Tutti ricordano Nicola Porpora come maestro di canto, nello specifico colui che educò al canto Carlo Broschi, detto Farinelli, il più noto evirato cantore della storia. Ma Porpora fu anche un prolifico compositore d’opera, un belcantista di scuola napoletana che rivaleggiò con Händel a Londra e, dopo questo periodo felice, tornò a Venezia nel 1737, una delle città italiane che, insieme alla natia Napoli e a Roma, accolsero la sua intensa attività di compositore di opere serie, ammirate anche a Dresda e Vienna. L’anno successivo al ritorno dal fruttuoso soggiorno londinese, compose per il Teatro delle Dame di Roma Carlo il Calvo, dramma per musica tratto da un libretto che riprendeva l’identico soggetto già trattato da Francesco Silvani per l’opera L’innocenza giustificata musicata per Venezia da Benedetto Vinaccesi nel 1699. Oggi quest’opera, già incisa ed eseguita al Festival Barocco di Bayreuth nel 2020, approda in forma di concerto alla Scala e il pubblico va in delirio.
Ovviamente se l’esito di questa serata è stato trionfale il merito va attribuito a un cast di vocalisti di eccezionale bravura, alcuni di loro – ci sia concesso affermarlo senza timor di smentita – inquadrabili fra i fautori della ormai storica rinascita del belcanto barocco affidato a voci di controtenori che, come quella di Franco Fagioli e Max Emanuel Cencic, hanno ridisegnato la geografia esecutiva di questo repertorio, smentendo categoricamente chi per anni ha ritenuto (e molti si ostinano a farlo) che al canto in falsetto non fossero possibili, né giustificabili, le prodezze che il pubblico scaligero ha ammirato e applaudito l’altra sera con entusiasmo irrefrenabile. Al di là delle caratteristiche e delle differenze che caratterizzano la vocalità di questi due giganti del belcanto, ciò che colpisce in loro è la capacità di aver abbattuto ogni preconcetto che il pubblico aveva nei confronti delle voci dei falsettisti; hanno lavorato sulla tecnica nella ricerca di quel mélange fra emissioni di petto e di testa che contraddistingue le loro vocalità, per di più relegando definitivamente al passato il ricordo di vocalità esangui e prive di polpa vocale.
Carlo il Calvo, in fondo, è uno dei tanti frutti di quel teatro musicale settecentesco nato solo per stupire, affidandosi a un canto che, nella sua stilizzazione estrema, non chiede altro che affascinare. Ci si fa coinvolgere, attraverso melismi, acrobatismi e melodie infinite, dalle oltre tre ore di ascolto di arie tripartite (qui tutte eseguite con da capo variatissimi) intervallate da recitativi secchi; si rimane colpiti dalla bellezza del suono e da un virtuosismo che si dispiega nella doppia veste che lo caratterizza: acrobatica e patetica. Così è avvenuto alla Scala, dove il complicato intreccio di contrasti dinastici e relazioni amorose a lieto fine, basato molto liberamente su un fragile substrato storico, non fa altro che declinare, aria dopo aria, le poetica degli affetti che era elemento fondante di questo tipo di opera, dove la trama a intrigo diviene occasione di metafore verbali continue atte a mettere in relazione i sentimenti dei personaggi con le note che ne esprimono l’intimo sentire emotivo. La parola si perde, anzi diviene strumento di un astratto gioco immaginifico che inebria l’udito se il canto sa ben farlo.
Ieri sera, alla Scala, abbiamo appunto visto sul palco una schiera di barocchisti capaci di usare la voce come giocolieri della meraviglia, attenti a trasformare ogni nota emessa in emozione edonistica senza pari. Non c’era l’allestimento scenico, ma quasi sembrava che la cosa non importasse, tanto il pubblico era rapito all’ascolto dei preziosismi vocali messi in essere dalla compagnia di canto che ha dato vita a questa strabiliante esecuzione
Partiamo dai due già citati fuoriclasse. Franco Fagioli (Adalgiso), fra i controtenori, è il più acrobatico virtuoso che si sia mai sentito. È sulla cresta dell’onda da anni e la voce continua a gareggiare con la stessa inimitabile bravura nel canto fiorito che lo ha contraddistinto fin dagli inizi di carriera. Fagioli inspira, il petto si gonfia di fiato e quello che segue è pura magia: fiati interminabili, perigliosi salti di registro dall’acuto al grave realizzati con mirabolante perizia e inanellati uno di seguito all’altro, trilli prodigiosamente lunghi, agilità sgranate con timbratura sorprendente, messe di voce e via di seguito. Il vocabolario vocale ed espressivo di questo straordinario vocalista ha modo di mettersi in luce soprattutto nelle due arie di tempesta “Saggio nocchier che vede” (preceduta dal bel recitativo accompagnato “O Cieli! O Cieli!”) e “Spesso di nubi cinto”, ma anche nelle delicate messe di voce dell’aria “Taci, oh Dio!”, dove l’incanto patetico non è meno avvolgente che quello puramente acrobatico.
Una prestazione, la sua, che fa a gara con quella certo non meno significativa di Max Emanuel Cencic (Lottario), in forma splendente, che si impone per il magnifico timbro scuro e contraltile, che negli anni non ha perso nulla, nei centri, della sua bella e morbida timbratura. Anche lui sa dire la sua nel canto di agilità e lo dimostra in diverse arie, fra le quali “Se tu la reggi al volo”, interpolata dall’Ezio di Porpora, ma è soprattutto nell’aria lenta “Quando s’oscura il Cielo” che il noto controtenore croato colora la melodia d’un calore denso e intenso, riprendendo il da capo dell’aria con morbidezza che davvero accarezza l’udito per setosa malia. Un momento indimenticabile.
Il bello è che le voci di questi due giganti del falsetto non fanno fatica alcuna a riempire la sala del Piermarini, perché sono timbrate e proiettate con estrema perizia tecnica. Lo stesso dicasi per un’altra vera sorpresa di questa serata, il controtenore onduregno Dennis Orellana (Berardo), anche lui agile e tecnicamente solidissimo, con una voce di proiezione sonora invidiabile per un falsettista così giovane, da tenere ben a mente in vista di sviluppi futuri di una carriera che si annuncia già fin d’ora promettente. Rimanendo nel settore maschile del cast, il tenore Stefan Sbonnik (Asprando) si fa valere nel canto d’agilità delle sue arie, come quella del terzo atto (“Piena di sdegno in fronte”) preceduta dal recitativo accompagnato “Misero, e dove sono”.
Veniamo alle signore, lodando senza riserva alcuna la prova del soprano Suzanne Jerosme (Giuditta), disinvolta nelle fioriture e stilisticamente irreprensibile, e l’elegante colore mezzosopranile della brava Ambroisine Bré (Edvige) in bell’evidenza nell’aria “Il provvido cultore”.
Teniamo per ultima l’altra diva della serata, il soprano Julia Lezhneva (Gildippe), che subito conquista la sala a suon di trilli nell’aria “Sento che in sen turbato”, poi poco dopo, nella delicata aria di andamento pastorale “Se all’amico nido”, completa l’opera di presentarsi come cantante che forse non sempre riesce a rendere del tutto morbida l’emissione in acuto, ma sa giocar di cesello nello stile grazioso, con un canto non privo di musicalissima fantasia, per di più intinta, qua e là, di gustosi sprazzi d’ironia che intervallano la sua prova fra trilli, frasi legate e rapinose agilità. Per di più va annotato che la voce non è quella di un sopranino leggero, come forse appariva agli inizi di carriera, perché si espande in sala con luminose screziature timbriche liriche. È lei che, sul finire del terzo atto, si unisce alla voce di Fagioli dando vita al duetto d’amore “Dimmi, che m’ami, o cara”, pagina davvero splendida, una vera comunione amorosa fra Adalgiso e Gildippe declinata a suon di interminabili sospiri e cadenze che avvolgono la pagina di un lirismo amoroso incantato, in cui il canto diviene quasi espressione del respiro d’amore. Ed è ancora lei che interpola a fine opera, prima del coro conclusivo di tutti gli interpreti, l’acrobaticissima aria “Come nave in mezzo all’onde” dal Siface, pagina ideata da Porpora per il castrato Gaetano Majorano detto Caffarelli (qui eseguita in sostituzione della omessa aria di Adalgiso “Con placido contento”), nella quale si disimpegna più che bene.
Alla riuscita della serata contribuisce il controllo assoluto che George Petrou, alla guida del complesso con strumenti storicamente informati Armonia Atenea, ha della parte musicale, accompagnando i cantanti con attenzione anche quando gli strumenti gareggiano con le voci e richiedono il protagonismo che a loro compete. Sostiene le melodie con cura seguendone il respiro, non esaspera mai i contrasti ritmici che comunque sono ricchi di quella brillantezza capace di attraversare il suono nelle pagine più brillanti senza che esso prevalga mai sulle voci. Insomma, una direzione perfetta, che non si esaurisce certo nel prestare attenzione al canto, donando piuttosto, anche ai recitativi, una scorrevolezza che rende dinamicissima la narrazione.
Applausi oceanici dopo le arie di maggior effetto, con punte di entusiasmo che hanno coronato una serata scaligera davvero memorabile.
Teatro alla Scala – Concerto Straordinario Stagione 2022/23
CARLO IL CALVO
Dramma per musica in tre atti
Libretto tratto da “L’innocenza giustificata” di Francesco Silvani
Musica di Nicola Porpora
Adalgiso Franco Fagioli
Gildippe Julia Lezhneva
Lottario Max Emanuel Cencic
Giuditta Suzanne Jerosme
Edvice Ambroisine Bré
Berardo Dennis Orellana
Asprando Stefan Sbonnik
Direttore George Petrou
Armonia Atenea
Esecuzione in forma di concerto
Milano, 14 giugno 2023