Milano come Napoli, la Scala come i Fiorentini. Va in scena per la prima volta sul palco del teatro meneghino Li zite ngalera, l’unico capolavoro comico di Leonardo Vinci del quale rimanga la musica. E, alla prima, raccoglie un successo cordiale da parte del folto pubblico. Il titolo si inserisce in un progetto di approfondimento delle radici italiane del melodramma, voluto dal sovrintendente Meyer, inaugurato nello scorso autunno con La Calisto di Cavalli e che proseguirà a giugno con Carlo il Calvo di Porpora.
Rappresentata esattamente 301 anni fa al Teatro dei Fiorentini di Napoli, Li zite ngalera è stata riscoperta nel 1979 e ripresa poche altre volte dal vivo. Si tratta di musica sempre di gradevole ascolto, felice nell’ispirazione melodica, animata da quella affettuosità che è un po’ la cifra distintiva della grande scuola partenopea. Musica che fa sorridere, ma dove pure fanno capolino l’amarezza e la malinconia; e sono forse le pagine più belle: proprio la malinconia, sembra suggerirci questo piccolo capolavoro, costituisce il vero tessuto connettivo, il basso continuo, dell’esistenza umana.
La farsa, su sapido libretto napoletano di Bernardo Saddumene (peraltro ricco di ambiguità e doppi sensi), si svolge in una sola giornata e all’interno di una locanda, affacciata sul Golfo. Qui si muovono i numerosi personaggi, in una sorta di continuo cortocircuito che, per centri versi, può ricordare il Sogno shakespeariano: tutti, infatti, amano la persona sbagliata e tutti si inseguono senza sosta. L’amore sbagliato è il filo conduttore di una storia che, per il resto, non ha una trama particolarmente originale, ma che comunque regala tipi umani simpatici, vivaci, originali. Ed anche “gender fluid” ante litteram: Carlo, una sorta di nostrano don Giovanni, ha voce di soprano; Belluccia, la di lui innamorata, è anche lei un soprano ma, nell’intreccio, si traveste da uomo; il tuttofare Titta è contralto e la simpaticissima Meneca, padrona della locanda, è interpretata da un tenore.
Il regista Leo Muscato, che con il teatro napoletano ha una certa consuetudine (ha lavorato con Luigi De Filippo), non si lascia affascinare dall’idea di trasportare nell’oggi la trama, magari pensando a una fiction con travestimenti e drag queen. Troppo facile, forse. Così, Muscato, pensando al Goldoni del Campiello o della Locandiera, sceglie di restare nel Settecento del libretto e riesce pure nell’intento di restituire la dimensione raccolta di un’opera nata per un teatro molto più piccolo della Scala. La sua è una Napoli oleografica che rivive nelle bellissime scene di Federica Parolini, di fatto tante cartoline che scivolano sul palco componendo e scomponendo il ritratto di una “città mondo” davvero unica per fascino e storia. Ci sono gli interni della locanda, dalla cucina al salotto, fino alla terrazza con tanto di panni stesi, ma ci sono anche il respiro del golfo, il fumigare del Vesuvio e, nel terzo atto, su un fondale dipinto, la galera del titolo che non è una prigione ma una nave (quella che accoglie i fidanzati felici, “li zite” del titolo, a fine opera). Gli eleganti costumi di Silvia Aymonino contribuiscono in modo coerente a collocare temporalmente i fatti, illuminati dalle calde luci di Alessandro Verazzi. Il disegno registico di Muscato lavora per sottrazione, illustrando la vicenda con leggerezza e anche con qualche gag divertente, ma di fatto senza distendere un vero filo drammaturgico tra le varie scene. Così, gran parte della riuscita teatrale è affidata alla verve dei singoli interpreti che, nel complesso, sono davvero bravi.
Francesca Aspromonte nel ruolo di Carlo canta con voce piena e luminosa, articolando con fine musicalità la melodia vinciana, mentre Chiara Amarù brilla come Belluccia grazie al suo bel timbro scuro e rotondo, nonché a una interpretazione sfumata e partecipe. Francesca Pia Vitale interpreta Ciomma, la bella del quartiere, che tutti vorrebbero conquistare, e lo fa con vivacità vocale e gusto scenico. Zia Meneca conquista il favore del pubblico grazie alla simpatia di Alberto Allegrezza, così come fa il controtenore Raffaele Pe – voce sempre rotonda, pulita e ben proiettata – nelle vesti dello scugnizzo Ciccariello. Filippo Mineccia (Titta) vanta un timbro di ambrata morbidezza, Marco Filippo Romano nei panni del cuoco Rapisto si conferma il mattatore che conosciamo, Antonino Siragusa mette efficacemente il proprio smalto vocale a servizio dello stralunato barbiere Col’Agnolo. Completano il cast il tonante Filippo Morace quale Federico Mariano (unico personaggio che, in ragione del ruolo, canta in italiano), e i bravi Matias Moncada (Assan) e Fan Zhou (Na schiavottella).
Eccellente la resa orchestrale, affidata alla compagine scaligera per l’occasione dotata di strumenti storici, con la partecipazione di elementi de La Cetra Barockorchester, sotto la guida sicura di uno specialista come Andrea Marcon. Ritmo teatrale e oasi liriche si avvicendano nel disegnare un itinerario narrativo sempre teso, ricco di contrasti dinamici e di sfumature espressive.
Teatro alla Scala – Stagione 2022/23
LI ZITE NGALERA
Commedia in musica in tre atti
Libretto di Bernardo Saddumene
Musica di Leonardo Vinci
Carlo Celmino Francesca Aspromonte
Belluccia Mariano Chiara Amarù
Ciomma Palummo Francesca Pia Vitale
Federico Mariano Filippo Morace
Titta Castagna Filippo Mineccia
Meneca Vernillo Alberto Allegrezza
Ciccariello Raffaele Pe
Rapisto Marco Filippo Romano
Col’Agnolo Antonino Siragusa
Assan Matías Moncada
Na schiavottella Fan Zhou
Orchestra del Teatro alla Scala su strumenti storici
con la partecipazione di elementi de La Cetra Barockorchester
Direttore Andrea Marcon
Regia Leo Muscato
Scene Federica Parolini
Costumi Silvia Aymonino
Luci Alessandro Verazzi
Nuova produzione Teatro alla Scala
Milano, 4 aprile 2023