Successo con contestazioni per la prima de I vespri siciliani di Giuseppe Verdi, titolo che torna al Teatro alla Scala dopo oltre trent’anni dall’ultimo allestimento, quello firmato da Muti e Pizzi. Questa volta, sul podio c’è Fabio Luisi, mentre regia, scene e costumi sono di Hugo De Ana. Proprio il regista e il suo team si guadagnano i sonori “buu” del pubblico a fine recita. E a ragione. Lo spettacolo non è né bello né brutto: semplicemente, non c’è regia. Ci sono scelte estetiche chiare, ma l’impressione è che si ricada nel solito malinteso di confondere scene e costumi con un disegno registico. De Ana spiega di voler ambientare la vicenda all’epoca dello sbarco alleato in Sicilia, e ci può stare. Ma si ferma qui: non fa altro che cambiare la cornice senza costruire una autentica drammaturgia per uno spettacolo che, per il resto, risulta sostanzialmente statico e frammentario. I colori sono tutti giocati sul nero e sul grigio, con luci fredde (le cura Vinicio Cheli), una scenografia caratterizzata da alte strutture metalliche, abbondante uso di fumo, qualche sparo qua e là, carri armati, riferimenti alla religione declinati scenograficamente secondo il gusto meridionale e poco più.
Ci sono poi alcuni topoi del regista argentino (le torture, ad esempio, forse ancestrale retaggio legato alla storia recente del suo Paese), nonché scelte francamente poco chiare: su tutte, la presenza in scena del cavaliere e della morte che giocano a scacchi, facile citazione de Il settimo sigillo di Bergman, la cui connessione con l’opera di Verdi risulta alquanto fumosa. Non c’è alcun lavoro sui protagonisti, che agiscono prevalentemente al limitare del palco, con una gestualità convenzionale. C’è indubbiamente mestiere nel muovere il coro e nelle scene di insieme, ma anche qui il rischio di essere convenzionali è dietro l’angolo. Le sobrie coreografie di Leda Lojodice si inseriscono coerentemente in tale contesto. Peraltro – e qui siamo a un altro punto debole dello spettacolo -, manca il balletto delle “Quattro stagioni”, così come risulta inspiegabilmente tagliato il coro a inizio quinto atto, con la scena che si apre direttamente col bolero di Elena.
A monte di tutto, c’è però una sorta di “tara originaria”: la scelta, francamente antistorica, di eseguire l’opera in italiano e non nell’originale francese. Già Franco Abbiati, recensendo per il Corriere l’edizione scaligera del 1951 – quella diretta da De Sabata con Maria Callas – si chiedeva se non fosse il caso di mettere in scena Les Vepres e non I vespri. Anche perché Verdi scrisse la musica per il libretto francese e quella che si ascolta in italiano è una traduzione manchevole e a tratti goffa. Bene fa il corposo programma di sala a dedicare uno spazio “alla figura negletta di Eugenio Caimi, traduttore italiano dei Vespri verdiani“, ma nel 2023 crediamo sia non solo opportuno ma doveroso eseguire l’originale francese.
Ciò detto, dal punto di vista musicale la produzione è di indubbia qualità. Merito anzitutto della direzione vibrante di Fabio Luisi che abbandona certi indugi che ne caratterizzano l’incedere nel repertorio belcantista per scegliere la strada di una fremente teatralità. Vespri sono un lavoro nel quale – più che in altre opere verdiane – le passioni individuali (l’amore tra Elena e Arrigo ma soprattutto l’affetto paterno di Monforte) conflagrano sullo sfondo di una accesa passione civile. Un’opera compiutamente risorgimentale, insomma, e tutto questo emerge nella scelta dei tempi, nelle vigorose sonorità, nel gusto peculiare che il maestro genovese esprime per l’accompagnamento del canto, in particolare nei grandi soliloqui dei protagonisti maschili. L’orchestra risponde con prontezza alle intenzioni direttoriali ed esibisce un suono ovunque compatto, tornito, lucido. Il coro – istruito da Alberto Malazzi – è intonato e ben amalgamato nell’impasto vocale, ma non sempre in perfetto coordinamento con la buca.
Piero Pretti è un Arrigo di smagliante vigore vocale: la gioventù e la passione che ne animano gli slanci trovano perfetta corrispondenza in un fraseggio teso e arroventato, di indubbia efficacia espressiva. La voce è omogenea, ben proiettata, con acuti luminosi e perentori, ma anche con bei ripiegamenti intimistici e una pregevole attenzione alle sfumature. Marina Rebeka è un’eccellente vocalista: il timbro ricco e pastoso e la sensibilità musicale costruiscono un personaggio credibile, al quale manca forse quell’eloquenza d’accento che renderebbe davvero completa la sua Elena. Peraltro – lo diciamo per dovere di cronaca – un paio di scalmanati loggionisti l’hanno buata, mentre l’intero pubblico ne applaudiva l’esecuzione, con anche richieste di bis.
Luca Micheletti si conferma verdiano di razza, affrontando il complesso personaggio di Monforte con quello scavo interpretativo che gli consente di restituire in modo incisivo sia l’alterigia dell’oppressore che il tormento del padre. Una lettura che fa leva da un lato sulla straordinaria presenza scenica del baritono (che, lo ricordiamo, è anche regista e attore) e dall’altro sul colore di una voce scura e ampia, utilizzata con estrema sensibilità. Ottimo anche il Procida di Simon Lim, la cui sonora e morbida cavata vocale ben si attaglia al cospiratore, e ottime pure tutte le parti di fianco (che sono molto importanti in quest’opera): Andrea Pellegrini (il sire di Bethune), Adriano Gramigni (il conte Vaudemont), Giorgio Misseri (Danieli), Brayan Avila Martinez (Tebaldo), Christian Federici (Roberto), Andrea Tanzillo (Manfredo), Valentina Pluzhnikova (Ninetta).
Teatro alla Scala – Stagione 2022/23
I VESPRI SICILIANI
Dramma in cinque atti
Libretto di Eugène Scribe e Charles Duveyrier
Musica di Giuseppe Verdi
Guido di Monforte Luca Micheletti
Il signore di Bethune Andrea Pellegrini
Il conte Vaudemont Adriano Gramigni
Arrigo Piero Pretti
Giovanni da Procida Simon Lim
La duchessa Elena Marina Rebeka
Ninetta Valentina Pluzhnikova
Danieli Giorgio Misseri
Tebaldo Bryan Avila Martinez
Roberto Christian Federici
Manfredo Andrea Tanzillo
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Fabio Luisi
Maestro del coro Alberto Malazzi
Regia, scene e costumi Hugo de Ana
Luci Vinicio Cheli
Coreografia Leda Lojodice
Nuova produzione Teatro alla Scala
Milano, 28 gennaio 2023