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Londra, Royal Opera House – La forza del destino (con Radvanovsky, Jagde, Dupuis)

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Ritorna alla Royal Opera House di Londra per la prima volta dalla sua messa in scena l’allestimento de La forza del destino di Giuseppe Verdi con la regia di Christoph Loy, che aveva debuttato nel 2019 con la coppia di star Netrebko-Kaufmann, creando una frenetica corsa ai biglietti. Per questo primo revival viene proposto un ottimo cast trainato dalla stella internazionale di Sondra Radvanovsky nel ruolo di Donna Leonora, con interpreti maschili di qualità da farle da contrappeso negli altri ruoli principali. Un cast di voci di un certo peso quindi, ma anche di bravi attori, che hanno tenuto alta la tensione drammatica ed emozionale per oltre quattro ore di spettacolo, se si contano due intervalli. I complessi del teatro londinese sono stati diretti in maniera ineccepibile dal veterano della direzione inglese Sir Mark Elder. Insomma, ripresa di successo che non ha fatto rimpiangere più di tanto la precedente rappresentazione del 2019.

La produzione di Loy viene ripresa con qualche lieve modifica sotto la supervisione di Georg Zlabinger. Un allestimento con alcuni punti di forza e altri di debolezza, ma che ha il merito di rendere perlomeno continuativa una trama disarticolata che si estende su un lungo orizzonte temporale. Il libretto rimane leggibile e non ci sono forzature nella trasposizione o volgarità. Di questi tempi è oro che cola. Loy sembra concentrarsi su una lettura psicologica: si interessa ovvero a quel senso di vendetta che pervade Don Carlo, dall’animo fondamentalmente cattivo e sulle vicende dell’infanzia che hanno generato non solo la rabbia e la predisposizione alla guerra di Don Carlo, ma anche le fragilità di Leonora. Entrambi in qualche modo rimangono fondamentalmente traumatizzati dalla loro infanzia e dall’accidentale colpo di pistola che apre il melodramma. Questo trauma viene ripreso poi nel corso dell’opera grazie a delle video proiezioni, una sorta di flashback in bianco e nero, anche se la ripetizione di queste proiezioni alla lunga distrae. Come spesso capita con Loy, il regista si prende qualche licenza. Durante l’overture eseguita a scena aperta, dei bambini di diverse età mettono in scena dapprima la morte di un terzo fratello che muore disteso su Leonora come una sorta di Madonna addolorata; assistiamo poi alle lotte tra Carlo e la devota Leonora che sanno di soprusi da bullo del primo sulla seconda. Insomma, le premesse per il degenerare della futura vicenda sono tutte già leggibili.

La scena fissa di Christian Schmidt che occupa il primo, secondo e quarto atto è una sala della casa dei Calatrava (soggiorno ma anche camera di Leonora) con una grande porta che lascia intravedere una scalinata, mentre sul lato sinistro domina un finestrone da cui irrompe (sia vocalmente che fisicamente) Don Alvaro. Solo con qualche piccolo cambio la sala si trasforma all’occorrenza in osteria e poi in chiesa (la parete con finestra fa spazio a una cappella con crocifisso, la porta del soggiorno diventa porta della chiesa dalla quale entra Leonora). La duttilità della scenografia nel rendere con aderenza l’evoluzione del dramma ci ha colpito in positivo. Per il terzo atto vengono installati dei fondali che ricreano vagamente uno stanziamento di guerra. Suggestive le luci di Olaf Winter e pertinenti i costumi, sempre firmati da Schmidt con poche note di colore ma sgargianti. Una pausa dal dramma all’insegna invece della brillantezza viene fornita dalle scene di ballo (coreografie di Otto Pichler) che vedono protagonisti Preziosilla (più che una zingara, una danzatrice del ventre), danzatori professionisti e parte del coro al termine del secondo atto: un po’ cabaret, un po’ circo, ma che perlomeno funziona allo scopo dell’intrattenimento puro, se si lasciano da parte pretese di realismo. Il cerchio della lunga vicenda in divenire si chiude infine nella stessa stanza-soggiorno che avevamo osservato nel primo atto e durante l’ouverture, un cerchio che si apre e si chiude con la morte.

Dalla buca Mark Elder cura estremamente bene la qualità del suono che risulta sempre ricco di tinte, dinamico, vivido e teso nel rendere l’evoluzione del dramma. C’è spazio però anche per dettagli dalla pregevole musicalità. I soli di clarinetto e arpa, ma non solo, sono meravigliosi e i motivi degli archi sempre stimolanti, i violoncelli vorticosi. I tempi scelti con equilibrio ma senza dar spazio alla noia e la gestione delle dinamiche ha sempre una particolare attenzione a non sovrastare i cantanti. Il coro della Royal Opera House diretto da William Spaulding canta, come spesso accade, in maniera eccellente e recita anche in maniera efficace nei panni di soldati, frati e mendicanti.

Sondra Radvanovsky si conferma interprete generosa che ben sa come creare una tensione drammatica sempre sul filo dell’emozione, con una voce capace di riempire la sala del Covent Garden e farla tremare a ogni puntatura che taglia coro e orchestra, bucando in sala (non a caso è l’artista più in voga al MET). Ma con grande controllo sa anche ridurre la voce a pianissimi sottilissimi, mentre i fiati rinforzano e smorzano suoni anche in acuto (bella la messa di voce con cui attacca “Pace, pace”). Domina senza ombra di dubbio i primi due atti (soprattutto con la resa di “Madre, pietosa vergine” colpisce e per carattere opposto anche quella di “La Vergine degli Angeli”), mentre nel quarto è sembrata un po’ più incerta, forse scontando la lunga pausa del terzo atto. Vocalmente non tutto è perfetto: a tratti, qualche suono è troppo aperto e le note di petto vengono troppo caricate in senso drammatico, mentre la dizione non è sempre chiarissima. Il suono, poi, è certamente meno bello, dolce e rotondo di altri soprani legati a questo ruolo, ma il fuoco della grande voce che fa venire i brividi c’è tutto. Stiamo parlando di una cantante-attrice di rango con un magnetismo che non lascia indifferenti.
Il tenore americano Brian Jagde può fare affidamento su un’ottima impostazione vocale con un’emissione sana, ottima risonanza e squillo eroico, coniugati a una bella chiarezza della parola italiana. Il suo è un ottimo Don Alvaro, dal tormento lacerante. Nel quarto atto, da penitente al convento, fa emergere un canto più vulnerabile. Canta spesso a tutta canna (e che canna!), ma quando varia nelle sfumature e nelle dinamiche è ancora più interessante.
Il baritono franco-canadese Etienne Dupuis (in sostituzione di Igor Golovatenko) è un Don Carlo di Vargas dal bel timbro scuro, dalla qualità lirica, e dall’ampia palette di colori. Canta benissimo e recita in maniera molto credibile. Non è una voce enorme e soprattutto sui gravi sconta qualche debolezza, ma sa certamente come dosarsi per dare il meglio nei momenti di climax e tutte le scene di confronto con il Don Alvaro di Jagde sono esaltanti. Insomma, Dupuis sa come rendere irresistibili i cattivi.
Vasilisa Berzhanskaya come Preziosilla convince nella sua prima aria “Al suon del tamburo”, dove sfoggia degli acuti dalla bella grana. “Rataplan, rataplan” invece non esalta vocalmente anche perché la cantante è impegnata a eseguire le coreografie di gruppo di cui abbiamo parlato precedentemente. In generale, ci è sembrata più a suo agio nella tessitura sopranile, mentre quella mezzosopranile ci è apparsa deboluccia nei centri per un ruolo verdiano, soprattutto quando deve cantare con il coro. Berzhanskaya è comunque musicale, ha senso del ritmo e si muove bene sulla scena. Evgeny Stavinsky è un Padre Guardiano autorevole che rende con la sua voce da basso scura, sonora e di grana spessa il fervore della fede. Rodion Possov come Fra Melitone rende bene la mancanza di compassione verso le masse di mendicanti e la sua caratterizzazione è tra il comico e il grottesco. Funzionali gli altri interventi, d’impatto il breve contributo del marchese di Calatrava interpretato da James Creswell che detta subito il tono del dramma; apprezzabile anche la caratterizzazione del ruolo di Mastro Trabuco da parte di Carlo Bosi.

Al termine, dopo oltre quattro ore di fuoco, successo al calor bianco per tutti gli interpreti e per il Maestro Elder. La Forza è un titolo arduo da mettere in scena, ma quello che si è visto e sentito al Covent Garden è stato più che soddisfacente.

Royal Opera House – Stagione 2023/24
LA FORZA DEL DESTINO
Opera in quattro atti 
Libretto di Francesco Maria Piave e Antonio Ghislanzoni
Musica di Giuseppe Verdi

Il marchese di Calatrava James Creswell
Donna Leonora  Sondra Radvanovsky
Don Carlo di Vargas Etienne Dupuis
Don Alvaro Brian Jagde
Preziosilla Vasilisa Berzhanskaya
Padre Guardiano Evgeny Stavinsky
Fra Melitone Rodion Pogossov
Curra Chanáe Curtis
Mastro Trabuco Carlo Bosi
Un chirurgo Dawid Kimberg

Orchestra e coro della Royal Opera House
Direttore Mark Elder
Maestro del coro William Spaulding
Regia Christof Loy ripresa da Georg Zlabinger
Scene e costumi Christian Schmidt
Luci Olaf Winter
Coreografie Otto Pichler
Drammaturgia Klaus Bertisch
Allestimento della ROH, in co-produzione
con la Dutch National Opera

Londra, 24 settembre 2023

 

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