Tacchi a spillo. Come le mitiche scarpette che Maria Callas lanciò per aria con gesto imperioso, nel bel mezzo del Finale I della Traviata di Verdi («Sempre libera degg’io»): era il 28 dicembre del 1955 e Luchino Visconti firmava una delle sue regie più discusse e iconoclaste. Abbiamo ritrovato i tacchi a spillo anche nella locandina di una singolare produzione di VoceAllOpera, fortemente voluta da Gianmaria Aliverta a SpazioTeatro89: una fucsia e l’altra turchese, visto che sono ben due i titoli in programma, La Voix humaine di Francis Poulenc e La traviata di Giuseppe Verdi, proposte in un dittico semplicemente illuminante. Ma forse è meglio andare con ordine.
E cominciare, per esempio, dal nobile scopo della produzione, riassunto in un hashtag, #adottaunartista. Lo spettacolo è il frutto del lavoro dei vincitori del Concorso lirico internazionale “Giancarlo Aliverta”, che non si preoccupa solo di valorizzare cantanti, ma anche registi, scenografi, costumisti. Tutti partecipano alla messa in scena su base rigorosamente volontaria, allo scopo di debuttare un ruolo, confrontarsi con il pubblico, farsi conoscere. E tutto questo non in un teatro blasonato, ma in una sala di periferia: dove è più urgente far conoscere l’opera, non solo nei suoi titoli più celebri – come è appunto il caso del capolavoro verdiano – ma anche tra le gemme di un Novecento storico capace di parlare allo spettatore di oggi. L’impresa è ardua, non solo perché gli interpreti sono tutti giovanissimi, ma soprattutto perché le opere vengono proposte in adattamenti drammaturgici e, prima ancora, musicali, affidati alla minuscola compagine dell’Orchestra VoceAllOpera: un ensemble di straordinaria duttilità, formato da appena una decina di elementi, chiamati a restituire suoni e colori della tavolozza orchestrale. È, insomma, uno dei rari casi in cui il teatro d’arte si coniuga a finalità sociali, rara avis nel panorama italiano, sempre più annebbiato dalla ricerca del ‘tutto esaurito’ a tutti costi.
L’operazione funziona in maniera egregia con La Voix humaine, riassunta in una quarantina di minuti. Ne è principale artefice Sirio Scacchetti, dinamica bacchetta che, se da una parte ripristina intatto il rigore geometrico, fin quasi metafisico della partitura di Poulenc, le sue spigolosità e il colore metallico, demandato al pianoforte; dall’altro finisce per ricordarci come La Voix humaine scaturisca dai Dialogues des Carmélites, e non soltanto come omaggio a una diva impareggiabile come Denise Duval. Nella dimensione raccolta di un camerismo intimo, a fior di pelle, rinnova infatti tutta la fragilità del capolavoro. Segue a meraviglia le prescrizioni dell’autore quando sgrana douloureux mais très simple quello che in realtà è un valzer in tempo composto, «Hier soir, j’ai voulu prendre un comprimé pour dormir», livido racconto di un tentato suicidio ancora intriso del rimpianto di strascinati passi di danza in una guinguette di periferia: c’è malinconia e abbandono, dolore acuminato, amletica ricerca di un sonno senza fine, in cerca di un umanesimo triste, disincantato, semplice, per l’appunto. E in mezzo ai trilli irriverenti del telefono, agli «Allô!» rabbiosi, poi sempre più distanti, fa emergere la limpidezza di una linea di canto sinuosa, in cui s’impone il gusto del cesello della frase (si prenda il bien chanté di «Pour les gens, on s’aime ou on se déteste»), tale da rendere giustizia alla dimensione confidenziale, ai limiti del voyeurismo, della drammaturgia di Poulenc.
Una persuasiva prova direttoriale su cui si fonda il successo della prova di Luisa Bertoli, di cui non sai se ammirare maggiormente la disinvoltura scenica, la rotondità dello strumento, perfettamente calibrato sulla parte; o una consentaneità con la prosodia che le permette di penetrare tra le pieghe della partitura, tra le piaghe del personaggio. Si dirà più avanti dell’intero progetto registico, ma si rimane ammirati dalla capacità di intrufolarsi tra il pubblico, attaccata a un cellulare che ne diventa quasi una terribile protesi, donna in carriera che poi si accartoccia seguendo il filo di una conversazione impossibile, di una solitudine fin troppo rumorosa. Raramente è risultato tanto forte, intenso ed erotico il rapporto con uno strumento di comunicazione destinato ad allontanare più che ad avvicinare: il rantolo plumbeo degli ultimi «Je t’aime» riporta alla memoria il tragico crescendo del Finale I dei Dialogues, quando Blanche tenta di trasferire le ultime volontà della Priora («La révérende mère désire… La révérende mère désirait… aurait désiré…»), stroncate dalla morte.
Poi viene il turno de La traviata: che della Voix humaine sembra una sorta di prequel, per raccontare un’altra solitudine, un altro amore senza speranza. Sottoposto a innumerevoli adattamenti, il melodramma verdiano sembra assumere tratti a tutta prima meno convincenti: l’accompagnamento dell’orchestra perde di spessore e, opportunamente, Giacomo Mutigli ne riduce la presenza all’essenziale, quel tanto che basta a ricordare quanto la tragedia incombe sin dal Preludio. In primo piano spiccano prepotentemente le voci: accompagnate con rara perizia, assecondate, guidate, sostenute. Compito apparentemente più semplice, in realtà difficilissimo per chi conosca le mille insidie della scrittura verdiana, soprattutto quelle legate a un titolo così noto, ma ancora una volta tutto da scoprire. Si coglie in maniera flagrante, per esempio, quanto La traviata sia un dramma borghese – forse il primo di tutto l’Ottocento: ridotto a poco più di un triangolo, che ha come vertice il grande Duetto tra Violetta e Germont, autentico scontro tra opposte visioni del mondo, filosofie di vita inconciliabili, vocalità che solo in extremis trovano un punto di convergenza.
Violetta è Francesca Manzo. Voce dall’emissione salda, rigogliosa, dalla cavata morbida, seducente, svettante nella coloratura – e nulla importa se elude un mi bemolle che sarebbe stato eccessivo in questo contesto – domina con incredibile padronanza l’intero arco espressivo della parte. E poiché non rinuncia a costruire una visione personale del ruolo, lo marchia estremizzandone la passione, divorata da una malattia che rende unico, irripetibile e imperdibile ogni istante di un’esistenza ormai giunta al capolinea. Da qui la sprezzatura di «Follie!… follie!…», tempo di mezzo border line che tracima in una cabaletta d’insolito vigore; un «Morrò!… la mia memoria» che è lacerante annuncio di morte; e un «Gran dio!… morir sì giovane» che è un ultimo, perentorio, prepotente grido di rivolta contro la morte, oltre la vita. Le fanno da corona l’impetuoso Alfredo di Haruo Kawakami, che trasferisce nella voce la foga di «bollenti spiriti» sempre governati con grande eleganza; e il Germont che Alfonso Michele Ciulla tratteggia monolitico, in punto vocale prima ancora che scenico, facendo rimpiangere che una vocalità così calda, robusta e vigorosa, ideale per il repertorio verdiano, non si pieghi, talora, a una più accorta ricerca di sfumature.
Vincitore del Concorso lirico internazionale “Giancarlo Aliverta” per La Voix humaine, Alessandro Pasini è stato invitato a concepire uno spettacolo unitario, che accomunasse anche La traviata. E l’idea, forte, fortissima – e assolutamente poco dispendiosa – c’è, al di là della necessaria, indispensabile trasposizione ai giorni nostri, che naturalmente semplifica la creazione di scene e costumi ma che, soprattutto, restituisce intatta la vitalità e l’impatto dei due drammi. Regista accorto, attento a creare una prossemica calibrata sul dettaglio, riunisce le due opere sotto il segno dell’immagine: di foto femminili che scandiscono lo spazio scenico e che imprigionano un quadrilatero, scarna pedana posta al centro della sala. Lo spunto è forse tratto da una frase di Elle («Songe que j’ai déchiré tout le paquet de mes photographies d’un seul coup, sans m’en apercevoir»), un gesto di stizza che assume una valenza ancor più dirompente se immaginiamo che si tratti di una modella ormai sul viale del tramonto, il cui percorso è costellato da – splendide – immagini del passato in bianco e nero. Elle è disperata: forse perché il suo amante non la corrisponde, forse perché non ha più il lavoro che l’ha resa celebre e che la tiene incollata al cellulare, agli auricolari, perfino al cavo per la ricarica – fili pendenti, fragili, quasi invisibili, come quelli che ne sorreggono i ritratti, specchi silenziosi e accusatori. Ed è sciorinando i primi, tagliando gli ultimi che Elle s’industria con un paio di cesoie, lame pericolosissime con cui sciogliere legami, spezzare ricordi; forse ferirsi, quando il «Coupe! Coupe vite!» risuona sinistro nel silenzio del finale.
Anche Violetta è una fotomodella. Una come tante, costretta a vivere, a subire il mondo che la circonda. Alfredo è uno dei fotografi che ne esaltano la bellezza, quando la protegge nel guscio di un abito ottocentesco; mentre lei lo seduce con una birra, in un azzeccatissimo brindisi informale: non è più il tempo delle camelie, semmai di un lisianthus color malva, meno dispendioso e più appariscente. Violetta è protagonista ma anche vittima di questo mondo: il Finale I diventa l’ennesimo ‘servizio’ realizzato con un fotografo cui apre la patta dei pantaloni, quando si spengono i riflettori. Nel Duetto del secondo atto l’azione è serrata, concentrata intorno al quadrato, che diventa metaforico ring al momento del confronto con Germont: uno scontro senza vincitori, in cui a perdere è l’amore, il futuro, la vita. Ed è un’autentica staffilata l’ultimo atto, con la protagonista attaccata all’asta di una flebo, intenta a rovistare tra le foto di un passato a cui non può che porgere l’estremo addio, prima di consegnare l’immagine «de’ passati giorni» a chi, forse, ne serberà traccia nella galleria del cellulare. Prima di cancellarla con un clic, per dimenticare un amore travolto dal dolore.
SpazioTeatro89 – VoceAllOpera
LA VOIX HUMAINE
Atto unico di Jean Cocteau
Musica di Francis Poulenc
Elle Luisa Bertoli*
Orchestra VoceAllOpera
Adattamento musicale e direttore Sirio Scacchetti
Regia, scene, costumi, luci Alessandro Pasini*
LA TRAVIATA
Melodramma in tre atti di Francesco Maria Piave
Musica di Giuseppe Verdi
riduzione drammaturgica e musicale Gianmaria Aliverta
Violetta Valéry Francesca Manzo*
Alfredo Germont Haruo Kawakami
Giorgio Germont Alfonso Michele Ciulla
Orchestra VoceAllOpera
Adattamento musicale e direttore Giacomo Mutigli
Regia, scene, costumi, luci Alessandro Pasini*
*vincitore del Concorso lirico internazionale “Giancarlo Aliverta”
Nuovo allestimento
Milano, 17 settembre 2023