Alla Royal Opera House di Londra va in scena una nuova produzione di Rusalka, classico del teatro boemo su musica di Antonín Dvořák, ma non proprio tra i titoli più rappresentati, visto che al Covent Garden mancava dal 2012, quando un precedente allestimento firmato da Jossi Wieler e Sergio Morabito aveva riscosso poco successo. L’allestimento, sicuramente meno brutto del precedente, regge grazie alla prestazione di Asmik Grigorian, che si è distinta per la sua personalità di interprete, supportata dall’ottima direzione di Semyon Bychkov. Non troppo ben assortito il resto della compagine di canto, mentre la regia, nonostante uno spunto contemporaneo rilevante e non completamente incompatibile con la storia originaria, non decolla appieno.
Una Rusalka rivisitata in ottica ecologista da Ann Yee e Natalie Abrahami, che mettono al centro della favola lirica la progressiva distruzione della bellezza della natura da parte dell’uomo. Le due registe hanno concepito il processo creativo con un occhio alla sostenibilità ambientale: per la prima volta i programmi di sala distribuiti al pubblico sono fatti di carta riciclata, non con la consueta patina luccicante ma con un aspetto dai toni vintage; per alcuni elementi scenici vengono poi riciclati materiali da altre produzioni, come le fronde verdi di vegetazione del primo atto, fatte con ritagli di tessuti d’archivio. Rimane da vedere se si sia trattato di un episodio isolato anche a scopo pubblicitario o se sarà un trend che proseguirà con altri allestimenti.
Le scene sono firmate da Chloe Lamford. Durante l’ouverture, due figuranti-trapezisti fluttuano nell’oscurità appesi a cavi invisibili ricreando una sorta di visione di Rusalka e del principe che nuotano assieme nelle profondità del lago. Il primo atto è quello esteticamente più appagante nella sua componente naturalistica. Una sorta di cornice di roccia con apertura circolare sospesa segna la linea di demarcazione tra aria e lago sotterraneo ed è decorata da fronde verdi penzolanti stile salice piangente. Nel secondo atto il castello è una struttura brutalista aperta, una sorta di abuso edilizio nel pieno della natura, dove trionfa la volgarità, tra animali gonfiabili dorati, palloncini e altri accessori da festa tamarra. Gli ospiti della festa, coreografati in maniera insensata da Ann Yee, fumano sigarette e in testa sono imbrattati di vernice nera, evidentemente un richiamo alla fuoriuscita di petrolio o altri simili disastri ambientali. Nel terzo atto ritroviamo le stesse scene del primo ma completamente private di vegetazione e con il lago sotterraneo completamente inquinato e infestato dai rifiuti lasciati dalla festa dell’atto precedente. I costumi di Annemarie Woods alternano elementi naturalisti (le tre fate sono ricoperte di muschio e finta vegetazione), richiami fantasy (Rusalka e Vodník, con le loro parrucche, ricordano vagamente i Targaryen di House of Dragon – Rusalka indossa nel primo atto un bel mantello traslucido a pieghe dai toni blu-violacei, mentre nel secondo indosserà un abito da sposa con stretto corsetto color argento) e cafona modernità (come con i costumi sintetici del secondo atto). Le luci di Paule Constable sono molto apprezzabili nel ricreare suggestivi raggi lunari ed enfatizzare i contrasti con l’oscurità del lago sotterraneo.
Se questa ha produzione ha anche qualche idea interessante e un primo atto suggestivo al netto di qualche momento di noia, ha invece il difetto di abbandonare i personaggi a loro stessi, senza un reale sviluppo delle loro caratterizzazioni e interazioni (specialmente quelle amorose, poco credibili), che rimangono grezze soprattutto nel secondo atto, mentre il terzo acquisisce forza ma soprattutto grazie alla direzione musicale e all’interpretazione di Grigorian. Insomma, le registe sono più preoccupate di far passare un messaggio, piuttosto che concepire uno spettacolo a tutto tondo nella sua coerenza. Tuttavia, senza troppe riflessioni da addetti al settore, c’è sicuramente un appeal che farà sopravvivere lo spettacolo a ulteriori riprese, con gli interpreti giusti.
Asmik Grigorian interpreta il ruolo del titolo dopo essersi ripresa da un’indisposizione che l’aveva costretta a cancellare la prova generale. Il suo strumento da lirico non avrà un gran volume ma è molto ben proiettato (i pianissimi arrivano tranquillamente al fondo della sala) e mostra una buona tenuta, sapendosi dosare nel primo atto, per dare il meglio nei momenti più drammatici dove i suoi acuti risultano saldi e denotano tutti un buon metallo. La sua canzone alla luna (“Mesícku na nebi hlubokém”) viene cantata con sincera sensibilità, anche se non con quella dolcezza di fraseggio a cui ci aveva abituato Renée Fleming. Grigorian sa comunque indubbiamente costruire progressivamente un personaggio, raggiungendo il climax di efficacia teatrale con il ritorno al lago nel terzo atto e nel conclusivo duetto d’amore e la successiva auto-immolazione del principe: qui la cantante costruisce un pathos incredibile, che riscatta qualche sporadico momento di noia dei precedenti atti, non certo per colpa sua.
Sarah Connolly è efficacissima a livello di presenza scenica come strega Ježibaba, ridefinita nel programma dalle registe come “spirito saggio ed eterno” (quasi come non si potesse usare il termine strega). Peccato che poi nel compiere la trasformazione in umana di Rusalka le squarcia la schiena, lasciandole un’enorme cicatrice indelebile. Vocalmente non è un ruolo per lei: i continui salti di tessitura la mettono in difficoltà. Il registro acuto appare inaridito rispetto a un tempo, quello grave deboluccio. Per la parte sarebbe servita una voce di ben altro spessore.
Il principe di David Butt Philip ha espressività, potenza e versatilità, anche se lo strumento risulta più a suo agio soprattutto al centro e nei gravi, mentre il suono in acuto, seppur potente, non scorre sempre libero da ingolature. Rafal Siwek è uno Spirito dell’acqua dall’adeguata risonanza e dalla giusta autorità. Emma Bell, in abito da sera e scarpe rosse, porta a casa la parte della Duchessa con una buona presenza vocale, anche se spesso al limite delle proprie capacità. Per il resto, si mettono in mostra alcune giovani leve del teatro. A fuoco e vocalmente luminose le tre fate di Vuvu Mpofu, Gabrielé Kupšyté e Anne Marie Stanley, la prima delle quali si distingue nel suo breve intervento solistico. Buoni anche i contributi di Ross Ramgobin come guardiacaccia e Hongni Wu come sguattero, entrambi corretti e scenicamente comici. Dalla buona risonanza l’intervento del cacciatore di Josef Jeongmeen Ahn.
Dalla buca Semyon Bychkov valorizza la partitura nella sua dimensione lirica, nella sua elegante leggerezza e componente coloristica, plasmando un suono malleabile che, a tratti, sa essere anche sontuoso. Con gesto ampio e musicale, mai frenetico, tiene le redini della formazione orchestrale garantendo un’ottima sintonia con il cast sul palcoscenico. Musicalmente poetici tutti gli interventi solistici dell’arpa. Suggestivi gli interventi fuori campo del coro diretto da William Spaulding.
Al termine applausi calorosi per tutti gli interpreti, con un picco di entusiasmo per Asmik Grigorian.
Royal Opera House – Stagione d’opera e balletto 2022/23
RUSALKA
Fiaba lirica in tre atti
Libretto di Jaroslav Kvapil
Musica di Antonín Dvořák
Rusalka Asmik Grigorian
Princ David Butt Philip
Vodník Rafal Siwek
Ježibaba Sarah Connolly
Cizí Kněžna Emma Bell
1. Lesní žínka Vuvu Mpofu
2. Lesní žínka Gabrielé Kupšyté
3. Lesní žínka Anne Marie Stanley
Kuchtík Hongni Wu
Hajný Ross Ramgobin
Lovec Josef Jeongmeen Ahn
Orchestra e coro della ROH
Direttore Semyon Bychkov
Maestro del coro William Spaulding
Regia Ann Yee e Natalie Abrahami
Scene Chloe Lamford
Costumi Annemarie Woods
Luci Paule Constable
Coreografie Ann Yee
Londra, 24 febbraio 2023