Hélas! Les Contes d’Hoffmann non decollano al Teatro alla Scala. Anzi sprofondano in una melmosa esecuzione priva di qualsiasi attrattiva e godimento estetico. Dopo la grigiastra direzione d’orchestra di Bohéme a uso della direttrice coreana Eun Sun Kim, sembrava impossibile fare di peggio: invece è accaduto. Accolto da parecchie contestazioni da platea, palchi e loggione, al suo apparire al proscenio a fine rappresentazione, Frédéric Chaslin ha infatti diretto una versione dei Racconti di una pesantezza incredibile, priva di lievità e brillantezza (è pur sempre Offenbach, che diamine!), morchiosa e plumbea in molti passaggi (il catatonico Settimino, ovvero il sestetto con coro), ben poco evocativa in altri (la celeberrima Barcarola). Le esecuzioni doc di maestri francesi, loro pure – ma per motivi anagrafici – ancorati alla pasticciata versione Choudens, quali un Pierre Monteux o un André Cluytens, sembrano al confronto appartenere al mondo della luna. Chaslin riesce persino a silurare la sublime Apothéose finale (una delle sue rare concessioni a pagine fortunatamente riscoperte alcuni lustri fa), privandola di qualunque ampleur e senso catartico.
A tale direzione d’orchestra si somma una regia, di Davide Livermore, confusionaria e caotica. Livermore, anni fa, sapeva firmare allestimenti di nitida drammaturgia (la ripresa della sua bella Tosca genovese di un mese fa lo testimonia); approdato al palcoscenico e alle possibilità economiche scaligere sembra però aver perso il suo genio creativo. Sempre più ipertrofiche le sue regie, sempre più velleitarie nel voler aggiungere e caricare di significati le indicazioni dei libretti. In questo Hoffmann assistiamo a doppi che si intersecano, con un finale in cui Hoffmann “uomo” appare steso nel catafalco per resuscitare e consegnare all’Hoffmann “poeta” i suoi Racconti (se abbiamo inteso bene…), e poi un profluvio di servi di scena in brutte calzamaglie che si agitano come ossessi. Coprire poi la platea con un velario per quasi metà della Barcarola, con conseguenti rumori e strusciamenti dei figuranti che devono agitare il telo, non consentendo al pubblico seduto in sala di vedere alcunché, è una vera sciocchezza.
I cantanti. Eleonora Buratto ha fatto annunciare di essere indisposta. Inevitabili per cui alcune incertezze nella sua romanza “Elle a fui, la tourterelle!”. La sua è comunque una Antonia notevole per bel timbro, colore ed estensione. Chi scrive è assolutamente convinto che i tre ruoli femminili, per motivi squisitamente drammaturgici, andrebbero affidati allo stesso soprano lirico di agilità, come faceva la stupenda Joan Sutherland e, in tempi recenti, come hanno fatto Luciana Serra a Genova e Olga Peretyatko a Monte-Carlo. In ogni caso, il risultato di scegliere tre cantanti diverse ha costretto ad ascoltare una Olympia senza trilli, in difficoltà nelle agilità, e con sopracuti tiratissimi (Federica Guida) e una Giulietta (Francesca Di Sauro) pressoché fioca e stimbrata. Bel risultato.
A consolarci provvede Marina Viotti, una Musa/ Nicklausse fascinosa. La sua Romanza “Vois, sous l’archet frémissant” è stata musicalmente il momento più appagante della serata. Bravo e serio professionista Alfonso Antoniozzi quale Luther e Crespel. Ingiudicabile François Piolini, che parla invece di cantare i suoi Couplets “Jour et nuit je me mets en quatre”. Luca Pisaroni, addossandosi i quattro ruoli demoniaci, fatica alquanto a trovare colori e fraseggi che facciano distinguere l’uno dall’altro e, giunto alla bellissima “Scintille, diamant”, si salva per il rotto della cuffia per palesi difficoltà nel registro acuto.
Vittorio Grigolo rappresenta un caso a sé. Il ruolo di Hoffmann è notoriamente estenuante e periglioso. Grigolo arriva alla fine dell’opera “à bout de souffle” e non può dare il giusto rilievo a una pagina stupenda come l’implorazione nel duetto con Giulietta “Ȏ Dieu! De quelle ivresse”. Altrove sopperisce con un impegno attoriale spasmodico ed encomiabile ad alcune incertezze vocali. Il suo momento migliore, forse non a caso, è il duetto con l’Antonia della Buratto.
La serata si è chiusa con cordiali applausi per i cantanti, contestazioni per il direttore d’orchestra e il regista.
Teatro alla Scala – Stagione 2022/23
LES CONTES D’HOFFMANN
Opera fantastica in un prologo, tre atti e un epilogo
Libretto di Jules Barbier
Musica di Jacques Offenbach
Olympia Federica Guida
Giulietta Francesca Di Sauro
Antonia Eleonora Buratto
Stella Greta Doveri*
Hoffmann Vittorio Grigolo
Lindorf/Coppélius/Le docteur Miracle/
Le capitaine Dapertutto Luca Pisaroni
La Muse/Nicklausse Marina Viotti
Hermann/Schlemil Hugo Laporte
Andrés/Cochenille/Frantz
/Pitichinacchio François Piolino
Luther / Crespel Alfonso Antoniozzi
Spalanzani Yann Beuron
Nathanael Néstor Galván
Un voix Alberto Rota
*Solista Accademia Teatro alla Scala
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Frédéric Chaslin
Maestro del coro Alberto Malazzi
Regia Davide Livermore
Scene Giò Forma
Ombre Controluce Teatro d’Ombre
Costumi Gianluca Falaschi
Luci Antonio Castro
Nuova produzione Teatro alla Scala
Milano, 15 marzo 2023