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Milano, Teatro alla Scala – Rusalka

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Negli anni passati numerose sono state, in tutto il mondo, le produzioni di questo titolo, dall’Europa all’America e all’Estremo Oriente. Limitandoci solo al secolo corrente ricordiamo, per esempio, quella psicanalitica di Carsen con Renée Fleming (Parigi 2002), o quella, brutale, del 2010 alla Bayerische Staatsoper con regia di Martin Kušej, protagonista Kristine Opolais; la versione in scena al Salzburger Festspiele 2008, a firma Wieler-Morabito, diretta da Franz Welser-Möst e con, nel cast, Camilla Nylund, Piotr Beczala ed Emily Magee, e quella a Tokyo del 2011 (regia di Paul Curran, in coproduzione con Oslo); l’allestimento di Mary Zimmerman a New York nel 2017; lo spettacolo del 2020 al Teatro Real di Madrid con, nel ruolo del titolo, Asmik Grigorian, oppure quello del 2023, in ottica ecologista, della Royal Opera House di Londra.

Incredibile a dirsi ma, al Teatro alla Scala, sino a oggi non era mai comparso in cartellone. Bene ha fatto, dunque, il sovrintendente Dominique Meyer a proporre, per la stagione in corso, il capolavoro teatrale di Antonín Dvořák, caposaldo della musica boema e mitteleuropea, la fiaba lirica in tre atti Rusalka. Completata tra aprile e novembre del 1900, la sua prima mondiale avvenne a Praga il 31 marzo 1901; l’opera è su libretto del giovane scrittore e drammaturgo Jaroslav Kvapil. Vi troviamo tematiche care alla poetica di Dvořák quali l’elemento fiabesco e soprannaturale, la natura incantata e incontaminata, il folklore popolare boemo, il tutto declinato in un’ottica sentimentale e simbolica. Il librettista trasse ispirazione dal tema della ninfa acquatica che, per amore di un principe, assume sembianze umane, pagandone però le amare conseguenze con un tradimento e un destino di infelicità; un motivo peculiare della letteratura nordica, ampiamente ripreso in epoca romantica, basti pensare alla fiaba La sirenetta di Hans Christian Andersen, il racconto Undine di Friedrich de la Motte Fouqué, il dramma fiabesco Die versunkene Glocke di Gerhart Hauptmann, fonti letterarie con le quali numerosi sono i punti di contatto.

Per l’occasione, debutta sul podio dell’Orchestra scaligera il direttore della Welsh National Opera, il ceco Tomáš Hanus, uno specialista della partitura che ha già diretto, in passato, in piazze quali Monaco di Baviera, Vienna, Helsinki e Copenaghen. La sua è una direzione rutilante, vivida e vibrante, improntata a sonorità cangianti, piene e corpose, di puro smalto. Con gesto morbido e scattante, Hanus sbalza a tuttotondo, con incisività, le molteplici anime e sfaccettature dello spartito: il plasticismo degli echi wagneriani, quali i Leitmotive e il Tristan-Akkord; la sontuosità dell’elemento naturalistico; un turgido e terso sinfonismo di sapore quasi brahmsiano; la schiettezza immediata dei canti e delle danze tipici del popolo boemo. Una lettura, in sintesi, compatta, pulsante e priva di sbavature, condotta con mano salda e sicura.

Di livello il cast scritturato. Nei panni della protagonista troviamo il soprano ucraino Olga Bezsmertna, già applaudita su queste tavole nel 2021 come Diana nella Calisto. La sua è una Rusalka dalla vocalità tornita e di buon peso, nel complesso emessa con morbidezza, ricca di armonici, corposa e ben sfogata in acuto, sorretta da una tecnica ferrea. La celeberrima “Preghiera alla luna” del I atto, “Měsíčku ne nebi hlubokém”, è resa con languore, delicatezza e soavità, senza però mai scadere nel melenso. Efficace e sentita l’interpretazione, aderente all’affascinante disegno registico. Accanto a lei, il tenore russo Dmitry Korchak impersona il Principe con una voce ampia, dallo squillo rilucente come l’argento, omogenea nell’emissione, solida ma in grado di piegarsi, all’occorrenza, in mezzevoci perlacee come, ad esempio, nel toccante finale. L’interprete si distingue per il portamento nobile, per la dovizia di accenti nel fraseggio e per la politezza nella linea di canto.
Elena Guseva è l’altera Principessa straniera. Il soprano russo esibisce uno strumento voluminoso e di colore scuro, emesso con impeto, torrenziale e penetrante nelle note alte; delinea con credibilità una virago sprezzante e passionale, dalla presenza scenica regale. Come strega Ježibaba, il mezzosoprano tedesco Okka von der Damerau emerge per una vocalità espansa e duttile, di avvolgente pasta ambrata; rifinito ed elegante il fraseggiare, scevro di effetti truci o di cattivo gusto. Il basso coreano Jongmin Park interpreta Vodník (Ondin), lo spirito delle acque e padre di Rusalka, con una voce autorevole, sonora e profonda, austero e solenne nella recitazione, sobrio nel porgere la parola, scenicamente severo e, al contempo, paterno.
Tonante e vocalmente robusto il baritono ceco Jiří Rajniš (Il guardiacaccia); musicale e flessuoso il mezzosoprano bulgaro Svetlina Stoyanova come sguattero, in possesso di uno strumento chiaro e limpido. Le tre Ninfe del bosco sono impersonate con cristallina luminosità e brio scenico dal soprano israeliano Hila Fahima, dal soprano armeno Juliana Grigoryan e dal mezzosoprano ucraino Valentina Pluzhnikova. Puntuale il cacciatore del baritono bielorusso Ilya Silchukou. Disinvolti e vivaci i brevi interventi del Coro scaligero, guidato come sempre con precisione da Alberto Malazzi.

Dopo la divisiva Carmen del 7 dicembre 2009, torna finalmente alla Scala Emma Dante. Nell’ottica della regista palermitana, la triste vicenda dell’ondina Rusalka viene letta in un’inquietante chiave post-apocalittica e psichedelica, onirica e drammatica, a tratti quasi da incubo, ambientandola in un luogo alla deriva, un mondo invaso dall’acqua a seguito di un’alluvione. Rifuggendo ogni oleografia zuccherosa, le belle e curate scene di Carmine Maringola vedono, per il I e il III atto, una chiesa gotica diruta e allagata, dal cui variopinto rosone in facciata filtra la luce della luna invocata dalla protagonista nella sua preghiera; al centro, una grande pozza d’acqua piovana mette in contatto e in comunicazione tra di loro il mondo delle fatate creature acquatiche e quello degli esseri umani. L’acqua è elemento costante anche per il palazzo del principe nel II atto, tutto blu e inondato pure esso, con gli invitati seduti a tavola immersi fino alle ginocchia. Fantasiosi, elaborati e multiformi i costumi di Vanessa Sannino, giocati principalmente sulle sfumature del rosso e del rosa, con look che rimandano simpaticamente ad alcuni personaggi dei cartoni animati Disney: e così, la Principessa straniera ricorda Malefica, mentre Ježibaba è un incrocio tra Ursula e la Regina cattiva di Biancaneve. La scenografia è impreziosita dalle luci magiche ed evocative, esteticamente impattanti, di Cristian Zucaro, e movimentata dalle coreografie turbinose di Sandro Maria Campagna. La regista ha lavorato con efficacia su ogni singolo personaggio, definendone con pregnanza la natura e insistendo su di una recitazione icastica. Rusalka, per esempio, appare in scena in carrozzina con, al posto delle gambe, dei tentacoli da medusa, sognatrice docile, fragile e poetica; una volta assunte sembianze umane, faticherà comunque ad adattarsi all’utilizzo delle gambe, traballando su di esse e divenendo una creatura ibrida. Oppure, la Principessa straniera è dipinta come una donna volitiva e altezzosa, arrogante e insidiosa, pronta a tutto pur di avere per sé il Principe (salvo poi deriderlo e abbandonarlo al suo destino). Gli umani che popolano il castello sono visti come automi senza cuore, dalle movenze meccaniche, intolleranti e chiusi nei confronti di chi è diverso e viene da altrove, come Rusalka, arrivando addirittura a divorarne con famelica bestialità i sinuosi tentacoli. Nello spettacolo non mancano elementi che sono un po’ il “marchio di fabbrica” delle regie di Emma Dante, in primis la tipica agitazione psicomotoria dei figuranti, spesso ricorrente nei suoi allestimenti; ravvisabile, altresì, una citazione della Carmen del 2009, durante il gaio girotondo notturno delle Ninfe del bosco (immagine che ha richiamato, alla memoria di chi scrive, l’Habanera). Tra i mimi, un ruolo importante lo gioca l’attrice che impersona il doppio di Rusalka, simile a una Ofelia shakespeariana che, nel II atto, morirà in preda al delirio e verrà deposta su di un letto cosparso di fiori, galleggiante nell’acqua, salvo poi, nel Finale secondo, essere sollevata in aria sovrastando l’innamorato traditore, simile a una gigantesca, inquietante medusa.
Teatro esaurito e, al termine, festante e meritato successo per tutti gli artisti, con punte di entusiasmo per Hanus, Bezsmertna (comparsa al proscenio, a chiusura di sipario, avvolta nella bandiera del proprio paese, l’Ucraina) e gli altri interpreti principali.

Teatro alla Scala – Stagione 2022/23
RUSALKA
Fiaba lirica in tre atti
Libretto di Jaroslav Kvapil
Musica di Antonín Dvořák

Il Principe Dmitry Korchak
La Principessa straniera Elena Guseva
Rusalka, ninfa dell’acqua Olga Bezsmertna
Vodník (Ondin), lo spirito delle acque Jongmin Park
Ježibaba, la strega Okka von der Damerau
Il guardiacaccia Jiří Rajniš
Lo sguattero Svetlina Stoyanova
Prima ninfa del bosco Hila Fahima
Seconda ninfa del bosco Juliana Grigoryan
Terza ninfa del bosco Valentina Pluzhnikova
Il cacciatore Ilya Silchukou

Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Tomáš Hanus
Maestro del coro Alberto Malazzi
Regia Emma Dante
Scene Carmine Maringola
Costumi Vanessa Sannino
Luci Cristian Zucaro
Coreografia Sandro Maria Campagna

Nuova produzione Teatro alla Scala
Milano, 6 giugno 2023

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