La Royal Opera House di Londra propone un nuovo allestimento de Il trovatore, una co-produzione con l’Opera di Zurigo, dove lo spettacolo aveva debuttato a ottobre del 2021 e che approda ora a Londra con qualche lieve modifica. Un Trovatore tra il fantasy e il grottesco, dove una cruda storia di vendetta sfocia di continuo nel tragi-comico e nella risata fuori luogo, quello concepito da Adele Thomas, una giovane regista che viene dal teatro. Sicuramente una mente molto immaginifica la sua: l’immaginario che l’ha guidata nel concepire l’impianto estetico dell’allestimento è ispirato ai quadri di Bosch, con le sue visioni surreali e infernali. Annemarie Woods firma scene e costumi. La scenografia è principalmente fissa e consiste di una grande scalinata incorniciata, al di sopra del quale campeggia la scritta “mi vendica”, rimando alla vendetta ricercata da Azucena, che troverà l’epilogo nell’esclamazione finale “Sei vendicata, o madre”. Al termine della scala, sul palcoscenico, si aprono delle botole da cui entrano ed escono i soldati e Ferrando. Costumi e trucchi si ispirano al mondo del fantasy medievale, ma perlomeno abbiamo della materia piacevole per gli occhi e non i soliti abiti moderni nei toni del grigio, nero e marrone. Stravagante il costume dorato a sbuffo del Conte di Luna (aggiunta londinese, visto che a Zurigo si era optato per un costume rosa molto improbabile), mentre bellissimo uno dei costumi indossati da Leonora, dai toni turchesi sgargianti. Azucena è invece praticamente vestita di stracci e gli zingari sembrano indossare dei pigiamoni a strisce. I movimenti coreografici di Emma Woods interessano principalmente le masse in scena (soldati, religiose, zingari ecc.), sempre oscillando tra il grottesco e quell’impacciato che causa ilarità. Se all’inizio l’idea può far sorridere, alla lunga tutto questo stufa e il movimento in scena (su e giù per la scalinata) finisce per distrarre dalla musica. Per la cronaca, una spettatrice seduta poco distante da chi scrive ha riso ripetutamente in diversi momenti dello spettacolo: non ci risulta che Il trovatore sia un’opera comica. Questa reazione spontanea se vogliamo, da parte del pubblico, è la prova evidente che il problema principale di questo spettacolo è che si arriva a banalizzare una storia, che di leggero ha poco o nulla e che al contrario è abbastanza brutale. Abbiamo invece apprezzato l’uso intelligente delle luci (Franck Evin) che ha aggiunto poesia e drammaticità ai momenti liricamente più intensi del terzo e quarto atto.
Nel ruolo di Manrico, il tenore italiano Riccardo Massi cantava in sostituzione di Yusif Eyvazov ritiratosi dalla produzione lo scorso gennaio probabilmente per la scelta del teatro londinese di non chiamare Anna Netrebko come Leonora (si tratta di supposizioni, visto che nulla di ufficiale era stato annunciato a riguardo). L’interprete per questo ruolo è rimasto infatti in sospeso per diversi mesi dall’annuncio della stagione, forse (e sottolineiamo forse) nella speranza di un riavvicinamento che consentisse alla Netrebko di tornare a cantare al Covent Garden. Ma veniamo alla prestazione di Massi. Il tenore ha la fisicità giusta per Manrico, ha un timbro gradevole dalle tinte scure e soprattutto canta con gusto e genuinità, senza quell’esagitazione caricata che spesso troviamo nella resa di questo ruolo. Canta cioè senza spingere, con una fonazione corretta, mettendo la sua espressività al servizio sia di “Ah sì, ben mio”, resa con ottimo legato, che dei duetti con Azucena e Leonora, entrambi molto piacevoli all’ascolto. Buona la resa di “Di quella pira”, anche se l’accento verdiano è ancora da perfezionare, mentre forse sarebbe stato meglio evitare il Do non scritto al termine della cabaletta, portato a casa un po’ sbiancato. Dove il tenore dovrebbe lavorare, e lo diciamo come spunto per un costruttivo miglioramento, è sulla dizione, non sempre chiarissima e che invece per un italiano dovrebbe essere un punto di forza. Se acquisisce pieno controllo della parola scenica e dell’accento, Massi ha tutte le potenzialità per diventare un ottimo interprete.
Marina Rebeka è una Leonora splendidamente lirica, sensibile e lunare con una voce che unisce argento e ambra nella sua grana timbrica, oltre al taglio della spada negli acuti in puntatura. Dolcissima quando intona “Tacea la notte placida” e sognante in “D’amor sull’ali rose”. In assenza del peso vocale di un soprano drammatico, Rebeka sottolinea invece la componente belcantistica di cui è intrisa la partitura, che per essere veramente completa avrebbe solo bisogno di un trillo più accurato e di qualche filatura in più. Ottime invece le smorzature e i rinforzi. Rebeka spicca poi negli ensemble, senza sfigurare accanto ai colleghi. Dopo il Miserere si lancia nella cabaletta “Tu vedrai”, spesso tagliata, articolando di forza le colorature, tutte ben sgranate e sprezzanti. Bellissima la resa di “L’onda de’ suoni mistici”, insieme a Manrico. Nel complesso una prestazione di gran classe.
Ludovic Tézier come Conte di Luna inizia la sua prestazione in maniera non troppo incisiva, mancando un po’ di slancio, ma dà poi il suo meglio quando deve intonare “Il balen del suo sorriso”, mettendo a servizio del testo un’ottima cantabilità amorosa e vero abbandono. Tira poi fuori la giusta veemenza richiesta dal personaggio nel duetto con Leonora del quarto atto “Ah! dell’indegno rendere”.
Jamie Burton ha sicuramente grinta e carisma da vendere e rende interpretativamente un’Azucena sospesa tra lucidità e allucinazione, spaventevole dapprima e umana poi, una volta imprigionata. Vocalmente non sembra avere la solidità dei mezzosoprani drammatici tipicamente associati al ruolo: gli acuti sono per lo più strillati e le note di petto artificiosamente gonfiate. Approssimativi i trilli di “Stride la vampa”. Drammatica al punto giusto in “Condotta all’era in ceppi”, ma manca un po’ di spessore per i motivi di cui sopra. A nostro parere dà il meglio in una dimensione più melodica, quando nel quarto atto canta da distesa “Ai nostri monti ritorneremo”: senza dover spingere ne esce essenzialmente un’altra cantante.
Roberto Tagliavini è un Ferrando scenicamente inquietante e dallo sguardo demoniaco, in base alla lettura voluta dalla regista. Rende efficacemente la scena del racconto iniziale, con la giusta chiarezza di dizione e con delle discrete agilità. Buoni anche i contributi di Gabrielė Kupšytė (Ines) e Michael Gibson (Ruiz).
Dalla buca dirigeva il maestro Antonio Pappano la cui bacchetta ha preso slancio e tensione negli ultimi due atti e che invece nei primi due è apparsa più dimessa del solito. Qualche disallineamento negli attacchi dei momenti d’insieme si risolverà sicuramente nelle recite successive. Abbiamo invece apprezzato questa volta lo sforzo di non coprire i cantanti in termini di massa sonora dell’orchestra. Gli equilibri acustici erano ben curati. Impeccabili gli interventi del coro della ROH, molto ricercati nell’uso delle dinamiche e dell’espressività.
Al termine applausi per tutti gli interpreti. Un successo di pubblico che lascia comunque un po’ di amaro in bocca. È stata nel complesso una bella serata ma non pienamente elettrizzante, come ci si aspetta da un titolo del genere.
Royal Opera House – Stagione 2022/23
IL TROVATORE
Dramma in quattro parti
Libretto di Salvatore Cammarano e Leone Emanuele Bardare
Musica di Giuseppe Verdi
Il Conte di Luna Ludovic Tézier
Leonora Marina Rebeka
Azucena Jamie Burton
Manrico Riccardo Massi
Ferrando Roberto Tagliavini
Ines Gabrielė Kupšytė
Ruiz Michael Gibson
Un vecchio zingaro John Morrissey
Un messo Andrew O’Connor
Orchestra e coro della Royal Opera House
Direttore Antonio Pappano
Maestro del coro William Spaulding
Regia Adele Thomas
Costumi e scene Annemarie Woods
Luci Franck Evin
Coreografie Emma Woods
Drammaturgia Beate Breidenbach
Nuovo allestimento in co-produzione con l’Opera di Zurigo
Londra, 2 giugno 2023