In una Londra ancora in preda all’euforia dei festeggiamenti per l’incoronazione di re Carlo, la Royal Opera House riprende a stagione in corso il nuovo allestimento di Aida con la regia di Robert Carsen che aveva debuttato a ottobre 2022. Per questo secondo ciclo di recite Antonio Pappano, che aveva diretto al debutto, ha passato il testimone al veterano della direzione inglese Mark Elder, mentre la compagine di canto ha visto il debutto di Angel Blue nel ruolo di Aida, affiancata da Elīna Garanča che dopo aver debuttato come Amneris lo scorso gennaio alla Wiener Staatsoper ha ripreso con successo il ruolo della figlia del faraone proprio per questa produzione al Covent Garden. Seokjong Baek, tenore coerano in ascesa già scritturato in diversi ruoli principali alla ROH, si è cimentato con il ruolo di Radames ottenendo dei risultati di tutto rispetto. Il ritorno di Ludovic Tézier come Amonasro ha rappresentato la ciliegina sulla torta di un cast nel complesso molto ben assortito.
Avevamo già parlato nel dettaglio di questo allestimento in un precedente articolo (qui il link) a cui rimandiamo per una visione d’insieme. Un’Aida militarizzata e patriottica, quella andata in scena, con richiami a regimi totalitari del sudest asiatico o a grandi potenze militari come Russia e Stati Uniti. Dimentichiamoci quindi la grandiosità tradizionale dell’Egitto con le sue piramidi, sfingi, templi monumentali, palme ed elefanti. Al suo posto solo la brutalità della guerra e un opprimente bunker di cemento come fulcro principale delle scene brutaliste firmate da Miriam Buether. Niente oro ma tanto grigio e verde militare, con una punta di rosso e blu. Niente sacerdoti e sacerdotesse ma tanti soldati, alcuni dei quali impegnati anche nelle coreografie (Rebecca Howell) dei ballabili del secondo atto. Per impianto estetico (tra uniformi e bandiere) e costumi scelti appare legittimo un parallelo con Nixon in China (Amneris in completo rosso nel secondo atto ricorda proprio la first lady Pat Nixon). Ad una seconda visione, confermiamo le nostre impressioni di una produzione fondamentalmente bruttina, che però risuona di una rilevanza inquietante, visti i tempi di guerra in cui viviamo. Se i primi tre atti funzionano nel loro complesso, il quarto ambientato in un deposito di missili minacciosamente rivolti verso il pubblico finisce per svilire la bellezza della scena finale della tomba e l’invocazione speranzosa alla pace appare incongrua. All’interno dell’ambientazione scelta, funzionano invece molto bene le scene più trionfali (in chiave militaresca) e le invocazioni alla guerra. Il vuoto scenico del terzo atto a palcoscenico aperto nella sua profondità crea invece alcuni problemi di equilibrio acustico tra i cantanti.
Un po’ come era successo lo scorso ottobre, se la produzione divide (alcuni l’odieranno, altri la troveranno geniale) l’esecuzione musicale, al contrario, convince. Al netto di qualche breve disallineamento tra buca e palcoscenico che probabilmente si colmerà nel corso delle recite, Mark Elder ottiene un ottimo equilibrio tra pulizia, compattezza, propulsione dell’azione drammatica e valorizzazione delle oasi liriche così come dei soli dei legni e del flauto. La direzione ha raggiunto grande tensione drammatica nel terzo atto con l’accompagnamento dei duetti tra Aida e Amonasro e Aida/Radames. Il confronto tra Aida e Amneris del secondo atto ci è apparso invece un po’ statico. Un plauso al coro della ROH che sotto la direzione di William Spaulding ha cantato in maniera gloriosa nei momenti più trionfali. Bellissima anche la resa soffusa del coro in “Salvator della patria” e in “Spirto del nume”.
Veniamo alla compagnia di canto. Angel Blue era debuttante nel ruolo di Aida. Lo scorso anno la cantante americana aveva fatto parlare di sé ritirandosi da una produzione della Traviata dell’Arena di Verona, accusata di mettere in scena uno spettacolo di Aida con il tradizionale trucco blackface. Dalla scelta della cantante aveva preso le distanze non meno che Grace Bumbry, guarda caso scomparsa proprio il giorno in cui abbiamo avuto modo di sentire Angel Blue in Aida in una produzione dove la polemica sul blackface viene comunque spazzata via a priori dall’ambientazione contemporanea, non senza incongruenze sulla credibilità di una principessa etiope in un Paese che potrebbe essere la Corea del Nord. Ma si sa questi problemi derivano dalle scelte registiche e di casting. Veniamo invece alla prova vocale che alla fine è quello che conta. La voce ha un taglio metallico con acuti ben sonori che non hanno problemi a stagliarsi spavaldi sulle masse orchestrali e corali. In diversi passaggi ha veramente “spettinato” l’ascoltatore, dimostrando anche una buona tenuta per tutta l’opera. Il problema è che i pianissimi veri e propri, quelli fluttuati e di classe di scuola italiana non si sono sentiti, così come è mancata la ricerca del dettaglio. Perfettibile anche il fraseggio. Poco incisivo il recitativo di “Ritorna Vincitor”. Si è avvertito anche qualche problema con l’intonazione come con la difficile salita al do acuto di “Cieli azzurri”, penalizzata da eccessivo vibrato. A suo favore va invece detto che Angel Blue è apparsa coinvolta al punto giusto dal punto di vista attoriale con una genuina disperazione e un conflitto interiore tra amore e senso del dovere. Ha anche costruito una bella tensione drammatica nei duetti del terzo atto. In conclusione un’interprete genuina ma che deve raffinarsi a livello di impostazione vocale.
Elīna Garanča ha di fatto rubato lo show a tutti con la sua Amneris, soprattutto nella scena del giudizio del quarto atto. In questo ruolo da mezzosoprano drammatico, sulla carta o comunque fino a qualche anno fa fuori dalle sue possibilità, la cantante è certamente spinta ai limiti, ma Garanča è alla prova dei fatti uno di quei casi in cui l’intelligenza, l’esperienza e la caparbietà dell’interprete arrivano a imporsi sui limiti della vocalità. Dopo Eboli, Garanča arriva ad aggiungere questo ruolo dei sogni, come da lei stesso definito, al suo repertorio che in qualche modo ha seguito l’evoluzione della sua voce verso ruoli più pesanti (la cantante lettone sarà Kundry in Parsifal al Festival di Bayreuth). Lo strumento dà il meglio in acuto e nei centri riccamente ambrati mentre i gravi vengono talvolta coperti dalla massa orchestrale. Non è un Amneris sensualissima o vocalmente verdiana in senso stretto, ma ha comunque spessore sufficiente non solo per portare a casa il ruolo, ma anche per conquistare il pubblico a livello carismatico. L’anatema del quarto atto viene eseguito bene, con acuti molto squillanti in sala e accolto poi dall’entusiasmo generale dei presenti.
Seokjong Baek che avevamo già apprezzato al fianco proprio di Garanča in Samson et Dalila, cantava in sostituzione di Francesco Meli, protagonista della prima serie di recite lo scorso anno. La voce non è puramente eroica in senso stretto, ma il tenore non ha certo problemi a farsi sentire in termini di potenza e nel complesso ha raggiunto un buon equilibrio tra il lato eroico e quello amoroso. Si è distinto poi per una buona dizione italiana. Ha cantato “Celeste Aida” con buon lirismo, anche se la voce non era ancora pienamente scaldata e il si bemolle acuto finale è stato preso in forte con un tentativo di smorzamento non proprio impeccabile, scelta comunque più prudente che rischiare l’attacco in pianissimo. La prestazione del tenore è comunque cresciuta in maniera significativa con un’interpretazione di rilievo sia nel terzo atto che nel duetto finale del quarto atto. Come avevamo notato in precedenza, Baek è un nome emergente sicuramente da tenere d’occhio.
Ludovic Tézier era l’unica star in comune con il cast di ottobre 2022. Il baritono francese è apparso in forma vocale anche migliore della prima volta, e per il resto confermiamo le nostre osservazioni dello scorso anno: “Tezier si conferma grande interprete verdiano capace di dare un taglio moderno al suo canto, ma nel pieno rispetto della tradizione. Il suo Amonasro è autorevole sia per presenza scenica, che per pieno dominio dell’accento e della parola scenica. L’equilibrio tra volume, articolazione e chiarezza di quello che si canta è veramente apprezzabile in questo cantante”. Notiamo in questa sede anche il bel legato e il fraseggio di “Rivedrai le foreste imbalsamate”.
Il Ramfis di Soloman Howard ha un notevole spessore in termini di sonorità oltre a un’imponente presenza scenica, amplificata vocalmente dalle minacciose accuse di colpevolezza a Radamès nella scena del giudizio. Perfettibile invece la dizione italiana. Apprezzabile il contributo fuori campo di Francesca Chiejina in “Possente, possente Fthà”. James Platt come Re d’Egitto (o meglio, capo di stato totalitario) è credibile scenicamente ma la performance vocale non brilla per qualche oscillazione di troppo. Funzionale il messaggero di Andrés Presno.
Al termine grande entusiasmo da parte del pubblico che ha rivolto applausi calorosi per tutti gli interpreti. Un boato di applausi ha accolto Elīna Garanča. L’entusiasmo delle festività per l’incoronazione (lunedì era giorno di ferie per il regno in giubilo) unito alla grande musica di Verdi ha decisamente contagiato il Covent Garden.
Royal Opera House – Stagione 2022/23
AIDA
Opera drammatica in quattro atti
Libretto di Antonio Ghislanzoni
Musica di Giuseppe Verdi
Aida Angel Blue
Radamès Seokjong Baek
Amneris Elīna Garanča
Amonasro Ludovic Tézier
Ramfis Soloman Howard
Il Re d’Egitto James Platt
Una sacerdotessa Francesca Chiejina
Un messaggero Andrés Presno
Orchestra e Coro della Royal Opera House
Direttore Mark Elder
Maestro del coro William Spaulding
Regia Robert Carsen
Scene Miriam Buether
Costumi Annemarie Woods
Luci Robert Carsen e Peter Van Praet
Coreografia Rebecca Howell
Video Duncan Mclean
Nuova produzione della Royal Opera House
Londra, 8 maggio 2023