Prima di accingermi alla visione di questa particolare edizione de L’Orfeo di Monteverdi, messo in scena dalla compagnia Carlo Colla & Figli per la stagione dell’Opéra di Monte-Carlo, mi sono confrontato con Alfonso Cipolla, che di marionette ma anche di burattini è forse il massimo esperto in Italia. Ero curioso di sapere se, in passato, qualcuno avesse già pensato di realizzare il capolavoro monteverdiano in questa maniera; a quanto pare si è trattato di una novità quasi assoluta, anche se – ed è sempre Cipolla a ricordarmelo – il mito di Orfeo era già stato avvicinato dal teatro di figura: la Gazzetta dei Teatri d’Italia, ad esempio, riportava infatti nel 1806 di un gran ballo mitologico ispirato ad Orfeo ed Euridice, ma realizzato con marionette a Roma. E dire che questa storica compagnia milanese di marionette di opere ne aveva già allestite molte, seguendo l’onda di una antica e consolidata tradizione che nel Novecento vide venir tradotti per marionette diversi soggetti del teatro musicale, soprattutto di opere verdiane. La compagnia stessa imparò poi a utilizzare questi piccoli attori in legno per incarnare la dimensione musicale dei diversi personaggi, che hanno cominciato a comportarsi come veri e propri cantanti d’opera, tanto che, muovendo ad arte i fili, tutte le parti del pupazzo paiono emulare la gestualità stereotipata del cantante, ma anche assumerne inaspettate espressioni. Era, per quel tempo, un modo per ingigantire la popolarità dei drammi musicali di Verdi, che dai grandi spazi teatrali predisposti al melodramma arrivavano alla gente comune, moltiplicandone la fama con questo raffinato linguaggio marionettistico. Col passare del tempo il repertorio della compagnia, che intanto aveva avvicinato opere meno scontate come Crispino e la comare, Roberto il diavolo, Il matrimonio segreto, Mefistofele e addirittura Il Guarany, si allargò ulteriormente e, negli ultimi decenni, si sono affrontati anche titoli mozartiani (Il sogno di Scipione), rossiniani (L’italiana in Algeri) o barocchi, come Rinaldo, Giustino e Ariodante di Händel, senza dimenticare Monteverdi, con Il combattimento di Tancredi e Clorinda e Il ballo delle ingrate.
Il pubblico monegasco ricordava soprattutto la felice creazione che la compagnia Colla & Figli fece di Philemon und Bauci di Haydn, spettacolo che girò l’Europa e alla Salle Garnier del Principato di Monaco venne proposto nel 2014. Non ci si era però mai avvicinati al mito di Orfeo, che subito appare ideale per essere inscenato in questa maniera; non solo per il vantaggio derivato dalle contenute dimensioni del piccolo palcoscenico monegasco, ma anche perché la storia del cantore semidio si presta particolarmente a essere raccontata col linguaggio delle marionette, mentre l’orchestra barocca de Les Musiciens du Prince-Monaco suona posizionata in buca, dove si esibiscono i cantanti stessi. Una grande cornice scenica architettonica, che fa pensare a quella che la Salle Garnier ebbe al suo nascere (poi abbattuta contro il volere stesso di Charles Garnier), delimita un piccolo palcoscenico che, ad alzata di sipario, sulle note della celebre toccata che precede il prologo, vede la marionetta che incarna Monteverdi aprire idealmente l’opera, per poi riapparire al seguito di Orfeo quando il canto del mitico cantore, nei campi di Tracia, viene replicato nel monologo in cui si duole per la definitiva perdita della sua Euridice da una voce che gli fa eco da un piccolo teatro colorato di marionette introdotto in scena da Monteverdi stesso: idea perfetta, funzionale al fatto che sia il compositore stesso a dar riverbero ai lamenti di Orfeo, perché vengano accolti da Apollo, che infatti scende dal cielo, su un carro guidato da quattro cavalli bianchi, con alle spalle i raggi lucenti di un sole in cartapesta, e porta via con sé il cantore a rimirar nelle stelle le somiglianze della perduta Euridice.
Stupisce come le marionette riescano così bene a donare rilievo espressivo a ogni scena dell’opera, descrivendo, con un tocco di poesia, l’anima dei personaggi, rendendoli miracolosamente palpitanti di vita. Si va dunque ben al di là di un bozzettismo figurativo di per sé bellissimo ma rischiosamente distaccato e privo di involo teatrale. I marionettisti sono di una bravura tale che, quando al termine dell’opera la cornice si alza e svela nel retropalco i meccanismi del perfetto gioco di finzione, si è ormai completamente affascinati da questa sapienza teatrale antica, viva anche nei sipari che fanno da contorno all’agire dei personaggi. La messa in scena – firmata da Giovanni Schiavolin e Franco Citterio, quest’ultimo è autore anche di scene e luci, mentre i costumi sono di Cecilia Di Marco e Maria Grazia Citterio e il maestro di scena è Luca Volontè – tocca vertici di incanto visivo che rasenta la magia. Dai piccoli fondali dipinti che raffigurano l’idillio campestre dei pastori in questo microscopico palcoscenico, si passa al mostro dalla cui bocca si spalanca la visione delle rosse profondità infernali con i suoi mostruosi diavoli, passando ovviamente per le acque putride del fiume Stige attraverso cui Caronte traghetta sulla sua barca le anime che tentano invano di salvarsi, mentre gli spiriti volteggiano al pari di fantasmi come forse in uno spettacolo normale mai si era visto realizzato così bene.
Alla raffinatezza della messa in scena marionettistica si accompagna l’altrettanto magnifica realizzazione musicale che vede Gianluca Capuano, ormai bacchetta händeliana fra le migliori dei nostri giorni, andare indietro nel tempo, alle radici del barocco seicentesco, misurandosi con le origini dell’opera e con un recitar cantando che viene letteralmente ricamato sulla parola e sul rilievo dato a ogni singolo strumento della ricca strumentazione monteverdiana. Il suono della sua orchestra, Les Musiciens du Prince-Monaco, del quale è ispiratissimo direttore musicale, è spedito, espressivo, cangiante di colori e tinte espressive, puntellato di croccante incisività e di fascinose aperture liriche, con quel retrogusto antico che non è pura ricercatezza arcaica del suono originale ma si irradia di vitalità timbrica tanto fantasiosa quanto naturale per comunicativa e immediatezza. Inutile sottolineare come anche la compagnia di canto, formata da cantanti tutti italiani, quindi perfetti nell’articolazione del testo oltre che stilisticamente ineccepibili, resti galvanizzata da tale profondità di linguaggio musicale, appoggiandosi su un tessuto orchestrale che, pur nel suono anticato tendenzialmente asciutto che è proprio degli strumenti storicamente informati, palpita di vita.
Renato Dolcini, che veste i panni del protagonista, ha la voce giusta per Orfeo, un semidio capace, con la sua voce, di incantare tutto ciò che lo attornia. Quando apre bocca deve esprimere l’espressione dei suoi poteri taumaturgici, attraverso un canto che sia una via di mezzo fra il baritono chiaro (come lo è stato Furio Zanasi, altro moderno interprete di riferimento per questa parte) e il tenore (come Mirko Guadagnini, l’ultimo Orfeo che avevo ascoltato un anno fa e che mi colpì per la capacità di piegare il suo timbro schiettamente tenorile alle ragioni dello stile vocale e della timbrica tutta particolare che il personaggio richiede). Dolcini, dal canto suo, canta con voce dai centri baritonali pieni eppure attraversati da un biancore sovrumano, che profuma di evocazioni mitiche e arcane. È poi un virtuoso di tutto rispetto, perché nelle strofe di “Possente spirito” si mostra ferratissimo e minuziosamente analitico nel canto fiorito.
Come Messaggera e La Speranza si ammira ancora una volta il timbro setoso, ambrato e finissimo di Sara Mingardo, che intona il racconto della morte di Euridice con un respiro tragico che nessuna altra interprete ha saputo meglio di lei individuare in quel sentenziare drammatico accorato e doloroso, con il valore aggiunto di una vena dolente e languida di toccante sospensione emotiva.
Nella locandina degli interpreti si mettono in luce anche la voce di Carlotta Colombo, che nei panni della Musica e di Euridice sfoggia rigore stilistico e limpida nitidezza d’emissione, mentre fra le voci gravi c’è il Caronte solennemente cavernoso di Salvo Vitale, ma si ammira anche il timbro prezioso di Marco Saccardin, impegnato a vestire benissimo i panni di Plutone, il quarto pastore, il terzo spirito ed Eco, così come Massimo Altieri si apprezza come Apollo, secondo pastore e primo spirito.
Completano il cast Massimo Lombardi (terzo pastore e secondo spirito), Elena Carzaniga, incisiva Proserpina, Francesca Cassinari (Ninfa) e Jacopo Facchini (primo pastore).
Il pubblico, ammirato da questo spettacolo di sapienza figurativa antica, ha dispensato applausi finali incessanti per tutti, dopo quasi due ore di spettacolo, eseguito senza pause.
Salle Garnier, Opéra di Monte-Carlo – Stagione 2023
L’ORFEO
Favola in musica in cinque atti
Libretto di Alessandro Striggio
Musica di Claudio Monteverdi
Orfeo Renato Dolcini
La Musica / Euridice Carlotta Colombo
La Messaggera / La Speranza Sara Mingardo
Plutone / Quarto pastore / Terzo spirito / Eco Marco Saccardin
Caronte Salvo Vitale
Apollo / Secondo pastore / Primo spirito Massimo Altieri
Terzo pastore / Secondo spirito Massimo Lombardi
Proserpina Elena Carzaniga
Ninfa Francesca Cassinari
Primo pastore Jacopo Facchini
Ensemble Vocal Il canto di Orfeo
Les Musiciens du Prince-Monaco
Direttore Gianluca Capuano
Regia Franco Citterio e Giovanni Schiavolin
Scene e luci Franco Citterio
Costumi Cecilia Di Marco e Maria Grazia Citterio
Maestro di scena Luca Volontè
Marionettisti
Franco Citterio
Maria Grazia Citterio
Piero Corbella
Camillo Cosulich
Debora Coviello
Carlo Decio
Michela Mantagazza
Cecilia Di Marco
Tiziano Marcolegio
Pietro Monti
Giovanni Schiavolin
Paolo Sette
Nuova produzione Associazione Grupporiani
Carlo Colla & Figli, Comune di Milano – Teatro Convenzionato
Monte-Carlo, 17 aprile 2023