Una sedia in proscenio, a sinistra. Un uomo perso nei suoi pensieri, Siegfried. Il buio avvolge ogni cosa ma non offusca del tutto il volo in cielo della fanciulla in tutù bianco ghermita da un mantello nero. E nemmeno il sopraggiungere del personaggio misterioso e affascinante che si pone accanto al principe: un alter ego, un id? Un precettore che lo segue severo, passo passo, fino a consegnargli l’arco per quella caccia dove l’illusione gli farà incontrare l’amore sognato, Odette, il cigno bianco. In questo balletto apparentemente gioioso per la candide file di cigni, lo stupore dei quattro cignetti, la meraviglia dei solisti, la geometria perfetta della composizione, il bel precettore si trasformerà poi nel perfido Rothbart che, ammantato dal grande manto scuro, ruberà per sempre il sogno: la vita è sogno ma il risveglio è morte. Anche quando la luce colorerà le tante danze, molte riprese dal folklore russo ben noto al mitico bashkiro per averlo frequentato a lungo da ragazzo nel teatro di Ufa, Siegfrid resterà chiuso in se stesso come nell’incipit del titolo. La sua dimensione appunto l’assenza, il sogno (atti II e IV ) e senza sogno morrà.
La complessa ricostruzione di questo Lago dei cigni che torna al Teatro alla Scala fino al 27 settembre nella versione Nureyev in repertorio dal ‘90 e poi variamente ripresa, spetta oggi al direttore del ballo Manuel Legris con il supporto dei maître che c’erano. Allora proveniva dall’Opéra di Parigi, prendendo il posto delle letture di Field e della Hightower sempre riproposte negli ultimi tempi. Nureyev appassiona per la consueta declinazione in senso psicoanalitico, per la poesia. Soprattutto per quell’inquieto turbamento che l’accompagna sempre proveniente da una vita di negazione, passione, fuga, estraneità trasformata in eccessi. Nostalghia.
Nureyev, innamorato dei classici al punto di voler sempre intervenire a sua volta, qui aggiunge l’assolo premonitore del principe alla fine atto II, il personaggio del precettore Wolfgang da lui stesso spesso interpretato, il drammatico finale che l’URSS voleva felice. Mentre i quattro atti, quelli terreni, I e III, del dominatore dei teatri imperiali Marius Petipa e quelli bianchi, II e IV, dalla moderna sensibilità di Ivanov, vengono accorpati in due. Di particolare significato storico la reintroduzione del personaggio Wolfgang. Il precettore alter ego, che, anche figurativamente (stesso protagonista), scivola nel ruolo del perfido Rothbart, è un doppio quasi specchio della duplice natura della protagonista femminile Odette-Odile, amata la prima, perfido contraltare la seconda.
I ballerini della Scala, che adorano il loro Rudy, affrontano il titolo più famoso con il massimo impegno rendendogli tecnica e credibilità. Conferendo eccellenza alla sezione femminile, specie nelle lunghe teorie degli atti bianchi che pretendono precisione, stile, classe, senso d’assieme. Scene a costumi sono quelli dell’amatissimo e recentemente scomparso Ezio Frigerio e della moglie Franca Squarciapino. Splendidi i tutù e i costumi popolari di Franca, ma di grande suggestione culturale le luci, quelle del Lago di Claude Monet, fatto e rifatto dal pittore a tutte le ore con riflessi e colori che qui sono i protagonisti della scena.
Poi, o prima, c’è Čajkovskij, che aveva già cucita assieme la fiaba per i bambini della sorella e, molto dopo, scritto e riscritto quel capolavoro di sapore francesizzante pur ancorato all’estetica dei Cinque. In partitura c’è l’alto e il basso, e non manca l’allusione a quelle gru che in Russia hanno sottili significati.
Il Lago, legato al “teatro grande” moscovita, appare negli annali della Scala a partire dal 1964. Quando, per la coreografia di Nicholas Beriozoff aveva adattato l’elaborazione librettistica sulla scorta della quale, oltre alla partitura originale di Čajkovskij, egli aveva montato allo Stanislavskij di Mosca (24 aprile 1953) una versione coreografica presto adottata all’Opera di Parigi. Ma, dopo Beriozoff si contano Wallmann, Field, Hightower, Zeffirelli. Tuttavia il Lago più amato resta quello di Nureyev, oltretutto meritevole di valorizzare la danza maschile riscattando i ballerini dal ruolo di porteur. Indimenticabile il ricordo della stagione 2010-11 quando la musica venne affidata alla bacchetta di Daniel Barenboim. Oggi sul podio troviamo il belga Koen Kessels, che agisce con bella dignità, sebbene in buca ci siano i professori più acerbi dell’Accademia, comunque ottimi. Un po’ fuori parte il violino che accompagna il pas de deux dell’atto II, ruolo spesso ascoltato da artisti di grande spessore.
Nell’alternarsi delle recite si avvicendano varie coppie protagoniste. La nostra è Nicoletta Manni, assolutamente splendida, e il suo neo marito Timofej Andrijashenko, un plastico principe all’altezza del complesso ruolo. Ottima la teatralità del Wolfgang/Rothbart Marco Agostino. Meravigliosi per tecnica, classe, poesia e perfezione tutti i cigni, grandi e piccoli. Molto attesa la coppia Smirnova/Tissi.
Teatro esaurito e ovazioni. Ma pare inutile ripeterlo.
Milano, Teatro alla Scala, 15 settembre 2023
Foto copertina: Brescia e Amisano