Chiudi

Monte-Carlo, Salle Garnier – Andrea Chénier

Condivisioni

Andrea Chénier mancava dalle scene monegasche dal 2009, quando nel ruolo del titolo avrebbe dovuto cantare Roberto Alagna, al suo debutto nella parte. Eppure il noto tenore italo-francese si dichiarò ancora non pronto per affrontare il ruolo e si ripiegò sul giovane e volenteroso Enrique Ferrer. Anche oggi, per il ritorno dell’opera di Umberto Giordano sul palcoscenico della Salle Garnier per la stagione dell’Opéra di Monte-Carlo, era atteso niente meno che Jonas Kaufmann, che si è dato malato a neanche una settimana dalla prima. Almeno così si è appreso, secondo un comunicato diramato dal teatro, cui sono seguite le scuse del tenore stesso, consegnate agli spettatori in un foglio allegato al pieghevole di sala, dove il divo si dichiarava non ancora ripresosi del tutto da un raffreddore e, quindi, non in grado di dare il massimo di sé in un’opera così esigente. Nel pubblico restava l’amaro in bocca, soprattutto dopo la caccia al biglietto scatenatasi per garantirsi la presenza a uno spettacolo andato subito sold out. Per di più trovare in quattro e quattr’otto un sostituto degno di tal nome era impresa quasi titanica, eppure la nuova direttrice del teatro, Cecilia Bartoli, e il suo entourage artistico sono riusciti a trovare una soluzione capace di non creare squilibrio all’interno di un cast che per altro, anche negli altri ruoli, si era pensato per fare di questo Chénier uno spettacolo da ricordare.

Alla fine la soluzione è caduta sul tenore tedesco-brasiliano Martin Muehle, già ascoltato in questa parte in Italia quattro anni fa, quando la sostenne in diversi teatri emiliani. All’epoca mi parve professionale, sicuro, di timbro brunito e con buon slancio in acuto, anche se la voce giungeva al termine dell’opera un po’ stanca. Oggi è sembrato più convincente sul piano espressivo, a partire dell’“Improvviso”, cantato con sicurezza e il dovuto slancio. Anche nel secondo atto ha sfoggiato belle arcate di fiato e affrontato i temibili attacchi del duetto con Maddalena sviando vistose sbavature. Risolto con buon controllo dello strumento un “Sì, fui soldato” privo di eccessi tribunizi, nell’ultimo atto è arrivato a cantare “Come un bel dì di maggio” senza gli affanni in cui spesso incorrono molti tenori. Possiede insomma sicurezza e buona proiezione vocale, anche in acuto. Tolto qualche momento in cui la voce si opacizza, il rendimento complessivo appare soddisfacente. Insomma un solido professionista, che sa calibrare le forze e per di più si cala con grande intelligenza all’interno di uno spettacolo dove si è distinto anche per la pertinente presenza scenica.

Tutto è bene quel che finisce bene, dunque, nonostante l’assenza del divo Kaufmann, ma è innegabile che anche, anzi direi soprattutto, gli altri protagonisti del cast abbiano contribuito al buon esito della serata. A partire da Claudio Sgura, un Gérard che subito si impone per la presenza scenica, la teatralità accesa e la voce di ampio volume, ben controllata e attraversata da una grana vocale timbrica talvolta un po’ macignosa eppure vigorosa, solida, addirittura sfrontata quando, accompagnato da una personalità spiccatissima, risulta travolgente nella difesa a Chénier del terzo atto. Ma anche nel celebre “Nemico della patria” regala momenti in cui il fraseggio non è affidato solo al caso o alla muscolosità del suono, ma sa anche colorarsi di accenti che lo rendono espressivamente sempre interessante.
Su tutti spicca la Maddalena di Coigny di Maria Agresta, forse il miglior soprano lirico italiano del momento. Proprio per questo, la sua voce potrebbe sembrare non sempre completa per le esigenze della parte, che invece affronta senza mai forzare l’emissione, lasciando che il suono si espanda con la luminosità propria al suo timbro bellissimo. Ed eccola imporsi nel primo atto, dove la voce e la presenza scenica sono fresche come il fiore che si pone in testa, simbolo della giovinezza che non ha bisogno di un bell’abito per apparire in tutta la sua fragranza. Nel duetto con Chénier del secondo atto regala perle di lirismo assolutamente da fuoriclasse, sfumando i suoni ad arte. Arrivati a “La mamma morta”, raccoglie il suono e, grazie a un fraseggio accuratissimo, intimo e toccante, non cede mai all’enfasi e arriva alla fine dell’aria sfogando il suono in acuto con radioso slancio, sempre commisurato alle possibilità di una voce che sta trovando nuove vie di repertorio. Il rischio per taluni indirizzi potrebbe esserci, ma per ora la voce non ne risente. Resta quindi la cantante di rango di sempre, e qui lo conferma.
All’ottimo risultato di questo Chénier contribuisce anche un cast che nelle parti di fianco, così importanti nell’economia di quest’opera, regala belle sorprese. Se infatti ottimi sono Fleur Barron (Bersi), Andrew Moore (Fléville), Giovanni Furlanetto (Fouquier-Tinville), Fabrice Alibert (Mathieu), Reinaldo Macias (Un incredibile), David Astorga (L’Abate), Eugenio Di Lieto (Dumas e Schmidt) e Matthew Thistleton (Il Maggiordomo), tre sono le prove che meritano una citazione a parte: quella della Contessa di Coigny della bravissima Annunziata Vestri, teatralmente perfetta e ironicamente assorta nel suo finto mondo aristocratico, destinato a crollarle inesorabilmente addosso; il Roucher di Alessandro Spina, addirittura un lusso per una parte dove mostra presenza scenica e voce preziosa, attente nel dare la giusta apprensione che il personaggio prova per l’amico che sa in difficoltà; infine il cameo interpretativo della Madelon di Manuela Custer, un capolavoro di intelligenza vocale ed espressiva, miniato in ogni gesto e nota, così da liberare il personaggio dalla scontata retorica rivoluzionaria che lo caratterizza, donandole un rilievo asciutto e commosso.

La bacchetta di Marco Armiliato, dal podio dell’Orchestra Philharmonique de Monte-Carlo e di un Coro dell’Opéra de Monte-Carlo dalla resa perfetta, istruito da Stefano Visconti, offre una concertazione piena di anima teatrale, che non perde per un attimo il controllo del palcoscenico e, pur non trascurando gli involi melodici più noti, regala concretezza e concentrazione estrema a una partitura privata di quell’involo tribunizio che la contraddistingue, saggiamente evitato a favore di un disegno musicale coerente alla narrazione cinematografica che è propria anche allo splendido spettacolo firmato dalla regia di Pier Francesco Maestrini, altro punto di forza di questo Andrea Chénier monegasco.

L’impianto scenico di Nicolás Boni, che segue fedelmente la tradizione (i costumi, bellissimi, sono di Stefania Scaraggi) e realizza i video assieme a Matias Otalora, è nella sostanza fisso e si rimodula di atto in atto mostrando come la rivoluzione poco per volta distrugga tutto ciò che era appartenuto all’Ancien Régime. Una cornice dorata spezzata inquadra, ad apertura di sipario sul primo atto, un fondale pittorico paesaggistico alla Fragonard che alla fine viene consumato dalle fiamme appiccate dai rivoltosi, mentre la Contessa, ormai sola con se stessa a ballare una gavotta sulla scena, sembra venir pian piano avvolta dal fuoco che distrugge il suo modo di essere, mentre lei stessa si accartoccia a terra come un burattino bruciato dalle fiamme. I resti di un mondo fatto a brandelli, che sta per essere annientato dalla furia rivoluzionaria, sono già presenti sotto forma di macerie al proscenio e saranno evidenti anche nel secondo atto, nelle strade di una Parigi immersa nel caos al tempo del Terrore. Qui si assiste alla violenza di un popolo quasi assetato di sangue, percorso dal desiderio continuo di vendetta e distruzione contro ogni simbolo del passato. Il vecchio potere aristocratico si è sgretolato e un realismo cinematografico sofisticatissimo e violento, fedelissimo nel figurativismo scenico al momento storico ma anche attento nel costruire una regia sempre meditata e ricca di particolari, rende la narrazione concitata e serrata. Si arriva a un ultimo atto dove la cornice che era visibile nel primo è ormai nascosta dalle macerie. Tutto è ridotto in frantumi e la luce verso la quale si muovono i due protagonisti, pronti a salire sulla ghigliottina, è un piccolo riquadro di aurora blu che illumina un carcere interamente distrutto; un’alba di morte, ma anche di salvezza verso la quale i due protagonisti orgogliosamente si avviano, certi che la loro condanna sia “il trionfo dell’amor”: morte destinata ad aprir loro il varco verso la luce dell’eternità. Uno spettacolo davvero curato in ogni minimo particolare e, finalmente, fedele alla drammaturgia dell’opera e al contesto temporale, privo di inutili pretesti per dar sfogo all’ego del regista, che qui invece fa un lavoro di teatro avvincente e fedele a un disegno visivo che sembrerebbe scontato, ma non lo è affatto, anche per l’apporto delle splendide luci di Daniele Naldi. Ecco un modello per come restituire al teatro d’opera la sua dimensione pura, senza per questo risultare banale.
Successo finale festosissimo, con applausi a scena aperta anche dopo le arie più note dell’opera.

Salle Garnier, Opéra de Monte-Carlo – Stagione 2023
ANDREA CHÉNIER
Dramma storico in quattro atti
Libretto di Luigi Illica
Musica di Umberto Giordano

Andrea Chénier Martin Muehle
Gérard Claudio Sgura
Maddalena di Coigny Maria Agresta
Bersi Fleur Barron
La Comtessa de Coigny Annunziata Vestri
Madelon Manuela Custer
Roucher Alessandro Spina
Fléville Andrew Moore
Fouquier-Tinville Giovanni Furlanetto
Mathieu Fabrice Alibert
Un incredibile Reinaldo Macias
L’Abate David Astorga
Dumas/Schmidt Eugenio Di Lieto
Il maggiordomo Matthew Thistleton

Direttore Marco Armiliato
Regia Pier Francesco Maestrini
Scene e concezione video Nicolás Boni
Concezione video Matias Otalora
Costumi Stefania Scaraggi
Luci Daniele Naldi
Coreografie e assistente alla messa in scena Silvia Giordano

Orchestre Philharmonique de Monte-Carlo
Direttore Marco Armiliato

Coro dell’Opéra de Monte-Carlo
Direttore del coro Stefano Visconti
Maestro preparatore dei cantanti Kira Parfeevets
Assistente ai costumi Paolo Vitale
Assistente alle luci Alberto Rossini
Académie Princesse Grace-Ballets de Monte-Carlo

Coproduzione con il Teatro Comunale di Bologna
Monte-Carlo, 21 gennaio 2023

image_print
Connessi all'Opera - Tutti i diritti riservati / Sullo sfondo: National Centre for the Performing Arts, Pechino