Quando gli altoparlanti del Teatro Goldoni di Livorno invitano a spegnere i telefoni cellulari e annunciano che il pubblico sta per assistere a una recita di Cavalleria rusticana, tutti pensano a un errore. Non sorprende poi il mormorio che si aggira per la sala quando il maestro attacca l’introduzione di Cavalleria che procede senza problemi con l’apertura del sipario fino a buona parte della Siciliana. A un certo punto, crolla un pezzo di scenografia e da più parti si levano cori di protesta per le troppe rappresentazioni di quest’opera: il coro irrompe sul palco con uno striscione su cui si legge “Ogni uomo mente ma dategli una maschera e sarà sincero”, mentre in platea arrivano dei personaggi travestiti da tipiche maschere italiane. Saranno questi, dopo un proclama letto da Giocadio, a imporre la rappresentazione de Le maschere di Pietro Mascagni.
Inizia così il nuovo allestimento di questa opera poco eseguita a cura di Luigi Di Gangi e Ugo Giacomazzi che ben interpretano il sentimento di protesta che la anima. Mascagni infatti inizia a pensare a un titolo comico già dopo il successo di Cavalleria, ma ci si mette a lavorare con Luigi Illica solo nel 1896 dopo aver completato Iris: secondo Mascagni il pubblico del tempo ormai vuole solo emozioni violente e i compositori da parte loro hanno perso la capacità di sorridere, così lui e Illica decidono di creare un’opera buffa basando il soggetto sulla ormai defunta commedia dell’arte. Compositore e librettista vogliono far rivivere le maschere della tradizione italiana, creando un’opera musicalmente assai raffinata nei suoi continui rimandi al Settecento e nella parodia dei grandi compositori dell’Ottocento e dei contemporanei, ma il cui libretto, dopo un inizio quasi spiazzante in cui anche l’improvvisazione è perfettamente organizzata, stenta a decollare veramente dal punto di vista teatrale, accantonando anche l’idea iniziale di teatro nel teatro.
Sulla fortuna del titolo pesa anche l’insuccesso delle sei prime simultanee in sei città diverse il 17 gennaio 1901 (dovevano essere sette ma a Napoli l’indisposizione del tenore fa slittare tutto di due giorni): solo a Roma si raccoglie un vero successo, mentre a Genova e alla Scala (nonostante la presenza di Toscanini, Caruso e della Carelli) i fischi diventano consistenti nel corso della recita. Pur con i rimaneggiamenti operati da Mascagni negli anni successivi, che portano anche a una nuova versione dell’opera andata in scena alla Scala nel 1931, il titolo non riesce mai a imporsi in repertorio, nonostante tra i suoi avvocati difensori si conti pure Gianandrea Gavazzeni che firma la prima esecuzione post-bellica a Firenze nel 1955.
Solo Livorno rimane una piazza fedele a Le maschere, che ebbero la loro prima cittadina nel 1908 e si sono poi riviste altre 6 volte prima di oggi, l’ultima nel 2001 con la regia di Lindsay Kemp. A quest’ultimo allestimento rimandano i costumi delle dieci maschere protagoniste nella regia di Di Gangi e Giacomazzi, mentre il palco è occupato da una pedana rialzata su cui si va costruendo una sorta di carro di carnevale che richiama quelli viareggini. Il nuovo spettacolo livornese fluisce assai bene grazie a una compagnia affiatata e a una narrazione semplice e fedele al libretto, che sa comunque ben sfruttare gli spazi del teatro stesso, come i palchi di proscenio usati come veri e propri balconi.
Dopo Il piccolo Marat, Mario Menicagli dirige un nuovo titolo mascagnano al Goldoni, con una direzione che si distingue per scioltezza narrativa e brio. Riesce infatti a tenere insieme le masse e i solisti, che vengono sempre ben sostenuti e valorizzati nei loro interventi. L’Orchestra del Teatro Goldoni segue il maestro senza problemi, così come il coro che non brilla però nelle zone alte della tessitura. L’unico aspetto contestabile è la tendenza a fare pausa dopo i numeri chiusi appositamente per invitare agli appalusi, cosa che si nota soprattutto quando questi mancano, e che finisce per bloccare il giusto fluire della musica.
Il cast vocale risulta nel complesso ben assortito. Valentina Corò è una Rosaura spigliata e di agile figura. Lo strumento, ben proiettato, è contraddistinto da un timbro di bella pasta, e sa svettare in acuto. Il legato a tratti non è impeccabile, ma la linea di canto risulta nell’insieme omogenea. Irene Bonvicini è una Colombina dalla voce più chiara e meno debordante della collega, ma passa l’orchestra senza problemi e tratteggia un buon personaggio con il suo piglio scenico. Matteo Falcier parte di rimessa nel ruolo di Florindo, con qualche slittamento iniziale di intonazione. Tuttavia, le cose cambiano nel terzo atto dove offre una notevole esecuzione dell’ardua serenata, mettendo in mostra un registro acuto saldo e squillante.
Una sorpresa è il Capitan Spavento di Min Kim, dotato di un volume poderoso e di un timbro scuro molto interessante. Colpiscono inoltre la dizione perfetta e l’ottimo fraseggio. Marco Miglietta è un convincente Brighella grazie all’ottimo uso di una voce ampia e di bel timbro, piegata a un fraseggio musicale assai curato, che unito alla disinvoltura attoriale, aiuta a costruire una bella esibizione. Lo stesso si può dire dell’Arlecchino di Didier Pieri, che unisce a una tecnica sicura e a un bel colore dello strumento, quasi elegiaco, una recitazione spigliata che ben si addice al personaggio. Massimo Cavalletti risulta a suo agio sia nel ruolo parlato di Giocadio che in quello cantato di Tartaglia, dimostrando una buona padronanza dello stile comico senza scadere nel caricaturale. Vocalmente la tessitura del domestico gli si addice alla perfezione e gli consente di mettere in mostra la voce ampia e il bel timbro baritonale.
Completano il cast Giacomo Medici, che ben cesella con la sua voce il personaggio di Dottor Graziano, e Vladimir Alexandrovich come Pantalone, il quale esibisce una vocalità artificiosamente ingrossata e una dizione perfettibile.
Il pubblico risponde numeroso a questa proposta popolando il teatro in ogni ordine e dispensando applausi calorosi anche a scena aperta. Alla fine si registra un vivo successo per tutti, dai cantanti al direttore, ai fautori della messa in scena, sperando che presto inizi a girare un po’ più di Mascagni anche fuori da Livorno.
Teatro Goldoni – Stagione 2022/23
LE MASCHERE
Commedia lirica e giocosa in una parabasi e tre atti di Luigi Illica
Musica di Pietro Mascagni
Giocadio/Tartaglia Massimo Cavalletti
Pantalone de’ Bisognosi Vladimir Alexandrevich
Rosaura Valentina Corò
Florindo Matteo Falcier
Dottor Graziano Giacomo Medici
Colombina Irene Bonvicini
Brighella Marco Miglietta
Capitan Spavento Min Kim
Arlecchino Battocchio Didier Pieri
Orchestra e Coro del Teatro Goldoni
Direttore Mario Menicagli
Maestro del coro Maurizio Preziosi
Regia, scene e costumi Luigi Di Gangi e Ugo Giacomazzi
Datore luci Michele Rombolini
Nuovo allestimento della Fondazione Teatro Goldoni Livorno
in collaborazione con Fondazione Carnevale di Viareggio
Livorno, 11 febbraio 2023