La città ha deciso di prendersi delle belle rivincite nei riguardi della grande Scala. Da un lato la Società del Quartetto inserisce nel vasto programma l’integrale delle sinfonie beethoveniane. Dall’altra la Verdi, da oggi Orchestra Sinfonica di Milano, vara un raro e inedito Festival Mahler che propone tutte le sinfonie e i cicli liederistici di Mahler, coinvolgendo ben 12 orchestre nazionali.
Comincia il Quartetto, la gloriosa società nata assieme al Regno d’Italia: 1861 il primo e 1864 la seconda, la cui missione divulgativa porta le firme di Arrigo Boito e Tito Ricordi. Con sacrosanto orgoglio, il presidente della Società Ilaria Borletti Buitoni annuncia dunque l’inizio della grande avventura un tempo quasi esclusivamente dedita alla musica da camera e oggi attiva a vasto raggio. Otto i sinfonici stagionali, sei Beethoven e due Schubert.
Aureolato da ogni genere di glorie, ecco salire sul podio della Sala Verdi Daniele Gatti, figlio nel Conservatorio Verdi da dove parte anche lui per una irresistibile ascesa. Che a poco a poco lo affianca ai Muti e agli Chailly (Claudio lo aveva ascoltato da studente, stipato in galleria). Come loro ha diretto ovunque, è stato direttore artistico e musicale del mondo. Ultimamente al Concertgebouw di Amsterdam, all’opera di Roma, dal 2024 alla Staatskapelle di Dresda. Punto di riferimento dei complessi più paludati, è molto attivo nei Paesi del nord grazie a un talento sostanzialmente portato al sinfonismo, specie mahleriano e soprattutto wagneriano, tanto da essere di casa a Bayreuth. La città di Wagner, quella con il teatro dal suono particolare che ti avvolge passando prima dal palcoscenico. Il luogo che ha selezionato gli italici ingegni isolando le terna Toscanini-De Sabata-Sinopoli e che nel 2008 ha consegnato a Gatti il Parsifal inaugurale. Ovviamente nelle sue corde anche il repertorio operistico, dal Rossini che lo rilassa e incanta Lissner ad Aix al Don Carlo o al Simone di Verdi. Personalmente ricordiamo con affetto una delle prime importanti esperienze sul campo, il magnifico Lohengrin scaligero del 2007. Il suo curriculum non difetta di tutti i riconoscimenti possibili, a partire dall’ambita appartenenza al “club Wiener”, crediamo unico italiano dopo Muti.
Al Quartetto Gatti arriva con la sua Orchestra Mozart, quella voluta a Bologna da Claudio Abbado, quasi scomparsa alla sua morte, 10 anni fa, tenuta in vita con le piccole iniziative possibili dalla figlia di Claudio Alessandra e ora gloriosamente nelle solide mani del Nostro. Il complesso è tornato luminoso, una presenza importante. Gatti lo interiorizza, lo fa suo come fa suo il programma: tre sinfonie beethoveniane, Quarta, Quinta e Sesta. La poetica del direttore è evidente soprattutto nella Quarta, un sinfonia commissionata di fretta, un po’ stritolata tra le altre due. Per il lavoro su commissione Beethoven sospende il lavoro su Quinta e Sesta. Il taglio è ancora piuttosto settecentesco tuttavia con lo sguardo rivolto al futuro. Gatti, che vuole quello sguardo, la esalta mostrando quell’impulso agogico di grande e rapida mutevolezza che gli permette di puntare all’obiettivo prefissato accostando e allontanando sezioni con pianissimi soffocati, quasi inudibili, dando impulso all’assenza di moto del lento Adagio introduttivo con l’esplosione dell’Allegro vivace che segue.
La Quinta, inserita al debutto in un memorabile concerto tutto beethoveniano e diretto dallo stesso compositore, suscita l’ammirazione entusiasta sin dal suo apparire. Qui appunto la proiezione in avanti della poetica beethoveniana suscita l’entusiasmo del pubblico incline alla sensibilità romantica. L’incipit, Allegro con brio, è tutto giocato su un’idea di quattro note, “il destino che batte alle porte”, e l’intero lavoro fa della sinfonia la più amata ed eseguita. Chiude la sonorità dei tromboni (mai usati nel contesto dall’autore) che conferiscono un carattere di apoteosi egregiamente resa dalla bacchetta autorevole, vigorosa e velocissima del Nostro. La galoppata nel mondo del ritmo e dei silenzi si placa nella Sesta “Pastorale”. Con la sua abbondanza di note tenute e disegni ripetuti sostenuti dall’assoluta compenetrazione nella partitura sempre letta con tempi “veloci” velocissimi e “piani” pianissimi. Gatti dirige a memoria perché sa e perché quell’interpretazione è unica e sua. Avvincente, contagioso, ammirevole: solidità e severità di lettura consegnano bellezza e certezze conferendo al nostro Daniele l’ennesimo e commosso trionfo.
Conservatorio esaurito, pubblico ammaliato, esplosione finale con mille chiamate. Al comandante e alla sua armata di nome Mozart.