Alcune considerazioni a caldo, sul bel recital che ieri sera, al Teatro alla Scala, ha visto impegnato il tenore francese Benjamin Bernheim, ormai affermatissimo a livello internazionale, accompagnato al pianoforte da Carrie-Ann Matheson. Partiamo dal programma, che ha proposto due facce ben distinte della musica vocale da camera: quella francese, con l’articolato Poème de l’amour et de la mer op. 19 di Ernest Chausson e con L’invitation au voyage, Extase e Phidylé di Henri Duparc; quella italiana, con I pastori di Ildebrando Pizzetti, Serenata di Pietro Mascagni e, per finire, con quattro melodie da salotto di Giacomo Puccini, Mentìa l’avviso, Terra e mare, Sole e amore e Morire? nelle quali si ascoltano motivi musicali utilizzati in opere teatrali del compositore lucchese, come la prima, nella quale si individua “Donna non vidi mai” da Manon Lescaut, mentre nella terza si riprende un momento della Bohème, quello del duetto finale del quadro terzo (“Addio dolce svegliare alla mattina”) dove il lirismo prende forma con una declinazione certo diversa rispetto alle ombre profondamente tristi, disegnate dalla malinconia, che si stagliano nelle pagine francesi, quelle in cui il languore amoroso e i richiami alla sensualità hanno appunto una connotazione più sfumata e umbratile, forse anche sofferta e inquieta, in bilico fra amore e morte.
Difficile dire se il repertorio francese, che è poi quello d’elezione di Bernheim, sia più consono al suo sentire, perché anche al momento di intonare una pagina come quella già citata di Pizzetti la voce del tenore francese si piega con finezza assoluta alla parola e dona al testo di Gabriele D’Annunzio una beatitudine espressiva che profuma di ascendenze al canto gregoriano, divenendo quasi un’elegia della serena vita pastorale d’Abruzzo dipinta con arcadica evidenza dalla sua voce.
Ma che voce possiede Bernheim, applicata al canto da camera declinato nel modo che si detto e prestata anche all’opera se si mettono in conto pure i soli due bis proposti a fine serata: “Recondita armonia” da Tosca e “Addio fiorito asil” da Madama Butterfly? Da subito appare quella di un tenore lirico, dall’emissione morbida e ben proiettata, emessa in maniera ortodossa oltre che intonatissima (qualità, quest’ultima, ci permettiamo di dire, non sempre scontata anche in divi ben più acclamati di lui).
Una voce che, secondo le regole e lo stile del canto francese, si appoggia sulla parola donandole tutte le gradazioni, le mezze tinte, le finezze e la varietà di un fraseggio che trasmette emozioni da subito, con un rigore stilistico sorvegliato, delicato e introspettivo. Indubbiamente la voce è bella, talvolta timbricamente simile a quella di Roberto Alagna, anche se non così preziosa. L’introspezione sembra proprio essere il suo terreno d’elezione; ecco perché se si sorvola su una minimale défaillance ne L’invitation au voyage, dove la voce perde per pochi istanti il controllo (capita, anche ai fuoriclasse), subito dopo, in Extase, si resta incantati dall’uso di una mezza voce che si flette all’estasi amorosa mortifera della pagina donandole un soffio poetico pervaso di calda emotività, toccante, autenticamente francese, mai leziosa nella ricerca di quelle emissioni a fior di labbro che non sfociano nel falsetto pur mantenendosi intensamente delicate. Il suo è un lirismo in equilibrio fra il retaggio raffinato della tradizione vocale francese e un calore che guarda anche a quella italiana con una ricchezza coloristica ricercatamente ripiegata, appunto introspettiva come si diceva poc’anzi.
Mirabile, al tal riguardo, è la Serenata di Mascagni, talmente ben cantata che dopo un po’ ci si dimentica che voci più preziose della sua l’hanno fissata nella nostra memoria, imponendosi per la facile attrattiva del timbro ma non per quella capacità di costruire arcate emozionali amorose con felpata intimità, come sa ben fare Bernheim. Tutto questo dona al suo canto e al suo modo stesso, composto e misurato, di stare sul palcoscenico, con disarmante semplicità, un fascino indubbio. Cosa si evince da subito in lui è la consapevolezza stilistica, soprattutto sfoggiata nel canto francese, tale da renderlo un fuoriclasse e, certamente, tenore fra più interessanti dell’odierno panorama internazionale.
Alla Scala, nella prossima stagione, lo si ascolterà come protagonista in Werther di Massenet. Per ora, in questo affollato recital accolto con applausi convinti, ha dato prova di una classe e di una sensibilità espressiva non ancora così note in Italia come meriterebbero. La pianista candese, che l’ha accompagnato mirabilmente in questo viaggio sotto il segno della sensualità fin de siècle fra Francia e Italia, spesso colorato di malinconia, gli ha servito su un piatto d’argento tutta l’attenzione utile a donare anche ai citati bis una non comune varietà di colori che Bernheim regala in un repertorio operistico pucciniano che forse non è del tutto suo; perché le arie vengono cantate assai bene e con espressività ricercata, ma la voce, seppure sicura, non sfoga in acuto con squillo ed appare guardinga nel passaggio per alcune lievi appannature. Piccolezze che annotiamo comunque dinanzi alla profondità di un canto che è un arcobaleno di tinte e sfumature.
Teatro alla Scala – Recital di canto 2022/23
RECITAL DI CANTO
Pagine di Chausson, Duparc, Pizzetti, Mascagni, Puccini
Benjamin Bernheim, tenore
Carrie-Ann Matheson, pianoforte
Milano, 5 ottobre 2023
Photo: Brescia e Amisano