la bemolli di autentica beltà, la cabaletta “Possente amor mi chiama” ha gran piglio e puntature sul re al top, la sua celeberrima Canzonaccia all’atto terzo (“La donna è mobile”) verte su quella varietà di tinte e accenti, oltre l’attesa potenza dell’acuto sul si, dettata a dovere dalla stessa instabilità di significato e significante dei quinari del testo.

Nel cast si loda ancora la Maddalena ritagliata con salda sicurezza scenica e con intensa pregnanza vocale da un mezzosoprano di notevolissimo calibro qual è Nino Surguladze, lo Sparafucile di Alessio Cacciamani abile nello sfoderare, ben oltre le solite tinte troppo chiuse e infossate, sonorità ampie e di vigoria terribile, il Monterone dell’ottimo e tuonante Gabriele Sagona, l’efficace Marullo di Roberto Accurso. Non meno interessanti per spessore e colore risultano inoltre i giovani talenti maschili scelti dall’Accademia della Fondazione lirica napoletana, tutti bravissimi: Li Danyang (Matteo Borsa), Ignas Melnikas (Il Conte di Ceprano) e Giovanni Impagliazzo (Usciere di Corte). Completavano la squadra, Cassandre Berthon (Giovanna) e, sempre dall’Accademia sancarliana affidata a Mariella Devia, Costanza Cutaia per la Contessa di Ceprano e Marilena Ruta per il paggio della Duchessa.

Quanto al lavoro sul podio, rispetto alla Sonnambula che lo scorso inverno ne aveva segnato il debutto sul podio partenopeo, va riconosciuta al giovane direttore Lorenzo Passerini una migliore intesa con la partitura verdiana, sia per la tenuta serrata fra voci e compagini, sia nella cura garantita ai tanti dettagli metrici e di natura espressiva. Fermo restando l’equilibrio di un taglio da concerto, il maestro non priva la partitura di una mirata ricerca giocata sul contrasto e sulla cura dei rilievi timbrici, ad esempio di violoncelli e contrabbassi rispettivamente ben capitanati da Pierluigi Sanarica e da Carmine Laino al ferale incontro di Rigoletto con Sparafucile. O, ancora nella tornitura del motto della maledizione, negli accessi di vendetta e nella sapiente costruzione in sequenza di quartetto, terzetto e tempesta. Un plauso spetta infine a Josè Luis Basso per la resa di un Coro maschile che, pur con l’ingresso di diversi, giovani elementi, garantisce al meglio coesione ritmica e peculiarità sonore dell’assieme, come nel mirabile effetto a bocca chiusa per il burrascoso soffiare del vento.
Immensa la pioggia di applausi per tutti al termine.

Teatro San Carlo – Stagione 2022/23
RIGOLETTO
Melodramma in tre atti
Libretto di Francesco Maria Piave
dal dramma Le Roi s’amuse di Victor Hugo
Musica di Giuseppe Verdi

Il Duca di Mantova Pene Pati
Rigoletto Ludovic Tézier
Gilda Nadine Sierra
Sparafucile Alessio Cacciamani
Maddalena Nino Surguladze
Giovanna Cassandre Berthon
Il Conte di Monterone Gabriele Sagona
Marullo Roberto Accurso
Matteo Borsa Li Danyang
Il Conte di Ceprano Ignas Melnikas
La Contessa di Ceprano Costanza Cutaia
Un usciere di Corte Giovanni Impagliazzo
Un paggio della Duchessa Marilena Ruta 

Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo
Direttore Lorenzo Passerini
Maestro del coro José Luis Basso

Esecuzione in forma di concerto
Napoli, Teatro Politeama, 18 gennaio 2023

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