Madrid, Teatro Real – Halka (con Piotr Beczala)

Dopo l’importante ripresa di Halka di Stanisław Moniuszko al Teatro An der Wien di Vienna, nel 2019, al Teatro Real di Madrid hanno pensato (bene) di mantenere gli elementi più riusciti di quella produzione proposta in un allestimento strampalato e, più saggiamente, di darla in forma di concerto per due recite. Miracolo. Anche se tutte le opere dovrebbero essere date in forma scenica, certi spettacoli diventano fuorvianti, non solo per quanto riguarda la musica ma anche per la stessa trama. Un soggetto che più banale e trito non si dà, a Vienna veniva complicato inutilmente.

Qui forse si nota con più chiarezza che il libretto di Wlodzimierz Wolski è il punto debole dell’opera che tanta importanza ha per la cultura polacca, ma la musica è capace di sovrapporsi ai momenti meno drammatici o più “infantili”, già dall’importante sinfonia iniziale. Halka piace, interessa, in molti momenti è ammirevole e si segue bene nonostante la barriera della lingua, che suona bellissima (quando si leggono i sopratitoli, quasi si vorrebbe che non ci fossero).

Le mie impressioni sull’edizione viennese hanno trovato conferma su tutto, musica e interpretazione. Si tratta della seconda versione in quattro atti e non della prima assoluta del 1848 (in concerto) e del 1854 (in forma scenica) a Vilnius in due. Certo l’autore non ebbe un lavoro facile, ma a quest’opera ci credeva davvero e ci lavorò sodo e a lungo. È vero che anche così i personaggi non riescono ad avere una loro dimensione e profondità (perfino il triangolo centrale, che è praticamente il solo importante, non risulta troppo sviluppato), ma la musica suscita meraviglia dall’inizio alla fine, e l’opera non è poi così lunga: qui si dava in due parti di un’ora e dieci ciascuna.

La presenza sul podio di un maestro specializzato in questo repertorio quale Łukasz  Borowicz ha assicurato una lettura capace di restituire perfettamente tutte le sfumature della partitura e la sua bacchetta, sempre vigile, non era per niente invadente (sembra sempre più difficile far coincidere queste due qualità). L’orchestra e il coro magnificamente preparato da José Luis Basso, reduce dall’avventura napoletana, suonavano adeguatamente “idiomatici” e si esibivano in grande forma e con entusiasmo in un titolo assolutamente estraneo alla loro tradizione musicale e linguistica. Borowicz è parso soddisfatto e, alla fine, ha alzato la partitura di Moniuszko per ringraziare degli applausi.

L’opera ha le sue difficoltà vocali. Da sempre Piotr Beczala canta in concerto la seconda delle arie di Jontek, l’amante non corrisposto dalla protagonista che l’accompagna nonostante tutto fedelmente fino alla fine. È chiara l’intenzione del tenore polacco di voler diffondere la musica del suo Paese di origine, e lo fa alla grande. Due belle arie, recitativi, duetti e un concertato dove spicca sempre il suo bel timbro, oggi con più forza nei centri e nei gravi ma con acuti sempre luminosi. È stato lui il più applaudito non solo alla fine ma durante la recita, in particolare dopo la menzionata seconda aria, più lunga e più difficile della prima. Corinne Winters è sembrata ancora più a suo agio di quattro anni fa. Conosce decisamente a fondo la parte di Halka, ed è riuscita così a superare se stessa rispetto a Vienna. La voce non è particolarmente bella o personale, ma canta benissimo e in quest’occasione il registro acuto suonava meno metallico. Chi conosce la lingua mi assicura che ha lavorato molto e bene. In più, cerca di dare al personaggio una consistenza che forse non possiede ma che curiosamente, nella versione scenica, era meno interessante. Tomasz Koniecznyse ha una voce enorme, scura, ma tende ad aprire i gravi esageratamente e, di conseguenza, più di una volta l’intonazione non è irreprensibile. Sembrava meno coinvolto rispetto all’edizione precedente, ma si tratta di un cantante che risulta più convincente quando c’è un allestimento che gli consente di occultare qualche debolezza e l’eccessiva asprezza del timbro (qui più che giustificata).

Quanto agli altri, si può dire che i solisti del coro, impegnati in piccole ma non facili parti, si sono fatti valere. Nel breve ruolo del pifferaio, Javier Povedano è stato corretto; molto bravo Tomasz Kumiega nei panni di Dziemba, una sorta di maggiordomo o segretario di Stolnik, interpretato da un saldo Maxim Kuzmin-Karavaev che solo aveva qualche problema a farsi sentire nel registro grave. Eccellente (peccato che non avesse troppo da cantare) il mezzosoprano Olga Syniakova nella parte della promessa sposa di buona famiglia.
Il pubblico non gremiva la sala (a quanto pare più affollata alla seconda recita), ma ha applaudito con calore ed era palpabile che capiva l’importanza della prima al Real di un’opera di questo calibro. [Rating:4/5]

Madrid, 9 novembre 2023