Un’opera contemporanea sui traumi irreparabili di una sparatoria scolastica compiuta da uno studente vittima di bullismo. 13 personaggi, 9 lingue usate in scena, orchestrazione ampia e complessa, un linguaggio musicale contaminato e non strettamente operistico, cinque brevi atti eseguiti senza intervallo per circa un’ora e 45 minuti di dramma teatrale in musica dove lo spettatore viene messo di fronte alle conseguenze della violenza sulle vite non solo dei sopravvissuti ma anche dei familiari. Si intitola Innocence il nuovo lavoro della compositrice finlandese Kaija Saariaho che dopo aver debuttato con grandi consensi a luglio 2021 al festival di Aix-en-Provence (un debutto posticipato a causa della pandemia), giunge finalmente alla Royal Opera House di Londra nell’allestimento di Simon Stone e con la direzione di Susanna Mälkki.
L’idea originaria del progetto è nata a Londra nel 2013 quando l’allora sovrintendente della ROH Kasper Holten commissiona a Saariaho una nuova opera contemporanea che possa riflettere i tempi in cui viviamo. Il lavoro aveva preso inizialmente il titolo di Fresco (affresco) da una prima ispirazione della compositrice legata all’Ultima Cena di Leonardo, con 13 personaggi di cui si sarebbero esplorati vite e segreti. L’idea si è sviluppata poi attraverso il contributo del drammaturgo di Aleksi Barrière che ha proposto una soluzione contaminata dove convivessero diverse lingue (a seconda della nazionalità degli interpreti), e diversi linguaggi tra cui il canto folk, la recitazione vera e propria, lo Sprechgesang. Il testo in questo lavoro contemporaneo ha infatti una grande rilevanza e questo è stato affidato all’autrice e romanziera finlandese Sofi Oksanen, che ha redatto un libretto d’opera in finlandese, poi tradotto come multilingue. Oksanen e Barrière hanno quindi definito l’evento tragico che avrebbe costituito il perno dell’opera ovvero una sparatoria in una scuola internazionale di Helsinki e le vite che questa finisce per distruggere, vite che si incrociano a dieci anni di distanza. Alla fine nessuno è innocente, tutti hanno delle responsabilità, ma c’è anche un epilogo catartico e uno sforzo collettivo per andare avanti.
La vicenda del libretto è ambientata a Helsinki in Finlandia su due sequenze temporali distinte che si svolgono in parallelo fino a diventare via via sempre più connesse. La prima vede protagonisti sei studenti e la loro insegnante che erano presenti al momento della sparatoria, la seconda si svolge dieci anni più tardi, negli anni 2000, in occasione del matrimonio di Tuomas, fratello (apparentemente innocente) dello sparatore della scuola, e Stela una ragazza rumena. I genitori di Tuomas, Henrik e Patricia sono entusiasti per il figlio ma anche combattuti se svelare alla nuora un terribile segreto. Una cameriera cecoslovacca dal nome Tereza viene chiamata a sostituire un membro del servizio di catering che lavora al ricevimento nuziale. Servendo a tavola Tereza si rende conto che la famiglia in questione è quella dell’uccisore della figlia Markéta, morta nella sparatoria scolastica dieci anni prima. Si scopre poi che il carnefice (fratello di Tuomas) non è stato invitato al matrimonio e che la storia della tragedia non è stata svelata alla sposa. Tereza si confronta sia con la madre e il padre dell’assassino e finisce poi per svelare il segreto anche a Stela e agli altri invitati. Man mano che la vicenda si sviluppa, le due storie si fondono in una unica fino al mettere in discussione l’innocenza di tutti i protagonisti: emergono connivenze oltre a responsabilità di alcuni studenti, Markéta in primis, complici di atti di bullismo tra intimidazioni e umiliazioni. Non si indagano tanto le colpe e le origini della violenza quanto piuttosto le sue conseguenze, il trauma che ne deriva, le bugie e gli inganni usati per far finta di ricominciare.
Il regista Simon Stone decide di collocare le due azioni (quella del matrimonio e quella con i flashback di dieci anni prima) in uno stesso edificio, facendo sì che il dramma si svolga senza soluzione di continuità. Scenicamente questo viene reso attraverso un cubo rotante firmato da Chloe Lamford, con stanze suddivise su due piani con tanto di scale e spazi che nella costante rotazione mutano sembianze e uso, senza bisogno di cambi di scenografia (un plauso ai tecnici che hanno comunque sostituito alcuni elementi scenici dai lati del cubo fuori dalla vista del pubblico senza che nessuno si accorgesse di niente). Alla fine, per sottolineare con le scene il convergere del dramma verso la sua unità e soluzione tutti gli spazi principali diventano quelli della scuola, con schizzi di sangue ai muri. Alcuni momenti sono di forte impatto emotivo, come quando nella rievocazione della strage gli studenti corrono per nascondersi o battono contro i vetri di una scuola diventata prigione o quando una sorta di visione di Markéta insanguinata chiede alla madre di lasciarla andare, di smettere di comprarle regali di compleanno e di andare avanti con la sua vita.
La musica composta da Kaija Saariaho si caratterizza per una tessitura strumentale densa e articolata che fa ampio uso di effetti coloristici, di dissonanze e di percussioni. Un percorso sonoro i cui toni cupi e inquietanti vengono definiti dalle prime battute. La buca relativamente contenuta della ROH deve fare spazio a una compagine strumentale molto ampia. Non è una scrittura che prevarica per massa sonora o che fa l’occhiolino ad accompagnamenti da colonna sonora cinematografica da thriller, ma è sottile e affascinante per inventiva e per stratificazione, tenuto conto anche della difficoltà di sposare la musica ad accenti e fonetica delle diverse lingue utilizzate.
Susanna Mälkki dopo un esordio con qualche incertezza riesce poi a rendere la complessa articolazione della partitura e delle trame orchestrali, sottolineando atmosfere differenti e stati emotivi dei diversi personaggi nella loro individualità. Il coro della ROH canta fuori scena sotto la guida di Genevieve Ellis contribuendo anch’esso alla riuscita del dramma.
Il cast è composto fondamentalmente da due gruppi: il gruppo dei cantanti d’opera (invitati al matrimonio) e un gruppo di attori e cantanti (non d’opera) che ricreano le scene in flashback avvenute dieci anni prima, recitando con l’ausilio di una leggera amplificazione. Nel primo gruppo Christopher Purves nei panni del suocero canta con adeguata presenza vocale e buona attenzione al testo; Sandrine Piau fornisce un contributo di valore rendendo il ritratto di una suocera ansiosa e incline a salvare le apparenze; Jenny Carlstedt dà vita a un’interpretazione sofferta esibendo un buon registro centrale e di petto; Markus Nykänen come sposo canta con ottima dizione delineando l’evoluzione di un personaggio che da agnellino innocente diventa corresponsabile del delitto; Lilian Farahani come sposa sfoggia timbro luminoso e una buona padronanza dei trilli; Timo Riihonen è un prete dal bel timbro scuro.
Nel secondo gruppo un ruolo di rilievo lo ha Vilma Jää (nella vita reale una cantautrice folk finlandese) nel ruolo di Markéta che canta nello stile del folclore ugrofinnico con melismi che ricordano lo yodeling. Per lei gli applausi più calorosi tra tutti gli interpreti. Tutti gli attori hanno recitato in modo molto coinvolgente e chiarezza. Lucy Shelton come insegnante testimone della strage è dilaniata dai sensi di colpa e dalle visioni degli studenti morti, che rende con l’uso efficace dello Sprechgesang.
Il meccanismo scenico e l’interazione tra voci e attori insieme all’accompagnamento orchestrale hanno funzionato bene senza intoppi. Alcuni distinguo sono invece i seguenti: l’uso di nove lingue è singolare e in qualche modo coerente con l’ambientazione in una scuola internazionale, ma costringe lo spettatore a tenere la testa all’insù per leggere i sottotitoli a meno che uno sia poliglotta; dal punto di vista vocale il canto operistico in se è scarno e privo di veri spazi lirici e di vere proprie arie o melodie, il che potrebbe automaticamente respingere un ascoltatore più tradizionale. Anche al netto di queste osservazioni, Innocence ha una potenza per certi versi devastante e viscerale. Un’esperienza differente, non certamente quello a cui siamo già abituati. Non stupisce quindi l’entusiasmo del pubblico che ha accolto il debutto londinese (ebbene sì anche l’opera contemporanea può avere successo). Al termine ovazioni e standing ovation hanno accolto il cast di cantanti e attori, il coro, il team creativo. Sul palcoscenico salgono anche librettista e drammaturgo accompagnando la compositrice Kaija Saariaho, ormai settantenne e che, dalla carrozzina, ha accolto con compostezza una valanga di applausi.
Royal Opera House – Stagione d’opera e balletto 2022/23
INNOCENCE
Opera in cinque atti
Libretto di Sofi Oksanen
Musica di Kaija Saariaho
Drammaturgia e traduzioni a cura di Aleksi Barrière
La cameriera (Tereza ) Jenny Carlstedt
La suocera (Patricia) Sandrine Piau
Il suocero (Henrik) Christopher Purves
La sposa (Stela) Lilian Farahani
Lo sposo (Tuomas) Markus Nykänen
Il prete Timo Riihonen
L’insegnante (Cecilia) Lucy Shelton
Studente 1 (Markéta) Vilma Jää
Studente 2 (Lilly) Beate Mordal
Studente 3 (Iris) Julie Hega
Studente 4 (Anton) Simon Kluth
Studente 5 (Jerónimo) Camilo Delgado Díaz
Studente 6 (Alexia) Marina Dumont
Direttore Susanna Mälkki
Maestro del coro Genevieve Ellis
Regia Simon Stone
Scene Chloe Lamford
Costumi Mel Page
Luci James Farncombe
Coreografie Arco Renz
Nuovo allestimento ROH in co-produzione con
Festival d’Aix-en-Provence, Finnish National Opera,
Dutch National Opera e San Francisco Opera
Londra, 17 aprile 2023