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Londra, Royal Opera House – Rigoletto

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Dopo averlo lanciato in gran pompa con due cicli di recite e due cast differenti ma ugualmente di rilievo nella stagione 2021/22, la Royal Opera House di Londra riprende l’allestimento di Rigoletto concepito dal sovrintendente Oliver Mears, che in quell’occasione si trovava al suo debutto nelle vesti di regista. La ripresa di quest’anno curata da Danielle Urbas è in parte meno riuscita, lo scorrere della vicenda meno oliato, principalmente a causa della direzione discontinua di Julia Jones. Il vero elemento di interesse di questo revival, invece, è la prestazione di Amartuvshin Enkhbat nel ruolo del titolo, davvero di livello. Buono anche il contributo degli artisti italiani presenti nel cast, come vedremo fra poco.

Partiamo proprio dal baritono appena 37enne originario della Mongolia, che nel Regno Unito aveva colpito tutti nel 2015 al Cardiff Singer of the World Competition, aggiudicandosi il premio del pubblico, pur non riuscendo a strappare il primo premio. Amartuvshin Enkhbat delinea un Rigoletto veramente di spessore. Il suono risonante, brunito e rotondo viene emesso in maniera sana, il legato curato, le parole chiave nei punti salienti emergono senza bisogno di effettistica di alcun tipo o senza sfociare nel declamato iper-realista che fa l’occhiolino al verismo. La parola viaggia sul fiato sempre con chiarezza di dizione, a fronte di un fraseggio che non sarà iper-scandagliato al millesimo, ma che comunque sa essere pienamente autentico nelle inflessioni (come quando dice a Gilda “Padre ti sono, e basti” o quando implora l’animo gentile di Marullo: l’amarezza, l’amore paterno iperprotettivo e la verità passano tutte, mentre basta uno sguardo dimesso e pochi gesti a far passare la sofferenza di un padre beffato e ferito). Un Rigoletto nobile insomma, che non perde la dignità nonostante la derisione di cui è vittima e che non ha bisogno di abbandonare il perimetro del buon gusto per comunicare ciò che prova. In fondo quando si ha la voce e la tecnica alle spalle, unite a una buona dose di gusto e la giusta predisposizione in termini di temperamento, non serve poi strafare. “Cortigiani, vil razza dannata” seguita dall’autentica bellezza di “Ebben piango” sono accolti da un tripudio di consensi.

Veniamo al resto della compagnia di canto. Pretty Yende è una Gilda vocalmente leggera, dalla buona dizione, il cui canto ha sicuramente una certa immediatezza nel rendere l’innocente giovinezza del personaggio, la sua vulnerabilità e la palpitante infatuazione per lo studente Gualtier Maldé. “Caro nome” viene ornamentata sulla scia della tradizione dei lirici di coloratura del secolo scorso con staccati aggiunti e le note interpolate nella cadenza, ma senza un particolare nitore cristallino o la facilità della fuoriclasse; corretti i trilli e la puntatura al Mib al termine di “Sì vendetta”. Più che nella dimensione virtuosistica, l’abbiamo preferita quando ha intonato i temi di “Tutte le feste al tempio” e “Lassù.. in cielo” dove ha regalato al pubblico un bellissimo filato lungo che ha sugellato in bellezza il sacrificio di Gilda. Rinnoviamo invece le nostre osservazioni su un’intonazione non sempre ben controllata e troppo spesso imprevedibilmente ribelle.
Stefan Pop come Duca di Mantova convince a fasi alterne. Dal punto di vista della caratterizzazione è adeguatamente baldanzoso, spavaldo come predatore, giocando sulle caratteristiche del suo timbro e sulla potenza vocale, a fronte di uno strumento che però in acuto ha perso un po’ di fibra (il si naturale al termine della cadenza di “La donna è mobile” è apparso un po’ sfibrato dal fondo sala). Visibile e udibile solo a brevissimi tratti invece la componente del fascino amoroso che dovrebbe far innamorare Gilda. Alla subdola ambivalenza tra le due componenti del personaggio, Pop fa invece prevalere lo spietato cinismo. Generalmente buona la dizione italiana, evitabile invece qualche effetto lezioso. Niente puntatura di tradizione al re naturale al termine di “Possente amor mi chiama”. Molto ben riuscito il quartetto del terzo atto.
Solido vocalmente e inquietante al punto giusto lo Sparafucile di Gianluca Buratto. Apprezzamenti calorosi quando sostiene con facilità il fa grave su “Sparafucil” nella sua uscita di scena dopo il confronto con Rigoletto nella seconda scena del primo atto. Efficace anche nel terzo atto, nelle battute che lo vedono protagonista insieme alla sorella Maddalena. Questo ruolo viene interpretato efficacemente da Ramona Zaharia, che fa generosamente leva sulle note di petto e sull’uso degli accenti. Sonoro e scenicamente d’impatto nell’essere desideroso di vendetta e nel lanciare la sua maledizione il Conte di Monterone di Fabrizio Beggi, che si segnala in positivo tra i comprimari. Funzionali gli altri interventi, dove il più incisivo tra quelli che non abbiamo ancora citato risulta il Marullo di Grisha Martirosyan.

La bacchetta di Julia Jones ha diretto in maniera disarticolata, con un’agogica degli estremi che a tratti arrancava creando qualche dilatazione di troppo e a tratti calcava la mano con accelerando forsennati. Gli interpreti sul palcoscenico e la propulsione del dramma hanno sicuramente risentito delle scelte della direzione in termini di tempi, che ha causato scollamenti e mancanza di organica fluidità. Apprezzabili invece i soli dei flauti e oboe oltre certi dettagli coloristici. Tra i tre atti, il terzo è stato quello più riuscito (sia il quartetto che la scena del sacrificio di Gilda erano ottimi), mentre nei primi due atti c’è stata troppa discontinuità. Il coro della ROH, diretto da William Spaulding ha scontato qualche disallineamento con la buca nella scena iniziale del primo atto, mentre i cori “Zitti, zitti” e “Scorrendo uniti” sono stati corretti, anche se ci hanno colpito meno che nelle precedenti rappresentazioni.

Avevamo già avuto modo di parlare della regia in due precedenti articoli a settembre 2021 e febbraio 2022: senza dilungarci troppo rimandiamo al primo per i dettagli dell’impostazione registica (qui il link) incentrata sull’arte come mezzo narrativo e sulla dimensione dark della vicenda. Confermiamo che lo spettacolo, salvo soffrire in questa ripresa per la poca tensione drammatica proveniente dalla buca, ha comunque le carte per durare. Non troppo polveroso o statico, con qualche buona idea, ma senza essere forzatamente controversa per il mero piacere di far parlare di sé. Esteticamente piacevole nel suo essere a cavallo tra tradizione e modernità, come evidenziato dai bei costumi di Ilona Karas e dalle scene di Simon Lima Holdsworth. Le luci di Fabiana Piccioli tendono a quel contrasto tra luce e oscurità dei dipinti di Caravaggio, in onore del quale, durante il Preludio, viene proposta una ricreazione vivente del Martirio di San Matteo con il Duca celato da un teschio munito di corna dorate, preso a insidiare la figlia del Conte di Monterone. Il chiaroscuro iniziale fa però presto spazio all’oscurità, che domina soprattutto nel terzo atto. La scena dell’accecamento di Monterone e la logistica nella disposizione dei quattro personaggi durante “Bella figlia dell’amore” continuano a essere poco credibili. Efficace invece la pioggia in scena nel terzo atto, preceduta da lampi bianchi che si riflettono in sala. Come successo l’anno scorso, si rinnovano i sorrisi per le coreografie del coro in “Scorrendo uniti” con le mosse di Marullo macchietta mattatrice.
Al termine applausi calorosi per tutti gli interpreti e un vero trionfo, giustamente, per Amartuvshin Enkhbat, che davvero si merita una splendente carriera.

Royal Opera House – Stagione d’opera e di balletto 2023/24
RIGOLETTO
Melodramma in tre atti
Libretto di Francesco Maria Piave
Musica di Giuseppe Verdi

Rigoletto Amartuvshin Enkhbat
Duca di Mantova Stefan Pop
Gilda Pretty Yende
Sparafucile Gianluca Buratto
Maddalena Ramona Zaharia
Giovanna Veena Akama-Makia
Conte di Monterone Fabrizio Beggi
Marullo Grisha Martirosyan
Matteo Borsa Michael Gibson
Conte di Ceprano Jamie Woollard
Contessa di Ceprano Amanda Baldwin
Un usciere di corte Nigel Cliffe
Paggio della Duchessa Louise Armit

Coro e Orchestra della Royal Opera House
Direttore Julia Jones
Maestro del coro William Spaulding
Regia Oliver Mears ripresa da Danielle Urbas
Scene Simon Lima Holdsworth
Costumi Ilona Karas
Luci Fabiana Piccioli

Produzione della Royal Opera House
Londra, 18 ottobre 2023

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