Dopo sei anni di assenza dal cartellone, ritorna al Covent Garden Il barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini. Viene riproposto per la quinta volta l’allestimento del 2005 firmato da Moshe Leiser e Patrice Caurier, proprio sotto la supervisione degli stessi registi, che hanno curato di persona la ripresa. Una produzione che punta sul sicuro, ovvero sulla risata facile, e che fornisce piacevole intrattenimento senza troppi spunti di riflessione. È comunque una bella produzione dal design accattivante e che risplende di nuova luce grazie a un cast forte con un paio di giovani talenti e una direzione vitale e frizzante da parte del direttore venezuelano Rafael Payare.
Partiamo dalla compagine di canto, che nel complesso è di un buon livello canoro e affiatatissima dal punto di vista attoriale. Il giovane baritono polacco Andrzej Filończyk (appena 28 anni) è un Figaro energico, vitale e spigliato che canta con naturalezza e ottima dizione italiana, quasi da madrelingua, su cui fa ben leva nei recitativi. Il timbro è piacevole e avvolgente, il legato e l’articolazione entrambi buoni. La sua cavatina “Largo al factotum” viene cantata attraversando la platea, con forbicine alla mano, mimando taglio dei capelli per il piacere di qualche presente in sala. Lawrence Brownlee è un Conte d’Almaviva dalla splendida cantabilità che mette a servizio di “Ecco, ridente in cielo” e “Se il mio nome saper voi bramate”. Lo strumento è chiaro e leggero ma ben proiettato, oltre che molto flessibile, il che gli permette di sgranare facilmente le colorature ascendenti e discendenti. Viene omesso, come spesso capita, il virtuoso rondò “Cessa più resistere”, evidentemente non per scelte personali ma scelte registiche in merito alla compiutezza dell’epilogo della vicenda. Peccato, perché saremmo stati curiosi di sentire Brownlee alle prese con i grandi virtuosismi. Il mezzosoprano ventiseienne Aigul Akhmetshina, che avevamo già avuto modo di apprezzare in altre produzioni alla ROH e in una registrazione con Freddie De Tommaso, segnalandola come nome da tenere d’occhio, è una Rosina dal bel velluto, con uno strumento molto interessante per estensione, ricchezza timbrica, omogeneità, colore e proiezione. Buona l’esecuzione sia di “Una voce poco fa” che del rondò “dell’inutil precauzione”, dove gestisce fluidamente le colorature a tutte le altezze. Laddove deve raffinare un po’ per diventare una cantante di rango è l’uso musicale del testo, dei rubati e accellerandi; alcuni passaggi sono apparsi un po’ acerbi musicalmente, ma la ragazza è giovanissima e con quello strumento può fare faville. A livello interpretativo passa una Rosina volitiva e un po’ caricata come quando i registi, durante il temporale del secondo atto, le fanno scaraventare mobili a terra.
Fabio Capitanucci restituisce pienamente il personaggio di Don Bartolo, con il suo tirannico controllo e la sua presunzione. Lo strumento è abbastanza centrato, la presenza scenica a tutto tondo. Il canto sillabico rapidissimo di “A un dottor della mia sorte”, sciorinato vorticosamente, lo mette a dura prova e in parte viene coperto dall’accompagnamento, ma ciò non impatta una prestazione teatralmente brillante. Bryn Terfel è un Don Basilio che si mette in evidenza per le doti attoriali e la sonorità del suo strumento rimbombante in sala, anche se lo stesso è abbastanza disomogeneo e non gode di gravi troppo saldi. Con tonaca, capelli unti, e occhialini, è francamente irresistibile in quanto a vis comica. Sulla scena restituisce sempre qualcosa del suo essere artista al servizio del personaggio. Ailish Tynan è una Berta iper-caratterizzata e molto macchietta che conquista il pubblico con “Il vecchiotto cerca moglie”.
Dalla buca dirige, al suo debutto alla ROH, il direttore venezualano Rafael Payare, un nome attivo negli Stati Uniti e in Canada con alle spalle un repertorio ben più pesante di quello rossiniano. Nonostante ciò, con il suo gesto ampio e risoluto, inietta energia, vitalità e carattere alla partitura curando con nitidezza e articolazione la componente ritmica e dinamica. La sinfonia iniziale, così ariosa, leggera e frizzantina negli accenti, viene accolta da applausi scroscianti, anzi da ovazioni. Chi scrive non ricorda un’accoglienza simile per nessun’altra sinfonia/ouverture. Con una direzione così elettrica, il cast è stato messo a dura prova nei momenti d’insieme ma il tutto nel complesso tiene, al netto di qualche scollamento e sbilanciamento dinamico. Per una bacchetta non specializzata nel repertorio rossiniano si tratta di una prova decisamente interessante. Da segnalare anche il contributo determinante di Mark Packwood al fortepiano.
L’allestimento come detto è quello di Moshe Leiser e Patrice Caurier che aveva debuttato nel 2005 con Joyce DiDonato come Rosina. Una produzione coloratissima, dai costumi (Agostino Cavalca) alle scene e arredi (Christian Fenouillat). Nel primo atto quadro I domina un grande albero che si staglia su un fondale rosa/violaceo illuminato da un grande spicchio di luna bianca (luci di Christophe Forey), oltre alla facciata della casa di Don Bartolo, dove da una finestra munita di inferiate si sporge la bella Rosina. Simpatica la scena della serenata con tanto di amici musici imparruccati e nasi finti (membri del coro maschile) che si schierano tutti seduti davanti al palco con i loro strumenti. Nel quadro II del primo atto e nel secondo atto la casa di Don Bartolo è una scatola decorata con strisce color pastello, che potrebbe contenere caramelle e dove si aprono invece finestre, porte e finestrelle. Una scatola colorata ma opprimente domina quindi la maggior parte di questo allestimento. Personaggi compaiono e scompaiono velocemente tra lo stupore del pubblico. Tutto fila liscio e l’impressione generale è che si sia provato molto, forse anche grazie alla presenza dei registi stessi. A rendere la confusione e l’incredulità del finale del primo atto “Mi par d’esser con la testa”, la scatola scenica inizia ad alzarsi e oscillare lentamente a destra e sinistra, con tanto di personaggi che cercano di rimane in bilico. Lo stesso senso di “mal di mare” viene trasmesso al pubblico. Nella tradizione degli spettacoli comici dei due registi francesi abbondano le gag, tutte comunque ben calcolate in termini di tempi teatrali, tra le risate generali del pubblico (Don Alonso sbircia sotto la gonna di Rosina, mimando anche qualcos’altro, Berta dal fondoschiena imbottito starnutisce di continuo e si ribalta dimenando gambette all’insù sul finale del primo atto). Finale zuccherino con tanto di palloncini rossi a forma di cuore e abbracci generali.
Al termine, applausi entusiasti per tutto il cast e la direzione. Anche i registi salgono sul palco e vengono accolti da un buon riscontro di pubblico. Nonostante sia il solito Barbiere e non un’opera meno comune, bisogna dire che ascoltare Rossini è stata una boccata d’aria fresca. Sarebbe bello vedere altri titoli del Cigno di Pesaro al Covent Garden, dove il belcanto non trova spesso molto spazio. Noi ci speriamo.
Royal Opera House – Stagione 2022/2023
IL BARBIERE DI SIVIGLIA
Melodramma buffo in due atti
Libretto di Cesare Sterbini dalla commedia
La Précaution inutile, ou Le Barbier de Séville
di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais
Musica di Gioachino Rossini
Il Conte d’Almaviva Lawrence Brownlee
Don Bartolo Fabio Capitanucci
Rosina Aigul Akhmetshina
Figaro Andrzej Filończyk
Don Basilio Bryn Terfel
Fiorello Josef Jeongmeen Ahn
Berta Ailish Tynan
Ambrogio Charbel Mattar
Un ufficiale Dawid Kimberg
Un notaio Andrew Macnair
Orchestra e Coro della Royal Opera House
Direttore Rafael Payare
Maestro del coro William Spaulding
Maestro al fortepiano Mark Packwood
Regia Moshe Leiser e Patrice Caurier
Scene Christian Fenouillat
Costumi Agostino Cavalca
Luci Christophe Forey
Allestimento di repertorio della ROH
Londra, 2 febbraio 2023